Meravigliosi terribili due anni

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Sono davvero terribili questi bimbi duenni?

Se avete o avete avuto un figlio circa duenne sapete perfettamente di cosa stiamo parlando.

Se ne avete uno più piccolo, probabilmente lo scoprirete presto.

Perché anche gli angeli quando arrivano suppergiù ai due anni posano le alucce e l’aureola sulla loro nuvoletta e vestono un bel paio di cornine e una codina, chi più pronunciate, chi meno, e cominciano a punzecchiarvi con un bel forconcino su misura.

Tutto comincia un giorno come gli altri, la solita routine, il vostro bimbo è paffuto e sorridente come sempre. Ma oggi, a una vostra richiesta, a un richiamo o qualcosa del genere, il paffuto sorridente vi guarda dritto negli occhi e dice “No”. Un attimo di stupore, quindi con due parole lo convincete a ritrattare e tutto finisce qui. Ma il giorno dopo si ripete, e il giorno dopo pure, e cosi tutti i giorni, e sempre più spesso, finché, un altro giorno come tanti, il pupo non ritratta più, anzi ribadisce a voce più alta “No”, anzi “NOOOOOOO”.
Da qui in poi è un’escalation, ogni cosa e l’opposto di ogni cosa diventa “NO”, ogni occasione è buona per un bel pianto. Oltretutto la rotellina del volume del vostro paffuto non più tanto sorridente si deve essere rotta e l’impostazione permane costantemente su “max”. Il paffuto è sempre più spesso paonazzo, imbronciato, arrabbiato, urla e vi piglia a schiaffi, pugni, calci o quel che capita. Il top lo raggiunge quando si butta a terra in mezzo al supermercato sbattendo la testa sul pavimento.
A volte ci sono giorni di tregua in cui voi tirate un sospiro di sollievo, ma non fate neanche in tempo a finire il sospiro che tutto ricomincia.
A volte tutto si riduce a un piagnisteo continuo, che dopo qualche ora diventa logorante per i vostri nervi, come un tarlo che rode, rode, rode.

E voi, in tutto questo, prima ripassate mentalmente la teoria: “Non cedere, non urlare, mantieni la calma, dolce fermezza, ferma dolcezza, fallo ragionare”, quindi passate alla pratica.
Provate a farlo ragionare: nulla, neanche vi ascolta. Provate a ignorarlo: peggio che mai. Provate a coccolarlo, provate a sgridarlo, provate a consolarlo, provate a minacciarlo. La dolce fermezza diventa un po’ meno dolce e un po’ meno ferma, la calma un po’ meno calma e alla fine cosa accade?

  1. Cedete, il bambino si calma, pensate di avere risolto, e invece no! Un’ora, un giorno, una settimana dopo siete daccapo e più cedete e peggio diventa.
  2. Urlate, possibilmente anche più forte del bambino: l’unico risultato è un improvviso aumento dei decibel in casa vostra.
  3. Sculacciate, per sentirvi in colpa tre minuti dopo.
  4. Scoppiate a piangere anche voi (il peggio del peggio) e da guida per il bambino diventate bambine voi stesse.

E, come se non bastasse, la gente per strada vi guarda male, insinua che non sappiate essere una buona madre, che il vostro bambino è viziato, vi mette i piedi in testa e chi più ne ha più ne metta. La sera vi sdraiate nel letto, distrutte, e la vostra mente è piena di dubbi: “Dove avrò sbagliato? L’ho viziato? Sono troppo rigida, sono troppo flessibile?”, mettete in discussione tutta la vostra linea educativa e non riposate bene.

Terribile, vero?

