Gli Antibiotici

Loro non potevano saperlo, ma, sin dall’antichità, greci, cinesi ed egiziani curavano le infezioni con gli antibiotici: tracce di queste sostanze allo stato naturale erano, infatti, contenute nelle erbe medicinali usate per preparare impacchi, cataplasmi e decotti utilizzati per curare ferite e malattie varie.

Secoli più avanti, nel Settecento, si è passati all’utilizzo delle muffe presenti in certi formaggi per curare le infezioni cutanee.

Nell’Ottocento Pasteur scoprì che certi microrganismi saprofiti, innocui per l’uomo, potevano uccidere i batteri patogeni responsabili dell’antrace, una gravissima malattia dovuta allo stafilococco aureo.

Agli inizi del Novecento, il medico e chimico tedesco Paul Ehrlich sintetizzò per la prima volta una sostanza organica in grado di attaccare selettivamente l’organismo infettante senza danneggiare l’ospite: sintetizzò il “Salvarsan“, un composto arsenicale attivo sulla spirocheta. Fu, così, in grado, per la prima volta, di curare la sifilide prima ancora che venisse scoperta la penicillina.

Non molto tempo dopo, negli anni Venti, Alexander Fleming scoprì il lisozima, un enzima con proprietà battericide presente anche nella saliva.

Proseguendo questi studi e del tutto casualmente, nel 1928, al ritorno da una vacanza durante la quale aveva lasciato nel suo laboratorio alcune colture batteriche a fianco di alcune muffe, scoprì che le muffe avevano bloccato la moltiplicazione dei batteri; intuendo la portata che avrebbe avuto questa sua scoperta, si mise a studiarle assiduamente e negli anni Quaranta fu scoperta ufficialmente la penicillina.

Da quel momento fu possibile curare felicemente la gonorrea, la meningite e la setticemia. Questa scoperta gli regalò il premio nobel alcuni anni dopo e segnò una tappa fondamentale nella storia della medicina dando il via a numerosi importantissimi studi su tutti i composti antibatterici prodotti da organismi viventi.

Dagli anni Cinquanta, cioè da poco più di mezzo secolo, gli antibiotici sono diventati di uso comune. Da allora la tubercolosi, la polmonite batterica, la setticemia e altre malattie che fino a quel momento erano considerate incurabili, non sono più state mortali.

Antibiotici

Cosa sono gli antibiotici

Gli antibiotici sono sostanze per lo più di origine naturale prodotte da batteri o da funghi capaci di uccidere o di inibire la crescita di microrganismi patogeni responsabili dell’insorgenza di numerose malattie.

Attualmente, una buona parte degli antibiotici sono di derivazione sintetica o semi sintetica e provengono dalla modificazione prodotta in laboratorio di un antibiotico naturale.

Gli antibiotici sono attivi contro batteri e contro alcuni funghi ma non contro i virus.

Ogni antibiotico ha un suo preciso spettro di azione, cioè è attivo su un determinato gruppo di microrganismi e non su tutti o soprattutto su alcuni piuttosto che su altri e la più o meno specifica attività di un antibiotico su un gruppo più o meno ampio di microrganismi ne definisce e delimita lo spettro di azione.

Attualmente, gli antibiotici di derivazione sintetica o semisintetica hanno uno spettro di azione sempre più ampio.

Classificazione degli antibiotici

Gli antibiotici si possono classificare in vari modi: uno di questi è in base alla loro azione sui batteri.

Esistono, infatti, antibiotici detti batteriostatici, che si limitano a inibire la crescita e la moltiplicazione dei batteri competendo con la produzione di sostanze per loro vitali ed essenziali; ci sono poi antibiotici detti battericidi, che determinano la morte e la dissoluzione dei batteri perché distruggono la loro membrana esterna protettiva.

Entrambi portano allo stesso risultato chimico e non sono uno più forte o uno più debole.

Un’altra distinzione che si fa spesso è tra antibiotici attivi contro i batteri Gram+ e antibiotici attivi contro i batteri Gram- e la differenza tra batteri Gram+ e Gram- dipende essenzialmente dalla colorazione che assumono quando vengono messi in condizione di interagire con una determinata procedura chimica a base di sostanze coloranti; i batteri che fissano il colore vengono chiamati Gram+, gli altri Gram-.

Lo stafilococco, per esempio, è un batterio Gram+, mentre la bordetella pertussis e la salmonella sono batteri Gram-.

Di solito i batteri chiamati Gram+ sono provvisti di una capsula che fissa il colore e gli antibiotici attivi contro di essi hanno una struttura chimica idonea ad attraversare o a distruggere questa capsula, caratteristica che può mancare agli antibiotici attivi solo sui batteri Gram-.

Ma la diversità di azione non è sempre così netta e vari antibiotici sono attivi contro entrambe le specie batteriche.

Un’altra classificazione più complessa si basa sulla struttura chimica degli antibiotici, che si possono suddividere in amino glicosidi (neomicina, streptomicina), tetracicline (tetraciclina, meticillina), macrolidi (eritromicina, miokamicina, claritromicina, azitromicina) ebetalattamici (penicillina G, penicillina acido-resistente, penicilline semisintetiche, cefalosporine).

Infine vi sono i sulfamidici.

Il fenomeno dell’antibiotico-resistenza

Il fenomeno delle resistenze batteriche è un problema emergente che sta assumendo proporzioni sempre più gravi, sia per il vasto uso e l’abuso che talora si fa di queste sostanze, sia per la nascita di sempre nuove specie di batteri con caratteristiche di resistenza agli antibiotici ai quali, magari, sono sopravvissuti senza essere stati sterminati completamente.

Oppure, quando non si tratta di germi particolarmente patogeni, perché hanno sviluppato meccanismi di resistenza dopo essere stati a contatto con un antibiotico non indirizzato a loro, assunto dal soggetto malato per contrastare un altro ceppo patogeno, quindi con efficacia solo parziale nei loro confronti.

