Nessuna ansia da separazione dalla mamma

Buongiorno,
ho un problema.
Mia moglie soffre del fatto che nostro figlio (circa 17 mesi – ma il suo comportamento è stato sempre così) non piange quando lei va via (anzi la saluta) e non manifesta felicità quando la mamma torna dal lavoro.
Con la mamma ha un rapporto splendido ma non ha ansia da separazione (neanche un pochino). Eppure, se ad andare via sono io (il padre), o i nonni, il bimbo piange. Magari anche se va via la zia o lo zio…
Il bimbo è molto socievole, e passa quasi tutte le mattine con la nonna (ormai da diversi mesi). E’ normale? C’è qualcosa che non va?
Grazie infinite.

Pur non essendo una psicologa, tento di dare una spiegazione al comportamento del piccolo: in realtà si tratta soltanto di una ipotesi visto che non posso conoscere nessuno dei componenti della famiglia e non posso farmi una idea del tipo di relazione che unisce il bimbo alle varie figure parentali.
Penso, però, che se il piccolo si dimostra sereno e non prova ansia da separazione nei confronti della mamma vuol dire che tra mamma e bambino vi è stato tempo e modo di creare una forma di attaccamento equilibrato e sicuro: mamma e bambino, sin dai primi momenti, hanno molto probabilmente goduto di una forte sintonia ed empatia, il piccolo si deve essere sentito capito e considerato, oltre che, ovviamente, amato e piano, piano, sin dai primi mesi, ha avuto modo di sperimentare gradatamente l’assenza della mamma inevitabilmente seguita da una sua ricomparsa.
Quindi, oltre ad aver imparato a fidarsi della mamma come persona che lo ama, lo capisce e gli dà sicurezza, ha anche avuto modo di crearsi una immagine interiore di lei che resta dentro di lui anche quando la mamma è fisicamente assente.
Questo tipo di attaccamento non è sempre prerogativa esclusiva della madre: quando un bambino si abitua precocemente a convivere con una famiglia numerosa dove varie figure parentali dividono lo stesso tetto e le stesse abitudini e hanno modo di accudire e coccolare il bambino in modo intercambiabile, il piccolo si abitua ad una idea allargata di madre e, al limite, la casa stessa, con tutti i suoi abitanti, diventa il concetto di madre rassicurante.
In questo caso, il bambino sorride a tutti indifferentemente e non mostra ansia se la mamma si allontana o si assenta. Se, però, le varie figure parentali non fanno la stessa vita e non abitano sotto lo stesso tetto, il bambino si abitua presto a fare delle differenze: la madre che abita sotto lo stesso tetto e passa la maggior parte della giornata con lui nei primi mesi diventa la figura di riferimento. Quando con lei la modalità di attaccamento è ottimale, il bimbo si abitua gradualmente sia alla sua presenza che alla sua scomparsa, nei primi tempi solo dal suo campo visivo ma rimanendo nella stessa casa, a pochi metri di distanza e soprattutto ricomparendo ogni volta dopo pochissimo tempo, poi, piano piano, con la ripresa del lavoro e con altre persone in sostituzione di parte delle cure che lei stessa impartiva, il bimbo si abitua ad assenze materne più lunghe e le accetta serenamente perché nei mesi precedenti ha avuto modo di sviluppare l’esperienza del suo costante ritorno rassicurante.
A questo punto, per il piccolo non importa se la mamma, quando non c’è, è molto lontana oppure soltanto in un’altra stanza: avendo vissuto a lungo con lei nella stessa casa e avendo condiviso le stesse stanza e forse anche lo stesso letto, sa che in quei luoghi dovrà tornare perché l’esperienza passata così gli ha insegnato.
La sua assenza, quindi, non solo viene accettata e tollerata, ma mette in moto nel piccolo dei meccanismi anticipatori ottimistici legati alla speranza, anzi alla certezza acquisita del suo ritorno che gli permettono di salutarla serenamente senza fare tragedie, anzi, forse pregustando già la felicità di ritrovarla. Potrebbe non essere così, invece, per le altre figure della famiglia alle quali il piccolo è comunque molto affezionato.
