C’era una volta l’hobby

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Praticare un hobby dovrebbe essere un’esperienza piacevole, fine al rilassamento.
Anche per me era così, fino all’arrivo di mio figlio Francesco, 26 mesi, reincarnazione di Attila l’Unno!

Permettetemi di usare il termine italiano, a me più affine, "passatempo".

Il mio è il punto croce, praticato in maniera amatoriale, ovviamente, senza stare a badare troppo al retro, come si dovrebbe fare, ma alla soddisfazione che dà confezionarsi qualcosa da sè.

La parola stessa "passatempo" sembra indicare che il tempo lo si abbia; in realtà io devo ritagliare a morsi mezz’ora per potermi dedicare a questa arte fine, nonchè litigare con Francesco, decisamente insofferente a questa pratica.

Dato che lavoro a tempo pieno, l’unico momento in cui posso dedicarmi al ricamo è dopo cena.

Momento magico in cui i miei due pargoli, satolli per la cena, rinfrancati dal bagnetto, sotto ipnosi da canale satellitare di cartoni animati, non si picchiano, nè litigano, nè si fanno i dispetti, presi dalle avventure di topi o strani esseri cantanti.

Svolte le faccende domestiche, tento il colpaccio, sperando di farla franca. Mi siedo sul divano, con fare indifferente allungo la mano verso la borsa dove tengo i lavori e… zzziiiiippp! Scorre la cerniera, quasi in silenzio, verso il nirvana del punto croce… ma mio figlio, con orecchie sensibilissime a tutto ciò che non dovrebbe sentire, si gira con un urlo disumano: "Mammaaaaaaa, non boi che licami!!!!"

Ecco, il sunto è tutto lì, lui "non bo’!" … e, si sa, i desideri dei figli sarebbero ordini… dico sarebbero perché la sottoscritta, non intendendo sottostare a questo ricatto infantile, tenta la "gugliata impossibile"!

Così inizio il lavoro… o almeno, tento.

Manuzze paffute si allungano piano piano verso le mie matassine di filo, con fare indifferente. Blocco il tentativo, in maniera dolce: "Per favore, Francesco, no, che me le ingarbugli tutte… guarda i cartoni, che mamma ricama!". In risposta: un’occhiata angelica, sbugiardata da due fossette irresistibili, mentre di nuovo parte all’attacco!
"Quttu cos’è?" mi chiede afferrando il ditale.
Ma ho partorito un bambino o un polipo?
Quante manine ha?
E soprattutto, quanto sono sporche?!

Mollo tutto, prendo il pupetto e vado a lavargli le estremità, onder evitare un lavaggio preventivo alla tela che non è ancora finita e già risulta grigiognola e non per scelta cromatica!

Ritento l’opera di ricamo, mentre lui, l’unno, pare distratto dalle costruzioni.
Ma ecco che arriva, avvalendosi della formula più antica del mondo, il cuore di mamma.
Mi guarda con occhioni da cucciolo e mi dice:"Mami, Cecco bo’ in baccio!!".
Come resistere a un attacco così?! Impossibile!
Lo prendo, lo coccolo, lo poso, sperando in una tregua.

Ma a quel punto lui è offesissimo!
Che torto! Preferire uno stupido pezzo di stoffa a lui, principe incontrastato della maison!
E, in maniera del tutto consona all’età, rifila elegantemente un calcione, ben assestato, ai miei poveri stinchi!

Cedo dunque alla forza bruta.
Accompagnato da un sospiro, si risente il suono della cerniera, che stavolta chiude la mia borsa. Il lavoro torna a riposare sicuro, con le matasse ingarbugliate e il ditale leggermente storto, perché ci è passato sopra con il triciclo.

Prendo i miei due bimbi, li preparo per la nanna borbottando, domandandomi quando avrò l’onore di un po’ di tempo per me.

Ma mentre si accoccolano per sentire la fiaba… il loro sapore, il loro odore.
Non lo voglio ancora del tempo per me, preferisco darlo a loro!

Il ricamo può attendere, i figli no.

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