Si possono sviluppare resistenze batteriche quando:

  • Si assume un antibiotico per lungo tempo
  • Si fa un uso smodato e irrazionale di un antibiotico o di antibiotici in generale
  • Si usano gli antibiotici come farmaci preventivi senza sapere se ve ne è veramente bisogno in quel momento o se mai ve ne sarà bisogno (l’uso degli antibiotici a scopo preventivo deve essere riservato a casi particolarissimi che esulano quasi sempre dalle comuni malattie infettive curabili ambulatorialmente)
  • se si usano antibiotici per combattere malattie di origine virale e non batterica: i virus sono insensibili agli antibiotici e questi ultimi, in questo caso, andrebbero a colpire i batteri innocui normalmente presenti nell’individuo senza poi essere capaci di distruggerli totalmente perché non specifici nei loro confronti. Una parziale insensibilità di alcuni batteri può stimolare la nascita di nuovi microrganismi con modificazioni genetiche opportunistiche atte a resistere all’antibiotico stesso e addirittura a cibarsene per crescere e moltiplicarsi
  • Quando si attuano terapie antibiotiche idonee ma per una durata troppo breve, basandosi unicamente sulla apparente guarigione suggerita dalla scomparsa dei sintomi
  • Quando si usano frequentemente, come capita attualmente, antibiotici con spettro di azione molto ampio che va al di là della specificità contro il germe che si vuole combattere

Del tutto recente è il nuovo fenomeno dello sviluppo di supermicrobi, resistenti a quasi tutti gli antibiotici attualmente conosciuti.

Il problema delle resistenze batteriche è diffuso soprattutto per le salmonelle e gli stafilococchi anche a causa dell’esteso uso che si fa negli allevamenti di antibiotici attivi contro questi germi.

Per quanto riguarda le gravi conseguenze dovute alla somministrazione preventiva di antibiotici in un organismo che non ne ha bisogno, bisogna segnalare i danni che producono gli antibiotici aggiunti al mangime e al foraggio degli animali di allevamento per impedire che si sviluppino epidemie tra i capi di bestiame che vivono in eccessiva promiscuità e affollamento nelle stalle: i ceppi resistenti vanno a contaminare le carni usate per l’alimentazione umana.

Inoltre, alcuni batteri sono dotati di resistenze naturali e non acquisite nei confronti di molti antibiotici.

Infografico su antibiotico-resistenza
Infografica dell’European Health Initiative

Effetti collaterali e indesiderati degli antibiotici 

Gli effetti indesiderati che si possono avere dopo somministrazione di antibiotici sono essenzialmente reazioni allergiche, ipersensibilizzazione del soggetto, tossicità dell’antibiotico diretta su alcuni organi, intolleranza nei confronti dell’antibiotico quando si innescano meccanismi di interazione con altri farmaci.

Nei bambini, studi su vasta scala hanno dimostrato che l’assunzione ripetuta di antibiotici prima del compimento del primo anno di vita (4 volte in un anno) può aumentare del 50% la probabilità di ammalarsi d’asma dopo alcuni anni.

Sempre nei bambini, infezioni sicuramente batteriche sono le tonsilliti, la maggior parte delle otiti febbrili, alcune sinusiti, quasi tutte le cistiti e le infezioni delle vie urinarie e molte polmoniti; mentre il raffreddore, anche con muco giallastro che cola dal naso, la maggior parte delle bronchiti e le faringiti sono quasi sempre virali.

Come utilizzare correttamente l’antibiotico

Un corretto uso degli antibiotici prevede di:

  • Non usare mai un antibiotico “fai da te”
  • Non usare mai un antibiotico solo perché “la volta precedente è stato efficace”
  • Assumere sempre il dosaggio ottimale previsto per la patologia che si intende curare
  • Far durare la terapia un periodo sempre congruo perché se la terapia è più breve del tempo necessario per eradicare completamente l’infezione, i germi patogeni residui possono sopravvivere, modificare il loro patrimonio genetico e diventare resistenti verso quel tipo di antibiotico anche se prescritto, inizialmente, in modo corretto

E per ultimo, una curiosità: il thè verde ha dimostrato di migliorare e potenziare l’efficacia degli antibiotici riducendo il pericolo di sviluppo di ceppi resistenti.

Infezione virale o batterica? Come distinguerle e quando ricorrere all’antibiotico 

Quando un bambino si ammala con sintomi riferibili ad un’infiammazione delle prime vie respiratorie o di un altro organo o apparato, quali sono i criteri che permettono di valutare con una certa obiettività se si è in presenza di una infezione virale o batterica?

In realtà, anche se vi sono sintomi differenziali piuttosto caratteristici, essi sfumano spesso gli uni negli altri e senza l’ausilio del laboratorio, non è sempre facile essere certi di questa diagnosi differenziale.

Ciò nonostante, quando si è in presenza di una rinorrea associata a mal di gola, tosse, catarro, anche con espettorato denso, con o senza febbre, bronchite anche con componente broncostruttiva con o senza Rino congiuntivite, tutti questi sintomi fanno pensare a una infezione virale e la terapia antibiotica può essere differita.

La rinorrea purulenta è sicuramente batterica quando persiste per più di una settimana, prima quasi mai.

Inoltre, generalmente, le infezioni virali, spesso anche quelle caratterizzate da febbre alta, non procurano al bambino uno stato generale di malessere molto accentuato, situazione, invece, piuttosto frequente quando la malattia ha una origine batterica (lo stato di malessere accusato spesso in occasione di una infezione batterica dipende anche dalla presenza di determinate tossine prodotte dai batteri stessi).

Otite media acuta

Una patologia pediatrica piuttosto frequente che pone spesso dei dubbi per quanto riguarda la sua terapia è l’otite media acuta.

È una patologia legata alla particolare anatomia dell’orecchio del bambino che lo predispone al ristagno di muco con conseguente probabilità di sviluppo di colonie batteriche e alla particolarità del sistema immunitario dei piccoli, soprattutto dei bambini con meno di due anni, che sono incapaci di produrre anticorpi nei confronti della capsula polisaccaridica di alcuni batteri come lo streptococco beta emolitico e lo pneumococco. I

l picco massimo di frequenza dell’otite media acuta è tra i sei e i dodici mesi, ma non è affatto rara anche in seguito, nel corso di tutta l’età prescolare.

Quando l’otite si accompagna a febbre, l’origine batterica è praticamente certa e una causa frequentissima è lo streptococco pneumoniae, o pneumococco.

In seguito alla diffusione della vaccinazione anti pneumococco, questa patologia, infatti, è diminuita in modo evidente.