Ma ora proviamo a vedere la cosa dal punto di vista del paffuto.
Sta giocando con le sue macchinine, quando lo chiamate per mettergli le scarpe e andare ai giardini.
“Sto giocando con le mie macchinine e non ho voglia di alzarmi per mettere le scarpe”, pensa lui, e dice “NO”. Lo chiamate una seconda volta. “Che palle sta mamma che vuole sempre dirmi cosa fare, io sono grande e so cosa fare, non voglio mettere le scarpe” e ripete “NO”. “Però mi piace andare ai giardini”, e guarda voi, che nel frattempo avete ripetuto la terza volta il richiamo, e avete un faccia non più tanto sorridente. “Cavoli, continua a dirmi cosa devo fare, io non voglio mettere le scarpe, posso decidere io. Però vorrei anche che sorridesse di nuovo, forse dovrei andare a mettere le scarpe, i giardini mi piacciono, ma voglio giocare con le macchinine” e urla “NO”. Voi ora siete arrabbiate e fate per prenderlo di peso. “Non mi toccare, decido io! Però è arrabbiata, oddio forse non mi vuole più bene. Forse devo andare a mettere le scarpe, però non voglio, ma poi lei non mi vorrà più bene”. È arrabbiato, ha paura, è insicuro, confuso ed è piccolo. Non sopporta tutte queste emozioni e cade in un vortice da cui da solo non riesce più a uscire. Urla e prende a pugni il pavimento per sfogarsi e perché non trova un modo migliore di esprimere il disagio.

Se è fortunato voi siete in giornata sì, siete rilassate, avete dormito la notte e riuscite a stare calme, trovate l’interruttore per spegnere il bambino, lo premete, quindi gli parlate e molto probabilmente in mezzora sarete ai giardini.
Se è un po’ meno fortunato, voi siete in giornata così così. Lo ignorate e aspettate che gli passi. Gli passerà, ma non avrà imparato nulla e resterà confuso. E domani ricomincerà.
1025683_little_girl.jpg Se è sfigato, voi siete stanche dopo una giornata di lavoro, avete mille altre cose da fare, siete logorate da altri dieci giorni di piagnistei e non reggete più, urlate, sculacciate, piangete. E invece di aiutarlo a uscirne, precipitate nel vortice insieme con lui.

Mi sa che per il paffuto e ancora più terribile che per voi, non credete?

Sì, sono terribili questi due anni. Ma ora aggiungerei un aggettivo, anzi un avverbio: sono MERAVIGLIOSAMENTE terribili questi due anni.

Certo, vedere un bambino in quello stato e non sapere da che parte prenderlo sarà anche terribile, e sarà terribile per lui sentirsi tanto confuso, arrabbiato, triste da comportarsi in quel modo. Ma il motivo per cui questo accade non ha assolutamente nulla di terribile.
Se avete vissuto anche solo in parte questa esperienza, forse avrete letto qualcosa sull’argomento e avrete notato che spesso questa fase della crescita del bambino è chiamata “la prima adolescenza”. Sì, perché è ora che il vostro bambino, dopo nove mesi in simbiosi con voi, dopo circa un anno di totale dipendenza anche fisica da voi, dopo un altro anno di autonomia fisica e motoria ma durante il quale voi eravate comunque tutto il suo mondo, scopre che c’è tutto un altro mondo là fuori, che lui è una persona, che può e deve essere una persona indipendente da voi.

Vuole essere grande, anche se ancora non lo è, e va in crisi. Eppure è così che si cresce. È una tappa evolutiva fondamentale, e il salto che il vostro bambino sta per compiere è enorme. Sta spostando il centro del suo mondo da voi a se stesso, sta imparando a essere autonomo. Sta per spiccare il suo primo volo, tutto teso verso il cielo, tremante di fronte all’altezza, bramoso di libertà e timoroso di lasciarsi il nido alle spalle. Forse non è sicuro che il nido sarà sempre lì.
Fa fatica lui, fate fatica voi, ma alla fine un miracolo si compirà di fronte ai vostri occhi: il vostro piccolo bimbo paffuto diventerà un bimbo “grande” e inizierà la sua vera avventura nel mondo.

Solo questo sarebbe sufficiente a farmi dire che questi meravigliosi terribili due anni sono davvero terribilmente meravigliosi.

Ma non è finita qui.

