Allattamento misto

Nottisveglie.jpgPrima di partorire Ruggero non mi ero mai posta il problema se avrei allattato o meno.
Diciamo che ero agnostica e tendente all’ottimismo, non vedevo perché non avrei dovuto allattare.
In ospedale l’allattamento era partito seguendo tutti i sacri crismi: colostro, montata lattea, attacco al seno difficoltoso e ottenuto maldestramente da me ma senza alcun problema dalle infermiere del reparto di neonatologia.
Ma già al momento delle dimissioni il dover aspettare il loro intervento per attaccarlo al seno per l’ultima poppata mi lasciò inquieta, continuavo però a sperare che tutto si risolvesse da sé.
Tornassi indietro chiederei di stare in ospedale un po’ di più.
Il giorno dopo fu tragico: Stefano, mio marito, non si prese ferie per aiutarmi, confidando nella mia atavica (ma dove?) e genetica (ma quando mai?) predisposizione a prendermi cura di un neonato.
Tornassi indietro non glielo permetterei.

Nelle 36 ore successive Ruggero era allattato solo nei rientri di mio marito. Il pomeriggio del secondo giorno chiamai in lacrime un’amica: Ruggero ha smesso di chiedere il latte, dorme solo, non mangia da 7 ore, che devo fare?
La corsa dalla pediatra, il controllo del seno: "Non c’è latte! Signora, lei non ha latte".
"Ma se in ospedale allattavo!". "No, probabilmente erano poche gocce signora. Lo stress lo ha fatto andare via".
Un problema di attaccamento al seno, un marito disattento, una pediatra favorevole all’allattamento artificiale. Il danno era fatto, io non avevo più latte. Era sparito.
Gli diedi il latte artificiale per qualche giorno ma controvoglia, insistendo ancora nel mese successivo con l’allattamento esclusivo ma alla fine, dopo 4 settimane, sfinita (dalle 14 alle 23 piangeva ogni 30 minuti e non cresceva) passai all’allattamento misto continuato: poppate di 20 minuti per seno, poi biberon. Le amiche mi prepararono all’idea che a  breve non avrebbe più voluto attaccarsi al seno, la consulente de La Leche League tentò ancora timidamente di dissuadermi, ma non mi importava. La mia autostima era finalmente cresciuta a dismisura, perché Ruggero non piangeva più. Dormiva, mangiava, gorgheggiava, sorrideva.
Smisi di guardarlo con astio in quanto poppatore pigro. Smisi di sentirmi inadeguata e angosciata all’idea che piangesse.
Dalle 4 settimane in poi di vita sarà chiamato il Santo, e lo è tuttora.
Santo lo è davvero, perché non si stancò del seno.
A 6 mesi, anzi, non ne volle più sapere del biberon. Ormai a pranzo e cena era iniziato lo svezzamento, tutto il resto era latte di mamma, che, con il tempo, aveva raggiunto una produzione sufficiente a garantire gli spuntini e le integrazioni dei pasti principali.
Intanto avevo pure cambiato pediatra (ma non marito).
Per il futuro mi conservo ancora agnostica tendente all’ottimismo, non vedo perché cambiare, non tutti i figli e gli allattamenti sono uguali.

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