Altri batteri responsabili dell’otite media acuta sono l’haemophilus influenzae e la moraxella catarralis. Ma molte sono anche le otiti medie acute di origine virale (virus respiratorio sinciziale, rinovirus, adenovirus, virus parainfluenzale…).

La diagnosi di otite media acuta si fa con certezza quando è presente febbre, rinorrea, tosse, irritabilità, cefalea, anoressia, vomito, diarrea e, ovviamente anche se il sintomo non è obbligatorio, otalgia.

Alla visita otoscopica il timpano appare bombato e immobile, spesso eritematoso con presenza di livelli idroaerei dietro la membrana.

La semplice iperemia timpanica senza bombatura e senza livelli può indicare anche una otite virale. La diagnosi di otite batterica è praticamente certa se i sintomi hanno avuto un esordio rapido, se sono presenti secrezioni nell’orecchio medio con bombatura timpanica, estroflessione della membrana e ipomobilità, più tutti i sintomi dell’infiammazione come dolore più o meno acuto, febbre e quanto ricordato prima.

Per quanto riguarda il trattamento dell’otite media acuta, bisogna dire che l’80% dei bambini non trattati guariscono comunque mediamente in due settimane, mentre tale percentuale sale al 95% se si somministrano antibiotici: questo vuol dire che, in realtà, solo il 15% dei bambini con otite media acuta avrebbe bisogno di antibiotici per guarire.

Come comportarsi, allora, in caso di otite media acuta in un bambino? Dare o non dare antibiotici?

Sicuramente, se il bambino ha meno di due anni, gli antibiotici vanno dati. Dai due anni compiuti in su, si può pensare di darli solo se l’otite è bilaterale e se il bambino appare febbrile e sofferente.

Negli altri casi si consiglia di attendere qualche giorno prima di decidere: in media uno o due giorni dal primo controllo medico o dai primi sintomi riferibili a oma.

Passato questo lasso di tempo, durante il quale al bambino verranno somministrati solo antidolorifici al bisogno, il problema si può rivalutare se i sintomi, spontaneamente, non tendono a regredire.

E cosa ne è del pericolo di una mastoidite? Il rischio di questa complicazione è reale e frequente soprattutto fino a due anni, età nella quale si prescrivono antibiotici già in prima battuta comunque, senza aspettare i due giorni come per i bambini più grandi.

Però bisogna dire che studi su una vasta casistica di bambini con oma hanno dimostrato che, quando è presente, la mastoidite, quasi sempre è contemporanea all’oma e non una sua conseguenza, come spesso si crede.

Quale antibiotico per l’otite media acuta? 

Se, comunque, vi sono gli elementi per decidere una terapia antibiotica, essa va iniziata con amoxicillina (80-90mg/kg/die divisa in due o tre somministrazioni) da proseguire per una decina di giorni e, se poco o nulla efficace, si passa all’amoxicillina con acido clavulanico (stesso dosaggio ma in due somministrazioni giornaliere).

In caso d’impossibilità di somministrare amoxicillina per allergia o intolleranza al farmaco, si può optare per le cefalosporine (Cefmidir, Cepodoxime, Cefuroxime).

Se anche non fosse possibile prescrivere cefalosporine, la terza scelta cadrebbe sui macrolidi (azitromicina, claritromicina) e, per ultimi, ai sulfamidici.

Se il bambino presenta vomito ripetuto, si opterà per la terapia intramuscolare con ceftriazone.

Quindi, ricapitolando: amoxicillina in prima battuta, se non è efficace amoxicillina + acido clavulanico, se non è efficace cefalosporine oppure azitromicina oppure claritromicina e, alla fine, se il problema persiste, si può arrivare alla timpanocentesi per drenare le secrezioni dell’orecchio medio.

Bisogna, però, sapere che la persistenza di catarro nell’orecchio medio anche dopo la terapia antibiotica è altissima: il 70% dei bambini tre mesi dopo un’oma presenta secrezioni retro timpaniche; queste secrezioni sono presenti nei successivi tre mesi solo nel 10-25% degli stessi bambini. Pertanto il drenaggio timpanico andrebbe deciso solo se il catarro persiste oltre il sesto mese dall’episodio di oma oppure se vi è una riduzione dell’udito.

Otite media ricorrente

Come comportarsi in caso di otite media ricorrente?

Innanzitutto si parla di otite media ricorrente quando il bambino ha presentato nei precedenti sei mesi da 3 a più episodi di otite catarrale, cioè una ricaduta ogni mese o ogni due mesi, oppure 4 o più episodi in un anno, cioè anche un episodio ogni tre mesi ma in una osservazione di un anno almeno.

In questi soggetti valgono le raccomandazioni di profilassi ambientale: niente fumo nell’aria respirata dal bambino

  • allontanamento momentaneo per qualche mese dall’asilo
  • vaccinazione antipneumococcica
  • nessuna profilassi antibiotica, solitamente se il bambino ha già compiuto sei mesi.

Però se si intende profilassare un bambino per ridurre o evitare episodi di oma si preferisce il sulfamidico.

Rinosinusite 

Un’altra patologia delle prime vie respiratorie che può porre dei dubbi per quanto riguarda la terapia è la rinosinusite.

La rinosinusite è una infezione che, partendo dalle cavità nasali, si è diffusa ai vari seni o mascellari o sfenoidali o frontali del bambino che sono delle cavità ossee pneumatizzate, cioè ripiene di aria, che hanno la funzione di amplificare i suoni emessi dalla bocca.

Queste cavità si sviluppano in epoche successive della vita e, mentre i seni frontali e mascellari possono essere identificati già al 4°-5° mese di età gestazionale, i seni sfenoidali si riempiono di aria solo verso i 5 anni e i seni frontali non prima dei 7-8 anni procedendo nel loro sviluppo fino all’adolescenza.

Dal punto di vista della sintomatologia, non è facile distinguere una semplice infezione alle adenoidi da una sinusite batterica, ma, statisticamente, le infezioni dei seni facciali sono per circa il 90% delle volte di origine virale e solo in un 10% dei casi si può dire con certezza che vi sia la presenza di batteri patogeni, mentre le adenoiditi sono più facilmente di origine batterica.

