Il mio bimbo cerca solo il papà, mi sento rifiutata

Gentile dott.ssa,
è da settimane che non riesco a spiegarmi il totale cambiamento di mio figlio nei miei confronti.
Il mio piccolo ha quasi 13 mesi, a 7 iniziò a chiamare mamma e pian piano a dire tante altre parole (escluso papà).
Compiuto l’anno, disse papà e da allora per circa 10 giorni non chiamò più mamma e iniziò a rifiutare di giocare con me o di farsi coccolare diventando anche un po’ manesco e rivolgendo tutte le sue attenzioni al suo papà.
Ho sofferto molto per tutto questo, devo dire che fa molto male vedersi rifiutata da colui che è l’essenza della propria vita.
Ora, da 6-7 giorni ha ripreso a chiamarmi, giochiamo e si fa prendere nuovamente in braccio quando la notte piange, ma durante il giorno non fa altro che chiamare il suo papà a cui vuole un mondo di bene e con cui si comporta sempre affettuosamente anche quando lo rimprovera, cosa che non fa più con me! Cosa può essere accaduto? È normale un simile cambiamento? E soprattutto cosa devo fare, come devo comportarmi?
Spero in una Sua risposta, grazie e distinti saluti.

Penso che la psicologa potrebbe darti una risposta più esauriente della mia, comunque, il mio parere è che il bimbo, dal momento che inizia a fare i primi passi, entra in una fase psicologica complessa in cui tenta, anzi, ha bisogno, di svincolarsi dal legame simbiotico totale che aveva vissuto finora con la mamma e che è stato fondamentale e funzionale al processo di acquisizione della sua individualità per andare incontro ad un’altra fase, quella della scoperta del mondo in tutta la sua vastità e complessità di esperienze.
Se intraprendesse questa esplorazione con lo stesso legame di fortissima dipendenza dalla madre che ha caratterizzato i suoi primi mesi di vita sarebbe penalizzato nella libertà di cui ora ha bisogno ma, nello stesso tempo, rifiutando la protezione totale della madre, si sente solo e fragile, bisognoso di un altro tipo di sostegno e di guida che non è più il caldo e rassicurante abbraccio materno, bensì il modello di comportamento della figura paterna che prima, pur importantissima, aveva giocato un ruolo relativamente secondario.
La figura del padre emerge soprattutto nei momenti esistenziali particolari della crescita di un bambino che comportano una rottura, una frattura rispetto ad un equilibrio precedente. La prima esperienza di frattura e di distacco si ha al momento del taglio del cordone ombelicale, alla nascita, quando, messo in braccio al padre come gesto significativo non solo simbolico ma anche affettivo, nella maggioranza dei casi, sentendo la voce paterna, il neonato si calma, apre gli occhi e tende a dirigere lo sguardo verso la provenienza della voce. Questo processo può avvenire anche in braccio ad altra persona amorevole estranea al bimbo, ma l’intensità e la velocità di rilassamento del bambino in braccio al padre è nettamente maggiore e commovente considerando che il bambino ha solo pochi istanti di vita!
Il secondo momento importante per la figura paterna è proprio l’inizio della deambulazione spontanea, cioè l’inizio del secondo anno di vita, dove il padre, oltre che un compagno di giochi, diventa una figura da imitare, una meta da raggiungere, un comportamento da emulare, un personaggio nel quale identificarsi per imparare nuove strategie comportamentali, per imparare a crescere. Attraverso il gioco, la continua ricerca del padre, il desiderio di un rapporto con lui più stretto di quanto sia stato in precedenza, il bambino impara ad andare verso il mondo tenuto per mano. Questo ruolo di insegnare il mondo al bambino è tipicamente paterno.
Il ruolo materno, insostituibile, è un ruolo più fermo, un ruolo di accoglienza, di consolazione, di nutrimento affettivo e dispensatore di sicurezze ma, pur indispensabile, in certe fasi della vita, la madre è vissuta come figura limitante l’autonomia del figlio, una figura che gli ricorda troppo il suo rapporto di dipendenza totale da lei e che ha bisogno di rifiutare momentaneamente per andare avanti, un ruolo troppo "fermo" per le esigenze attuali del bambino. 
Il padre, invece, è una mano tesa verso la vita e verso il futuro, un amore non scontato com’è quello materno ma un amore da conquistare con il proprio comportamento, le proprie azioni, le proprie prodezze, il proprio coraggio.
Il tuo bimbo, comportandosi come sta facendo, dimostra proprio di cercare il padre perché ha bisogno di lui per imparare a diventare grande e per essere sicuro di averlo tutto per se cerca di conquistarlo in tutti i modi, di diventare la figura principale delle sue attenzioni, in un certo senso anche strappandolo da te, creando così una nuova triangolazione, un nuovo equilibrio basato su nuove dinamiche affettive: non più madre e figlio in simbiosi tra loro più il padre esterno a questa diade che accoglie e sostiene entrambi in un rapporto di circolarità, ma una madre più un padre più un figlio, un triangolo perfetto formato da tre individualità ormai distinte anche se fra loro profondamente legate, interdipendenti e complementari.
In questo modo è proprio il figlio a dettare tempi e leggi della famiglia consolidandola su nuovi equilibri: in quest’ottica, se ci si pensa, il ruolo del figlio diventa straordinario e si capisce come dai bambini, più che doverli educare, capendoli e sapendoli ascoltare, si ha tutto da imparare e spesso sono loro a farci crescere più che noi adulti ad insegnare loro a maturare.
Come stai già notando, questo momento di apparente rifiuto della mamma è assolutamente transitorio e il recupero è velocissimo purché la mamma sappia acquisire nuovi atteggiamenti, meno protettivi, meno esclusivi, meno soffocanti per il figlio. Una volta ritrovato l’equilibrio tutto tornerà a filare liscio per un po’ di tempo e, superata la terribile età dei no, tra i due e i tre anni, si potranno dormire sonni relativamente tranquilli fino alla nuova crisi dela pubertà. 
Un caro saluto,
Daniela

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