Perché accanto ad un bimbo che cresce, c’è una mamma che lo accompagna.
Abbiamo la presunzione di crescere i nostri figli, mentre loro crescono da soli e il nostro compito è solo aiutarli, sostenerli, camminare al loro fianco. E non ci rendiamo conto che non sono loro a crescere grazie a noi, ma noi a crescere grazie a loro. Siamo mamme bambine con un lungo cammino davanti e sono quei piccoli paffuti sorridenti che ci mostrano la strada.
E così sbagliamo, correggiamo, consoliamo, urliamo, piangiamo, coccoliamo, cadiamo e ci rialziamo, finché un giorno…

Finché un giorno ci ritroviamo a chiudere la porta del bagno alle nostre spalle, di fronte a noi un cucciolo in mutande, accartocciato sul pavimento, che tenta invano di strappare il tappetino della doccia, gridandoci che non ci vuole più, che dobbiamo andarcene e lasciarlo stare e noi invece chiudiamo la porta e lo raccogliamo, lo prendiamo in braccio e lo culliamo come quando aveva pochi mesi, ma con molta più fatica perché ora ha due anni e ci assesta un bel calcione nella pancia e uno schiaffone in faccia, ma noi iniziamo a sussurrare, come quando era piccolo “Shhhh, shhhh” e lo costringiamo a piegare la testolina sulla nostra spalla. Ed eccolo l’interruttore! L’abbiamo trovato alla fine! Il cucciolo si calma, le urla diventano singhiozzi, poi si cheta del tutto. Dopo mezz’ora in quel bagno ci sono una mamma e un bimbo che parlano e si dichiarano il loro amore.
In quel bagno abbiamo imparato a chiudere le orecchie per ascoltare le parole che un cucciolo duenne non sa dire, abbiamo imparato ad ascoltare col cuore.

Finché un giorno nel supermercato riusciamo a dirgli come capiamo quanto lui sia arrabbiato perché non gli compriamo l’ovetto Kinder, è molto arrabbiato e ha ragione, lui ci guarda e si fa attento, ora possiamo spiegare: non si può comprare tutto quello che si vede, no, anche se questo ci fa un po’ arrabbiare. Lui capisce, sorride e cambia argomento.
Abbiamo imparato il valore della comprensione, dell’empatia. E quanto sia importante esprimerlo.

1011360_childrens_pleasure.jpg Finché un giorno ci ritroviamo in cucina con un piatto in mano e le fettine sul fuoco e sentiamo il duenne lamentarsi perché un lego non si incastra come lui vorrebbe. E che sarà mai, neanche ci badiamo, ma quella che a noi sembra un’inezia per lui non lo è affatto e in pochi minuti parte la sirena. Siamo lì con la cena da preparare, le fettine che bruciano, magari un secondogenito attaccato alle gambe che ci tira giù i pantaloni urlando un po’ anche lui (per non essere da meno), eppure questa volta invece di avere voglia di rompere il piatto sulla testa del duenne scopriamo di avere voglia di ridere, perché in fondo è buffo come da una gocciolina un bimbo riesca a fare un oceano. Il problema oggi è trattenerci, perché non è gentile ridere di fronte a una persona che è convinta di stare annegando, molto meglio aiutarla a uscire dal suo oceano immaginario e poi mostrarle quanto era piccola la gocciolina reale.
Nel frattempo le fettine hanno finito di bruciarsi, ma mentre spegniamo il fuoco noi annotiamo mentalmente che è opportuno ricordarsi anche in altre occasioni che a volte ciò che sembra un oceano e solo una goccia, non solo per i bambini.

Finché un giorno ci sorprendiamo ad attendere i due anni del nostro secondogenito, con timore, certo, perché si sa che quando si guarda un ostacolo superato sembra tutto facile, ma quando l’ostacolo lo troviamo davanti è tutta un’altra storia… con timore, ma anche con curiosità, quasi quasi non vediamo l’ora che arrivino. E sappiamo già che più avanti ci mancheranno.

Finché un giorno, forse, noi mamme bambine ci sveglieremo e scopriremo di essere diventate meravigliosamente mamme.

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