Comunque, dopo una adenoidite virale o una rinite, sia virale che allergica, non è rara la comparsa di una sovrapposizione batterica e in questo caso i germi più frequentemente responsabili sono pneumococco, emofilo e moraxella catarralis, cioè gli stessi germi più frequentemente implicati nelle infezioni batteriche dell’orecchio.

Come si fa una diagnosi di rinosinusite?

Se nell’ambito di una iniziale patologia da raffreddamento di presunta origine virale caratterizzata anche da rinorrea chiara e trasparente nei primi tre giorni e giallastra e densa nei giorni successivi, le secrezioni nasali non diminuiscono ma anzi, dopo una o due settimane si intensificano, ricompare tosse, alitosi e magari anche febbre e cefalee, nei casi più marcati, edema della faccia e dolore alla pressione nella sede dei seni nasali o frontali o in zona sopraorbitaria, oltre, eventualmente, a dolore a un dente, la diagnosi non pone particolari dubbi: la terapia antibiotica è indicata ed essa sarà sostanzialmente la stessa consigliata per le infezioni dell’orecchio medio.

Faringotonsilliti 

Nell’80% dei casi le faringotonsilliti sono sostenute da virus (rhinovirus, coronavirus, virus influenzali e parainfluenzali, adenovirus, virus di Ebstein Barr, virus coxsackie, virus herpetici).

L’obiettività è spesso simile alle tonsilliti batteriche, ma quando risulta molto infiammato anche il palato e il faringe nel suo insieme, non esclusivamente le tonsille e quando vi sono vescicole o petecchie, è più facile sostenere l’origine virale della faringotonsillite anche se febbre, mal di gola e linfonodi laterocervicali sono presenti ugualmente in entrambe i tipi di tonsilliti.

L’origine batterica va sospettata quando a essere infiammate e ingrossate sono esclusivamente le tonsille, quando è presente pus evidente, vomito e malessere generale.

Gli streptococchi beta emolitici di gruppo A come anche di gruppo C e G sono frequentemente in causa, ma in un bambino che ha già compiuto i tre anni, non bisogna trascurare l’eventualità che si tratti di un’infezione da clamidia o da micoplasma.

Le faringotonsilliti da streptococco sono, ovviamente, molto frequenti, ma meno di quelle sospettate al semplice esame clinico, mentre, eseguendo a tappeto tamponi faringei in una comunità, si può scoprire che un numero decisamente insospettato di soggetti apparentemente sani sono, in realtà, portatori sani di streptococco.

Se si è di fronte a una tonsillite da streptococco, il farmaco di scelta è la penicillina da proseguire per dieci giorni, altrimenti, molto efficace è anche l’amoxicillina.

La terapia antibiotica può anche iniziare al solo sospetto clinico di infezione da streptococco, ma se il tampone dovesse risultare negativo, ovviamente, va immediatamente sospesa.

I portatori sani di streptococco vanno trattati con antibiotico solo se la loro presenza a fianco di un bambino può essere un rischio (bambino molto piccolo, bambino a rischio di malattia reumatica, bambino con deficit immunologico o con una grave malattia oncologica in chemioterapia e via discorrendo).

In tal caso andrebbe trattato con una cefalosporina.

Bisogna, però, ricordare che la condizione di portatore sano di streptococco non predispone alla malattia reumatica perché la predisposizione alla malattia reumatica è genetica e non indotta dallo streptococco, quindi i portatori sani si devono curare quando costituiscono un rischio per gli altri, non per se stessi, a meno che, appunto, non siano essi stessi predisposti alla malattia reumatica.

Una terapia antibiotica in caso di infezione streptococcica, comunque, può e deve essere sempre molto ponderata e iniziata quando vi è certezza della sua reale utilità: così facendo, non si deve temere di perdere tempo prezioso perché per prevenire la malattia reumatica è sufficiente iniziare la terapia antibiotica nove giorni dopo l’inizio dei primi sintomi.

Bisogna sempre ricordarsi che la penicillina rimane, in questi casi, il farmaco di prima scelta.

È assolutamente sconsigliato, salvo casi eccezionali che sconsigliano l’uso di altri antibiotici, utilizzare i macrolidi (azitrocina, claritromicina) come prima scelta nella terapia delle infezioni da streptococco perché essi inducono resistenze del germe alla penicillina con il rischio di non avere più antibiotici idonei da poter utilizzare in seguito.

Laringite ipoglottica

La laringite ipoglottica croup è una infezione molto spesso di origine virale (75% delle volte) e i virus implicati sono i parainfluenzali, i virus influenzali A e B, gli adenovirus e i virus respiratori sinciziali.

La diagnosi differenziale tra laringite acuta virale o batterica, però, deve essere sempre posta con molta attenzione perché sarebbe un rischio sottovalutare alcune tracheiti batteriche che, a volte, esordiscono con gli stessi sintomi di una laringite virale (tosse secca, stridore inspiratorio, raucedine), ma possono evolvere verso forme molto più gravi con grossa difficoltà respiratoria, retrazioni giugulari durante l’inspirazione, temperatura molto alta, stato tossico, salivazione e profonda prostrazione.

In tal caso la terapia antibiotica va iniziata immediatamente, magari affiancata a quella cortisonica per ridurre velocemente l’edema che causa difficoltà respiratoria.

L’eventuale scelta dell’antibiotico da somministrare dovrebbe cadere sulla penicillina o sulle penicilline semi-sintetiche, cefalosporine e macrolidi solo come seconda o terza scelta.

Bronchiolite 

La  bronchiolite una patologia di origine virale che interessa i bronchioli, cioè le terminazioni finali dell’albero bronchiale, dovuta principalmente al virus respiratorio sinciziale, ai virus influenzale e parainfluenzale, all’adenovirus e al rhinovirus, che abbiamo visto essere gli agenti patogeni più frequentemente responsabili delle infezioni delle prime vie respiratorie dei bambini.

L’uso dell’antibiotico in questa patologia deve, quindi, essere riservato ai casi più impegnativi (bambini ospedalizzati a causa della insufficienza respiratoria, bambini con sovrapposizione batterica e polmonite secondaria) e la scelta dell’antibiotico deve essere effettuata caso per caso tenendo conto dell’età del bambino (non dimenticare la possibilità di broncopolmoniti da clamidia nei bambini molto piccoli) e della stagionalità.

