I videogiochi sono entrati in casa mia quando i miei figli ancora non c’erano. Il marito si divertiva con la Playstation1 (quanto tempo è passato!) mentre io ricamavo lenzuolini e bavaglini per la bimba che stavamo aspettando. Quando i figli sono arrivati, la Play ha cominciato ad incuriosire anche loro…
Devo ammetterlo, hanno iniziato presto, in età da asilo. I primi videogiochi erano semplici e legati al loro mondo infantile: Winnie the Pooh, Tarzan, le macchinine, il calcio.
Chi stabiliva le regole, chi giocava con loro era il papà. La Play era sua e loro sapevano che senza lui presente e il suo permesso non si poteva giocare.
Lo sapevano e lo dicevano anche agli amichetti che, invitati a casa, chiedevano di poter provare questo o quel videogioco: senza il papà, niente Play.
Non solo, il fatto che l’utilizzo dei videogiochi fosse legato al papà, ha permesso creare un momento padre – figli privilegiato. Mio marito ha sempre lavorato lontano con orari che poco si conciliavano con la vita quotidiana dei bimbi. Il momento Play, chiesto dai figli nel week end, diventava un modo per divertirsi tutti insieme.
Finché è rimasto così, in casa mia non si poneva né il problema delle regole (la Play poteva essere toccata solo dal papà, che ne dettava i tempi di utilizzo) né della scelta del videogioco. Loro giocavano insieme al padre, che capiva subito se un gioco era adatto o meno, sia a livello di contenuti che di difficoltà.
Per tutto il periodo dell’asilo e dei primi anni di scuola elementare i videogiochi sono stati un corollario agli altri giochi. Erano l’appuntamento del week end e poco più. C’era tutto un universo di attività, giochi e divertimenti quotidiani che interessava e impegnava molto di più.
Poi i figli sono cresciuti e, come spesso accade in questi casi, le cose si sono complicate: dalla richiesta (mai evasa) di avere il Nintendo (console che avevano tutti i compagni) a quella di poter giocare ogni tanto anche durante la settimana con gli amici.
Lì si è fatta più forte la necessità di un controllo e di regole. E più i figli crescono, più questa necessità si fa pressante. Per non parlare del fatto che è sempre più difficile farsi obbedire!
In conclusione, a che età, secondo voi, si può cedere ai videogiochi? Io penso che se da una parte non si debba forzare i bambini a provarli quando ancora non ne manifestano la curiosità, dall’altra non sia necessario preoccuparsi se anche da piccoli, magari sotto l’esempio dei fratelli più grandi, chiedono di poter giocare.
L’importante, come al solito, è che noi li accompagniamo con regole e controllo, facendoci anche aiutare da strumenti come la classificazione PEGI, grazie alla quale si riesce a capire se un gioco è adatto o meno.
Voi cosa ne pensate?