L’elaborazione del lutto nei bambini

elaborazione del lutto nei bambiniQuando un evento tragico colpisce una famiglia, viene naturale pensare che il momento peggiore sia quello: la notizia, il funerale, il vuoto. E poi si ricomincia, e piano piano si va avanti.

In realtà, non è affatto una strada in discesa. E’ una salita a tratti molto ripida, che solo dopo del tempo diventa una strada piana, una lieve discesa, con salite ancora improvvise ma mai discese veloci. E’ così tanto più quanto la persona che si è perso era vicina e presente nella nostra vita.
Ho perso mio marito più di cinque anni fa in un incidente e solo adesso ho deciso di scriverne e questo la dice lunga.
I bambini avevano sette anni (la “grande”) e quasi tre (il piccolo).

La prima importante differenza fra bambini di diverse età è nella capacità di concepire la morte. A tre anni (e fino almeno a cinque/sei anni) il bambino non comprende che la morte di una persona è qualcosa di definitivo. Non subisce quindi un trauma sul momento, a meno che non sia esposto e scene tragiche e/o violente. Deve però essere accompagnato nei mesi successivi a comprendere, con le parole giuste, che quella persona non ritornerà più. Per questo, bisogna essere onesti e chiari, non utilizzare eufemismi e giri di parole. Dopo qualche settimana inizierà a fare domande, dopo qualche mese ne farà ancora molte. Mio figlio ha raggiunto il picco di domande sul papà dopo 9-10 mesi; per me, ovviamente, era come un coltello che si rigirava nella piaga e dovevo farmi forza per non liquidare l’argomento in modo troppo sbrigativo.

Qualcuno ha creato confusione nella sua testolina dicendo che il papà era andato in cielo, ma non bisogna dimenticare che i bambini piccoli prendono tutto alla lettera; lui, infatti, diceva di voler prendere l’aeroplano, pensando di poterlo vedere o raggiungere in quel modo, e collocandolo in uno spazio fisico si era fatto l’idea che in fondo avrebbe anche potuto tornare. Al di là delle proprie convinzioni spirituali o religiose, la priorità in quel momento è dire le cose giuste, e la cosa giusta è che il papà è morto e non tornerà più. Io ho cercato di spiegargli che la morte purtroppo è una condizione definitiva in cui il corpo di una persona non è più in grado di funzionare e “si spegne”, non può essere aggiustato, è come un oggetto e non più la persona che era prima, viene chiuso in una bara e messo in una tomba e lì rimane e piano piano diventa ossa e polvere, e l’ho portato più volte al cimitero. Questo perché lui si chiedeva dove fosse fisicamente e come fosse, il papà. Dopo tutto questo, con cautela e parole adatte all’età e alla comprensione del bambino, si può anche introdurre una speranza di qualcosa che si conserva, dell’anima della persona che forse, probabilmente, va in un posto che noi non possiamo raggiungere ma in cui un giorno tutti ci ritroveremo, quando sarà il momento.

Per quanto riguarda la bimba, invece, lei ha capito subito il significato di quello che era accaduto. L’ha negato, si è arrabbiata, abbiamo pianto insieme. Ha vissuto il funerale che ho cercato di presentare come un saluto al papà il più possibile gioioso, è stata aiutata dalla vicinanza di tante e tante persone che le vogliono bene, ha ripreso presto la vita precedente: era estate e una settimana dopo il funerale siamo andati al mare. Dopo un paio di mesi, è stato chiaro che cercava di evitare l’argomento e l’ha fatto per molto tempo, in parte perché non voleva pensarci, in parte per proteggere me. Non è stato facile trovare un compromesso fra il ricordare e l’affrontare un argomento doloroso per entrambe, forzarla a parlarne ma non troppo, affrontare il cimitero rispettando le sue resistenze. Avrei potuto fare di più e meglio, probabilmente, non fosse stato per il mio personale dolore da elaborare; confesso che non sono stata brava in questo, con la scusa di dovermi preoccupare soltanto dei bambini. Mi sono fatta aiutare da una psicologa e anche per la bimba è stato necessario un percorso di incontri individuali.

Mentre la perdita di un nonno può essere molto dolorosa, ma percepita tutto sommato come naturale, la perdita di un genitore non si digerisce mai completamente. E’ giusto, soprattutto i primi tempi, proteggere i bambini anche, ad esempio, evitando di parlare a scuola della festa del papà o della mamma, ma piano piano ne sentiranno parlare comunque e dovranno imparare a convivere con l’idea che gli altri hanno il papà vicino e loro non più e, magari, preparare il lavoretto per il nonno o lo zio.

A volte vedendo gli altri bambini con entrambi i genitori mi si è stretto un po’ il cuore, ma credo che sia stato più un problema mio che loro. E’ importante parlare, anche far notare che ogni famiglia ha le sue difficoltà, che tutto sommato per molti versi loro sono bambini fortunati, che molte volte la grande differenza la fa come si affrontano le cose. Adesso noi siamo orgogliosi della nostra famiglia, che siamo noi tre, prima di tutto… e i nostri gatti!

Se mantenere la propria individualità di famiglia è fondamentale, anche valorizzare la preziosa rete di affetti che i bambini hanno intorno è importante: nonni, zii, parenti, amici, li aiuteranno a sentirsi amati e protetti, quindi più sicuri.

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