Polmoniti e broncopolmoniti 

Le polmoniti e le broncopolmoniti sono infezioni del parenchima polmonare che, in base all’età e all’inserimento o meno del bambino in una comunità di altri bambini, può avere una origine prevalentemente virale o prevalentemente batterica.

Senza trascurare la possibilità che una polmonite virale possa complicarsi con una sovrapposizione batterica, possiamo dire che il 90% delle polmoniti entro il primo anno di vita sono virali, mentre sono virali solo la metà delle polmoniti dei bambini in età scolare fino a essere soprattutto batteriche le polmoniti dei ragazzi più grandi e degli adulti.

I virus maggiormente implicati sono fondamentalmente gli stessi di quelli che sono responsabili di altre patologie delle vie aeree dei bambini e a essi vanno aggiunti il citomegalovirus e gli enterovirus.

In linea di massima, quando il bambino ha compiuto tre anni, bisogna sempre considerare l’eventualità che la broncopolmonite sia batterica (a meno che le condizioni generali del bambino non siano buone, l’impegno respiratorio e la febbre scarsi e la polmonite segua di poco una banale infezione da raffreddamento delle prime vie respiratorie). In questo caso, i batteri maggiormente responsabili sono lo pneumococco, il micoplasma pneumoniae e la clamydia pneumoniae.

Più rare sono le polmoniti da stafilococco, da bordetella pertussis, da emofilo non capsulato e da moraxella catarralis.

In una polmonite o broncopolmonite di un bambino, comunque, l’antibiotico deve essere sempre tenuto a portata di mano, perché più di un terzo delle forme anche inizialmente virali si complica con sovrapposizioni batteriche.

Tra l’altro, le classiche analisi che, quando alterate, potrebbero fare la differenza tra infezione virale o batterica, in caso di polmonite danno spesso risultati sovrapponibili: cioè VES, PCR e leucociti (anche neutrofili e non solo linfociti) aumentano sia che si tratti di infezione batterica sia che si tratti di polmonite da adenovirus o virus influenzali. Nel dubbio, quindi, si opta spesso per la terapia antibiotica.

La scelta dell’antibiotico da usare, però, in questo caso non è semplice. Dovrebbero orientare le considerazioni epidemiologiche, la distribuzione geografica, la farmacoresistenza, la gravità del quadro clinico e l’età del bambino.

Comunque, anche in mancanza di analisi di laboratorio, orientano verso una polmonite batterica la temperatura molto alta, lo stato di malessere generale, la frequenza respiratoria superiore a 50 atti respiratori al minuto e tutto il corollario di sintomi legati alla difficoltà di ossigenazione del bambino.

In linea generale, nei bambini di età compresa tra 3 mesi e 5 anni, si consiglia l’amoxicillina per 7-10 gg ad alte dosi oppure ceftriazone per via intramuscolare se non è possibile somministrare l’antibiotico per bocca.

Se dopo 48 ore non si notano miglioramenti, si può sostituire l’amoxicillina con una cefalosporina.

Attenzione ai ceppi di pneumococco resistenti all’amoxicillina.

Nei bambini che hanno già compiuto 5 anni si preferisce iniziare la terapia con un macrolide (claritromicina, azitromicina, eritromicina) e, solo se non vi sono miglioramenti dopo due o tre giorni di terapia, si associa al macrolide amoxicillina o una cefalosporina e si attende di rivalutare il quadro clinico dopo altri tre giorni.

Quando un bambino è in grado di assumere un antibiotico per via orale non è necessario prescrivere la terapia antibiotica per via intramuscolare in quanto la percentuale di assorbimento e l’efficacia del farmaco sono le stesse, eccettuato un lieve ritardo nel raggiungimento della concentrazione ematica massima quando si usa l’antibiotico per bocca.

Infezioni delle vie urinarie 

Passiamo ora a inquadrare l’approccio terapeutico delle infezioni delle vie urinarie dei bambini.

Le infezioni delle vie urinarie costituiscono una evenienza frequente nei bambini.

La prevalenza di esse varia con l’età ma, salvo i primi tre mesi di vita, epoca nella quale queste infezioni sono più frequenti nei maschi, in tutte le altre età vi è una netta prevalenza di femmine affette da questo problema, prevalenza che, comunque, inizia a manifestarsi nel secondo anno di vita.

Le ivu sono spesso ricorrenti. Esse vengono tradizionalmente distinte in alte e basse e nella pratica ambulatoriale le analisi di laboratorio possono orientare verso la diagnosi di infezione alta, cioè comprendente anche i calici renali e i reni e una infezione bassa, limitata alla vescica.

Nell’infezione urinaria alta vi è sempre febbre più o meno alta, stato generale compromesso, spesso nausea e vomito, dolore addominale e lombare, aumento dei globuli bianchi, VES superiore a 20-30 mm/h e PCR superiore a 20-30 mg/l.

Nelle infezioni basse, invece, la febbre è scarsa o assente, lo stato generale non è compromesso, vi è dolore alla minzione, VES e PCR sono poco o nulla alterate.

Questa distinzione, però, può essere molto insidiosa nel lattante che può non manifestare sintomi caratteristici anche in presenza di una pielonefrite piuttosto avanzata.

Per questo, oltre, naturalmente, a una urino cultura che non bisogna mai dimenticarsi di prescrivere, è bene non trascurare mai, nei bambini molto piccoli, segni aspecifici come lieve pallore, mancanza di appetito e scarsa crescita ponderale, vomito, diarrea, urine maleodoranti, irritabilità o, semplicemente, una febbre isolata senza apparente motivo.

Nei bambini l’80% delle infezioni delle vie urinarie sono causate dall’Escherichia Coli, più raramente da altri batteri come il Proteus Mirabilis, la Klebsiella, il Citrobacter, la Serratia, la Salmonella e lo Pseudomonas, questi ultimi implicati soprattutto in caso di infezioni ricorrenti su base malformativa.

L’infezione del tratto urinario si verifica usualmente per via ascendente e il principale serbatoio di germi è rappresentato dall’intestino.

Nei maschi, la colonizzazione del prepuzio può essere un’altra fonte di infezione.

Quando la cistite è francamente emorragica e non si ritrovano batteri, molto probabilmente è dovuta ad adenovirus.