Il papà, per esempio, forse è sempre stato molto occupato con il suo lavoro e si è sempre allontanato da casa e quindi anche dal campo visivo del piccolo (parlo di quando aveva solo pochi mesi), non per pochi istanti e solo per andare in un’altra stanza e tornare subito dopo come quando ci si muove in casa, ma sin da quando era piccino per molte ore se non addirittura per tutto il giorno: il piccolo, forse, non ha avuto modo di sperimentare a sufficienza i ritorni frequenti nel campo visivo che sono proprio quelli che danno la sicurezza del ritorno dopo un’assenza.
Gli allontanamenti di tutte le persone che non sono la madre, quindi, potrebbero non essere sufficientemente "capiti" dal piccolo che non ha avuto modo di sperimentare a sufficienza i ritorni per avere potuto costruire dentro di se la "sicurezza del ritorno" sin da quando era piccolissimo. Da qui potrebbe nascere l’ansia da separazione.
Per i nonni, poi, sia che sia il piccolo ad allontanarsi da loro per fare ritorno a casa sua, sia che siano i nonni ad uscire da casa sua per fare ritorno nella loro, il piccolo può non avere sufficiente certezza di ritrovarli in un lasso di tempo sufficientemente breve da essere per lui "comprensibile", anche perché, nonostante ora li veda più spesso di prima, essi non dormono, credo, sotto lo stesso tetto e quando vanno via o è lui ad essere allontanato da loro, ognuno torna nel proprio ambiente e questo rende più difficile per il bambino la costruzione di quel sentimento rassicurante dovuto alla circolarità dei tre eventi: presenza-assenza-ritorno, circolarità che lui non ha potuto ancora sufficientemente sperimentare nel corso del delicato processo di separazione-individuazione che puo’ avere bisogno di più di tre anni per completarsi.
Durante questo processo, mentre fino a circa il 9°-10° mese, gli sforzi di separazione dalla figura materna sono prevalentemete fisici, come se il piccolo obbedisse, nonostante le sue mille paure, ad un irrefrenabile istinto di esplorazione del mondo e volesse sgusciare via dalle braccia materne con contorsioni, capriole e rotolamenti salvo poi a tornare innumerevoli volte indietro a cercare sicurezza, una volta imparato a camminare, cerca di allontanarsi dalla figura materna che lui considera pervasiva facendo, a volte, finta di ignorarla, salvo poi a ritornare con atteggiamenti infantili e dipendenti a pietire coccole e attenzioni da altre figure parentali per lui, in questo momento meno pregnanti psicologicamente.
Questo atteggiamento di indifferenza solo apparente nei confronti della madre potrà tradursi poi, verso i due anni, i famosi terribili due anni, in atteggiamenti di palese opposizione dove i no e i rifiuti si sprecheranno, così come i capricci: un modo per opporsi all’autorità nell’ambito di una spinta incoercibile verso l’indipendenza.
Altro sarebbe, invece, se tra mamma e bambino si fosse creato un tipo di legame ambivalente ed evitante oppure se la mamma fosse stata incapace di esprimere il suo legame affettivo col figlio per problematiche sue particolari: ma non penso proprio che si tratti di ciò e comunque il problema, a questo punto, sarebbe ancor meno di mia competenza.
Un’altra ipotesi per spiegare i pianti del piccolo quando i nonni o il papà si allontanano (alla quale, però, non credo molto) è quella che siano loro stessi persone ansiose nei loro rispettivi ruoli e trasmettessero questo tipo di tensione al piccolo che tenderebbe ad assumere, al loro cospetto, un atteggiamento di maggiore dipendenza psicologica rispetto al suo rapporto con la madre. 
Non so se sono stata sufficientemente esaustiva: ripeto, sono solo una pediatra, la psicologa potrebbe spiegare meglio il problema e sicuramente anche in modo più completo..
Un cordiale saluto.

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