Gioie e dolori di fine allattamento

FineallattamentoTra poco Alex si sveglierà. E non verrà nel lettone per la poppata. Gli darò tanti baci, lo prenderò per la manina, lo metterò sul seggiolone, gli preparerò il latte vaccino e una fetta di pane tostato, mangerà con gusto, e non mi strapperà il golfino invocando la tetta.
È stato tutto così naturale, tranquillo, privo di conflitti! Esattamente come lo volevo io.

I segnali sono stati meno chiari di quelli dati quando Alex piangeva e girava la faccia dal capezzolo per calare da 3-4 a una sola poppata, ma mi sembravano indicativi: era entusiasta quando dopo essersi staccato dal seno per colazione andavamo in cucina a integrare con frutta, pane o yogurt, la suzione era meno convinta e lunga, ogni tanto si fermava per un sorriso, una carezza, una pernacchia: ecco perché ho provato a non offrire/non rifiutare, e nel giro di dieci giorni scarsi, a quanto pare, Alex si sta svezzando. Non sono stata io. È stato lui. È giusto e bello così. Sono contenta di averlo capito e di proseguire su questa strada, finché l’allattamento sarà solo un dolce ricordo.
Allora perché una parte di me è tanto malinconica?
La argino con cura: non c’è niente di peggio di un cucciolo che seguita a poppare per soddisfare un bisogno non proprio, ma della mamma. Tuttavia, non riesco a non essere confusa, turbata, come privata di qualcosa da cui emotivamente dipendevo. Mi stavo già preparando ad arrivare ai due anni sfidando la disapprovazione del resto del mondo, ho appena lottato per evitare antibiotici incompatibili con l’allattamento (ma ho fatto bene comunque, perché questo mi ha consentito di smettere gradualmente e non di colpo, con tutte le conseguenze del caso sul bimbo e sul seno).
Invece è finita. Perché mio figlio ha voluto emanciparsi, cosa che mi rende orgogliosa, ma con un sentire agrodolce che non mi aspettavo…

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