È molto importante fare diagnosi precisa e precoce di infezione delle vie urinarie perché se trascurata per diagnosi intempestiva o per terapia inadeguata, l’infezione può intaccare il parenchima renale con cicatrici irreversibili e sequele a lungo termine.

Il trattamento antibiotico deve, quindi, oltre che curare l’infezione, prevenire escongiurare il danno renale.

La terapia varia secondo il quadro clinico: se si è di fronte a infezione renale alta, è bene iniziare subito con amoxicillina e acido clavulanico data l’alta probabilità che essa sia sostenuta da colibatteri. In alternativa, si può optare per il cefaclor e il cefixima.

Pareri controversi sono riservati all’uso del cotrimoxasolo e di trimetoprim.

La terapia va protratta per almeno una decina di giorni ma se il quadro sintomatologico e clinico del bambino non migliorano dopo massimo due giorni, la terapia va rivalutata.

Infezioni alle basse vie urinarie

Le infezioni delle vie urinarie basse, fino al dodicesimo mese di età vanno trattate con amoxicillina e acido clavulanico e dopo il primo anno di vita, con trimetoprim e cotrimoxasolo (bactrim).

Le cistiti batteriurie asintomatiche così frequenti e tipiche delle bambine in età scolare non vanno trattate. In caso dovessero comparire sintomi è indicato iniziare una terapia antibiotica per via orale con bactrim in due somministrazioni giornaliere. Oppure con nitrofurantoina oppure con acido nalidixico.

Questi farmaci sono tossici nei lattanti.

Nell’impossibilità di utilizzare questi antibiotici si ricorrerà alle cefalosporine che vanno comunque riservate come farmaci di seconda scelta.

Il problema da non trascurare nella gestione delle infezioni delle vie urinarie è quello delle recidive.

Per evitarle può essere opportuno attuare una profilassi antibatterica. La profilassi è sicuramente indicata dopo una infezione alle alte vie renali, in tutti i casi di infezioni alle vie urinarie sostenute da malformazioni non suscettibili di terapia chirurgica, nelle cistiti che hanno dimostrato di recidivare (due o più episodi in sei mesi) e quando all’ecografia prenatale è stata evidenziata una patologia malformativa alle vie urinarie, almeno fino al compimento degli accertamenti diagnostici post-natali.

Nei bambini più grandicelli, si preferisce attuare la terapia profilattica con cotrimoxasolo o nitrofurantoina (un terzo della dose terapeutica una volta al giorno la sera), ma nei lattanti di pochi mesi, la profilassi si attua con amoxicillina più acido clavulanico o concefaclor.

Quando ricorrere agli antibiotici nelle infezioni alle basse vie urinarie?

Ma quando è indicata la profilassi antibiotica? Quando il primo episodio di ivu è stato seguito da altri nell’arco di pochi mesi, quando non si sono ancora completati gli accertamenti diagnostici atti a ricercare o escludere la presenza di uropatie malformative, quando una malformazione alle vie urinarie provocante reflusso o ristagno d’urina è stata accertata e non è suscettibile di intervento chirurgico immediato (andrebbe mantenuta fino a due o tre anni di vita, fino alla fine, cioè, del periodo di massimo rischio per sclerosi del parenchima renale a seguito di infezione), fino a che non si sia certi che le vie urinarie non presentino malformazioni e l’episodio infettivo sia completamente debellato.

Nelle femmine pone non pochi dubbi il reperimento di una batteriuria lieve e asintomatica persistente nelle urine, cioè di una concentrazione bassa di batteri nelle urine persistente anche dopo terapia antibiotica.

Se il batterio è il coli, se il bambino o la bambina non presenta sintomi e la carica batterica è bassa, non si somministrano antibiotici.

La causa del permanere o del ritrovare batteri in scarsa quantità nelle urine, soprattutto di una bambina, sono varie: si tratta di cause anatomiche (uretra corta), stipsi che porta a un inadeguato svuotamento del retto e al persistere di batteri fecali che possono contaminare i genitali e la vescica per risalita, inadeguato svuotamento della vescica durante la minzione con conseguente ristagno di urina in vescica, fattori legati alle proprietà di adesività sulla parete della vescica che hanno certi batteri oppure, ovviamente, cause malformative.

Un esame delle urine è considerato negativo quando presenta meno di 10leucociti/ml e positivo quando presenta più di 100 leucociti/ml. La presenza di emazie è tollerata solo in piccolissime quantità, massimo10 per campo visivo del microscopio e non si devono evidenziare proteine né cilindri né tantomeno nitriti (questi ultimi, essendo prodotti dal metabolismo dei batteri, sono chiaro indice di moltiplicazione batterica attiva). Il pH urinario deve essere basso, inferiore a 6 e i batteri non devono superare i 100.000 per campo visivo.

Importantissime, a questo proposito, sono le modalità di prelievo del campione di urine da inviare in laboratorio che devono osservare rigorosamente le regole dell’asepsi e il campione, una volta raccolta l’urina, deve essere portato in laboratorio e seminato su apposito terreno di coltura possibilmente entro 30 minuti dalla raccolta.

Infezioni alle alte vie urinarie

Come procedere in caso di infezione delle vie urinarie alte, cioè di pielonefrite?

Terapia antibiotica immediata, urinocultura dopo tre giorni senza sospendere la terapia, se urinocultura negativizzata, continuare la terapia per 7-10 gg, cioè 10-12 in totale e procedere con una terza urinocultura, se negativa anche questa, iniziare profilassi antibiotica per uno o due mesi ai dosaggi raccomandati sopra.

In caso di persistenza di positività dell’urinocultura, cambiare antibiotico fino alla sua negativizzazione e seguire poi lo schema precedente.

Contemporaneamente all’inizio della terapia antibiotica, eseguire un’ecografia: se patologica si procede con una uretrocistografia minzionale e una urografia discendente.

Queste analisi sono indicate anche quando non si riesce a sterilizzare le urine dopo tre cambi di antibiotico, indipendentemente dalla negatività dell’ecografia.

L’infezione delle vie urinarie basse, cioè la cistite, si cura per una settimana come la patologia precedente, poi si esegue una urinocultura una volta al mese per sei mesi e se qualcuna di esse risultasse nuovamente positiva si pratica profilassi antibiotica dopo un secondo ciclo di terapia antibiotica diversa dalla precedente.

Molti batteri, però, sono considerati saprofiti e non patogeni: quando vengono evidenziati dall’urinocultura, quindi, non vanno curati con antibiotico.

Si tratta, nei maschi, della neisseria, dello stafilococco aureo, dell’acinetobacter, del mycobatterio smegmatis; mentre nella femmina sono considerati saprofiti la neisseria, l’acinetobacter e il lactobacillo.

L’organismo ha comunque le sue difese specifiche contro le infezioni delle vie urinarie: per esempio, stimolando la diuresi con un’abbondante introduzione di liquidi, si facilita l’eliminazione dei batteri, molti leucociti hanno la capacità di fagocitare i batteri e di distruggerli e vi sono anche delle sostanze aspecifiche come i glicosaminoglicani che fungono da sostanze battericide.

Come raccogliere le urine 

Per eseguire una corretta raccolta del campione di urine da inviare in laboratorio è opportuno:

  • Prelevare le prime urine del mattino
  • Se il bambino è continente, raccogliere nell’apposito contenitore sterile un campione di urine del getto intermedio (non le prime, non le ultime)
  • Pulire in modo estremamente accurato i genitali prima della raccolta delle urine
  • In caso di applicazione del sacchetto sterile in un bambino incontinente, oltre alla pulizia accuratissima dei genitali con soluzione detergente antisettica, va attuato un risciacquo a getto con acqua sterile o soluzione fisiologica e va asciugata la cute con garze sterili; si applica poi il sacchetto che ogni ¾ d’ora al massimo va sostituito se ancora vuoto; appena emesse le urine, il sacchetto va tolto, sigillato e il campione portato immediatamente in laboratorio perché la semina deve avvenire entro 30 minuti dalla emissione di urine

Dalla urinocultura deve svilupparsi un solo germe in quantità uguale o superiore a 100.000; i test di flogosi (ves, pcr), per sicurezza, dovrebbero essere valutati per fare diagnosi differenziale tra cistite e infezione delle alte vie urinarie oltre alle informazioni che possono derivare dall’esame delle urine unito, magari, al test di Thomas e al dosaggio degli enzimi urinari.

La risposta dell’urinocultura viene spesso accompagnata da antibiogramma, però a esso è bene attenersi soltanto quando le cistiti sono recidivanti perché non sempre la risposta e l’efficacia dell’antibiotico osservata in laboratorio corrisponde a quella in vivo.

Ultimato il ciclo di terapia antibiotica, qualora fosse necessario continuare con la profilassi antibiotica, la dose del farmaco si riduce a un terzo e si somministra la sera in singola dose.

Gastroenteriti 

Anche le infezioni gastrointestinali, nei bambini molto piccoli, sono da addebitarsi prevalentemente una causa virale.

I virus più frequentemente responsabili sono i rotavirus per il quale adesso esiste un vaccino, molto più raramente picornavirus, parvovirus, calicivirus, astrovirus e adenovirus.

Meno frequenti sono le gastroenteriti batteriche: queste ultime sono soprattutto causate dalle salmonelle dagli Escherichia Coli enterotossigeni e da quelli enteropatogeni; molto più raramente yersinia, stafilococco aureo (tossinfezioni alimentari), clostridium difficile e, in caso di disturbi prevalentemente gastrici, campylobacter jejuni.

Anche alcuni parassiti come la giardia e il cryptosporidium possono essere responsabili di infestazioni sintomatiche del tratto intestinale.

Diarrea virale e batterica 

Le gastroenteriti virali sono riconoscibili con una certa facilità perché la loro sintomatologia è spesso improvvisa e la diarrea che procurano è profusa con scariche frequentissime di tipo acquoso che possono manifestarsi con o senza febbre, a volte precedute da segni d’infiammazione alle prime vie respiratorie.

La diarrea virale è di tipo osmotico e la perdita di liquidi spesso ingente. Il meccanismo patogenetico dei rotavirus è dovuto al fatto che i virus infettano l’epitelio dell’intestino tenue e inducono la distruzione delle cellule della mucosa superficiale.

Le cellule distrutte rilasciano una proteina detta NSP4 che funziona come una enterotossina provocando la secrezione di cloro da parte delle cellule della mucosa e l’alterazione della funzione dei disaccaridi.

Viene così messo in atto un meccanismo che stravolge completamente la permeabilità cellulare e la capacità di digestione e assorbimento delle sostanze presenti nell’intestino che, assieme ai disaccaridi non assorbiti e non digeriti, richiamano acqua a profusione nell’intestino per osmosi e danno luogo alle caratteristiche feci liquide come acqua.

Nelle forme più gravi, i villi intestinali possono venire completamente distrutti e dopo la fase acuta può residuare per mesi una incapacità parziale di digestione di alcuni alimenti, soprattutto disaccaridi come il lattosio.

La diarrea di tipo secretivo, con presenza nelle feci di muco ed eventualmente anche di sangue, è, invece, caratteristica nelle infezioni batteriche del tratto intestinale.

Come riconoscere, quindi, una diarrea di origine virale da una diarrea batterica?

Generalmente, il riscontro di leucociti e di sangue nelle feci, assieme a muco, a un pH superiore a 6 e all’assenza di sostanze riducenti e a una quantità di sodio elevata (superiore a 70 mEq/L) indirizza verso una infezione batterica, così come il ritrovamento di una ridotta quantità di sodio nelle feci assieme a un pH inferiore a 5 e a un aumento delle sostanze riducenti fa pensare soprattutto a un’infezione virale.

Ma le differenze non sempre sono così chiare.

Feci abbondanti, acquose, senza muco né sangue, né leucociti si ritrovano nelle infezioni virali come nelle enteriti da salmonella, da giardia e da coli enterotossigeni, mentre la presenza di sangue, muco e leucociti è caratteristica delle infezioni da campylobacter, coli enteroinvasivi, alcune salmonelle, shighelle, clostridium difficile e entoameba H.

Quando ricorrere all’antibiotico?

Quando il bambino appare molto sofferente con condizioni generali compromesse e segni di sepsi generalizzata (non solo segni di disidratazione); quando la diarrea è ematica oltre che profusa, quando si tratta di un bambino di poche settimane, malnutrito e con deficit immunologici.

Ma soprattutto:

  • Si cura con un macrolide una diarrea grave da campylobacter
  • Si cura con metronidazolo il clostridium difficile anche se i sintomi non sono gravi
  • Si cura un coli con cotrimossazolo quando si tratta di diarrea grave e di un neonato
  • Si cura con amoxicillina la salmonella non tifoidea solo se in un lattante molto piccolo con condizioni generali compromesse
  • Si cura con amoxicillina una diarrea da shighella sempre
  • Si cura con ampicillina una salmonella typhi sempre
  • Si cura con metronidazolo una giardia sempre
  • Si cura con cotrimossazolo o cloranfenicolo una diarrea da yersynia solo se grave

Helicobacter pylorii

Tra le infezioni del tratto gastroenterico, una attenzione particolare deve essere concessa alle patologia da Helicobacter pylorii.

Nei bambini, l’H.P. può essere causa di difficoltà digestive e di ritardo di crescita.

Si calcola che circa un terzo dei bambini con dispepsia abbia nello stomaco o nel duodeno l’H.P.

Alcuni studi dimostrano che peso e altezza dei bambini con H.P. sembrano essere mediamente inferiori a quelli di bambini senza questo germe.

L’H.P. può causare difficoltà di digestione e carenza di ferro in molti bambini perché in questi l’assorbimento del ferro viene bloccato dalla latto Ferrina prodotta nella sede dell’infiammazione prodotta dal batterio.

Dopo la celiachia, sarebbe la seconda causa di anemia persistente da carenza di ferro nei primi anni di vita.

La presenza dell’H.P. nello stomaco produce uno stato di infiammazione cronica e una riduzione dell’acidità dei succhi gastrici per riduzione del cloro; il cloro favorisce la riduzione del ferro da sale ferrico a sale ferroso, più assorbibile, quindi una carenza di cloro determina un ridotto assorbimento cronico del ferro introdotto con gli alimenti.

Ma in caso di gastrite anche l’acido ascorbico viene assorbito con difficoltà e si sa quale ruolo importante ha la vitamina C nel favorire l’assorbimento del ferro.

Per di più, come molti batteri, l’H.P. cattura il ferro che utilizza per il suo metabolismo.

L’ Helicobacter pylorii causa gastrite, ulcera e, negli adulti, anche cancro e linfoma. La sua eradicazione dallo stomaco o dall’intestino del bambino previene l’ulcera e le patologie da accrescimento, nonché l’anemia sideropenica e la piastrinopenia.

Gli antibiotici idonei per eradicare l’H.P. sono, in associazione, amoxicillina e claritromicina, amoxicillina emetronidazolo, claritromicina e metronidazolo.

Nei bambini con gastrite cronica, essi vanno somministrati assieme a farmaci inibitori della pompa protonica come l’omeprazolo e la terapia standard per e radicare l’H.P. è l’associazione omeprazolo (10-20 mg 2 volte al dì per 7 gg) +amoxicillina (25mg/kg 2 volte al dì per 7 gg) + claritromicina (7,5mg/kg 2 volte al dì per 7 gg).

Infezioni cutanee

Le infezioni batteriche della cute sono spesso caratteristiche di lattanti di pochi mesi che frequentano una comunità come l’asilo nido o di bambini più grandicelli durante la stagione calda che si infettano spesso giocando con la sabbia o con la terra.

Normalmente sono sostenute da stafilococchi, in particolare lo stafilococco aureo coagulasi positivo, spesso portatore di infezioni anche gravi e diffusive di tipo esfoliativo e resistente alle comuni penicilline.

Questi stafilococchi, quando dalla cute si diffondono al circolo sanguigno, hanno la caratteristica di dare luogo a una forma simile alla scarlattina, che è di origine, invece, streptococcica.

Possono, però, essere anche sostenute da streptococchi e dare luogo alle caratteristiche manifestazioni crostose dell’impetigine.

Le dermatiti da stafilococco si curano con la cloxacillina o la dicloxacillina oppure con la cefalexina, mentre le lesioni da streptococco con l’amoxicillina o i macrolidi, oltre alle più comuni terapie locali a base di sostanze antisettiche e pomate antibiotiche.

Congiuntiviti 

Le congiuntiviti, infine, sono infezioni che possono essere sia di origine virale che batterica, micotica, nonché, ovviamente, allergica.

Dal punto di vista della loro sintomatologia, in generale e a prima vista, si possono assomigliare moltissimo e porre non pochi dubbi diagnostici.

Quelle di origine virale sono frequenti nei bambini che frequentano una comunità, contagiosissime e autolimitanti.

Se non si complicano con una sovrapposizione batterica esse vanno trattate unicamente con terapie sintomatiche locali a base, soprattutto, di antistaminici e di soluzione salina detergente.

Quelle batteriche riconoscono come causa, soprattutto, i germi che comunemente possono infettare cute e prime vie respiratorie, ma l’età di insorgenza può orientare verso una terapia piuttosto che un’altra (quando non si dispone di un tampone delle secrezioni oculari), così come le caratteristiche cliniche possono orientare verso un germe o un virus piuttosto che un altro.

Una congiuntivite insorta in un bambino di pochi giorni di vita può far pensare a una infezione dovuta a germi presenti nel canale del parto della madre (gonococco, clamydia) e può manifestarsi anche in forma grave se non si prendono velocemente dei provvedimenti con una terapia antibiotica sia locale che generale.

Una congiuntivite emorragica di un bambino più grandicello, specie se nell’asilo o nella scuola che frequenta, in pochi giorni, si sono riscontrati molti casi simili, fa pensare a una congiuntivite d’adenovirus e, a volte, da clamydia, se non si complica con una secrezione purulenta verosimilmente dovuta a sovrapposizione batterica, ma si manifesta con profusa lacrimazione chiara e trasparente, non sono necessari antibiotici ma semplici colliri antinfiammatori o antistaminici.

Tra i batteri che possono causare congiuntivite, i più frequenti sono l’emofilo e lo pneumococco.

Pericolose e gravi per le loro conseguenze sono le congiuntiviti erpetiche che vanno prontamente riconosciute e curate con farmaci antivirali specifici.

Tra gli antibiotici più comunemente usati per curare le congiuntiviti batteriche vi sono i nuovi fluorchinolonici come nerfloxacina eciprofloxacina e gli aminoglicosidici come tobramicina e metilcillina.

Leggi anche: Le malattie infettive in età pediatrica

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