Donne di Giordania: una realtà che cambia

giordana.jpgMaha ha 30 anni. Quando era ragazzina lasciò Amman con la sua famiglia per emigrare in Australia. Dopo la laurea tornò sola in Giordania per una breve vacanza e qui decise di rimanere per lavorare nell’ambito umanitario: "Avevo voglia di ritrovare le mie radici e di fare qualcosa di utile, qui sono a mio agio ma mi manca la totale libertà di azione che avevo a Sydney. Vorrei sposare il mio fidanzato ma i miei genitori non sono d’accordo e ci vorrà molto tempo per convincerli".

I sentimenti contrastanti di Maha sono comuni a tante donne giordane, soprattutto quelle con un livello di istruzione superiore. Sono consapevoli di far parte di una società discriminante ma allo stesso tempo si adeguano alle regole imparate in seno alla famiglia e che difficilmente infrangeranno.
La condizione delle donne in questo paese arabo sta sicuramente evolvendo ed è interessante osservare quali sono i meccanismi e i protagonisti.

Il regno Hashemita di Giordania è un piccolo angolo di Medio Oriente che offre molte meraviglie turistiche e racchiude in sé tante caratteristiche culturali tipiche di questa regione, oltre a una peculiarità: la stabilità socio-politica in un’area di alta tensione, basti pensare alla vicina Palestina e all’Iraq.
Se percorrete le strade di Amman o entrate in un qualsiasi caffè, ristorante o negozio potete notare molte immagini dell’amata famiglia reale: re Abdallah, la regina Ranja e i loro quattro figli.

Ranja di Giordania in particolare è conosciuta a livello internazionale per il suo indubbio fascino, l’intelligenza e il suo attivismo sociale. La sua famiglia è palestinese, è cresciuta in Kuwait e si è laureata presso un’università americana. Da quando è regina ha fondato associazioni, presiede fondazioni, usa con intraprendenza i mezzi mediatici incluso il Web. Instancabile, si dedica tra le altre cose ai bambini che hanno subìto abusi creando per loro comunità protette, sostiene le imprese al femminile con progetti di micro-credito, si dedica a diffondere un’immagine degli arabi che vada aldilà dei pregiudizi.
Ma cosa si nasconde dietro a questa immagine affascinate?

Per capire il ruolo e l’importanza di questa modernissima regina è necessario dare uno sguardo più ampio alla realtà delle donne nel paese.
Molte delle donne più ricche ed emancipate assomigliano proprio a lei: capo scoperto, lavoratrici, viaggiatrici.
Eppure la maggior parte delle donne giordane si copre il capo in luoghi pubblici, non lavora e vive una vita scandita dai ritmi della famiglia e da leggi dettate dai maschi di casa.
Fino a pochi anni fa, una donna poteva viaggiare all’estero solo se accompagnata da un parente maschio, poteva essere data in moglie a 15 o 16 anni, non aveva la custodia dei figli minori in caso di divorzio, non poteva dare la propria nazionalità alla prole.

A tutt’oggi può accadere (ma il fenomeno è in drastica riduzione) che una ragazza sia uccisa dal padre per il semplice fatto di essere stata vista sola con un ragazzo in un luogo che non sia la propria casa. Ma sono i dati sulla violenza di bambini e di donne di tutte le età ad essere preoccupanti, dato che il fenomeno è quasi esclusivamente domestico e quindi circondato da un muro di silenzio.
Tuttavia gli indicatori sulla salute e l’educazione femminile sono buoni e sono tra i migliori del Medio Oriente. L’aspettativa di vita è salita da 50 a 72 anni negli ultimi due decenni, l’educazione primaria raggiunge l’87% dei bambini e la secondaria superiore il 60% delle ragazze, il 97% dei parti è seguito da personale esperto.

Il lento processo di emancipazione è iniziato negli anni 40 sulla scia del femminismo arabo, ma è grazie a recenti iniziative internazionali e alle politiche interne che si è velocizzato e concretizzato.

La Giordania ha firmato nel 1980 la Convenzione per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (CEDAW) e ha partecipato alla piattaforma d’azione dell’ultima Conferenza Mondiale sulle Donne (Pechino, 1995) organizzata dalle Nazioni Unite, a partire dalla quale il paese si è impegnato a rendere istituzionale lo sforzo di migliorare la condizione femminile.
La Principessa Basma, zia dell’attuale re Abdallah, presiede la Jordanian National Commission for Women (JNCW) attraverso la quale coordina le iniziative governative e non governative (esistono ben 22 ONG – Organizzazioni Non Governative – locali che lavorano sul territorio) che hanno come comune punto di riferimento le linee guida sancite dalla Conferenza di Pechino.

Questo dualismo politico-popolare è molto interessante e la dice lunga sul generale coinvolgimento del paese nel difficoltoso cammino verso la parità dei sessi.
La Costituzione Giordana non è discriminatoria nei confronti delle donne, ma lo era il sistema legislativo che per molti aspetti non le tutelava.

Grazie all’impegno del governo (e quindi della famiglia reale) e delle Organizzazioni Non Governative, recentemente molte leggi sono state modificate:
oggi chi uccide la figlia/sorella/nipote per l’onore della famiglia paga con una pena adeguata, e non con 6mesi agli arresti domiciliari;
oggi una donna può fare causa a chiunque le faccia violenza fisica o psicologica perché ha finalmente la possibilità di essere accolta in una comunità protetta finché potrà tornare a casa in sicurezza;
oggi una donna può viaggiare da sola, affittare le sue proprietà, avere la custodia dei figli fino alla maggiore età, usufruire di permessi di maternità.

L’altro grande cambiamento deve però avvenire a livello sociale, cioè dal basso, e questa è la vera rivoluzione che porterà vantaggi a tutta la comunità. Il primo strumento è diffondere la conoscenza dei diritti delle donne a tutti, maschie femmine. Per questo motivo le ONG locali organizzano corsi di sensibilizzazione in tutte le scuole e nelle comunità. Tutto ciò dovrebbe anche essere il presupposto per aumentare la partecipazione politica poiché nonostante le quote rosa introdotte da Re Abdallah, risiedono in Parlamento soltanto 11 donne.

Secondo Shrin Shukri, responsabile di Unifem, una maggiore rappresentanza politica è la chiave di svolta per avere grandi cambiamenti nella vita di tutti i giorni.
Il secondo mezzo è quello della conquista dell’indipendenza economica; solo il 15% delle donne che hanno avuto una formazione secondaria superiore lavora, e le ragioni stanno non solo nel ristretto potenziale del mercato del lavoro, ma anche nella percezione tradizionale della donna che si deve dedicare alla famiglia, siano i figli i o i propri genitori.

Come si può intuire, la barriera più grande sta nella struttura della società e nel sistema di valori e che fanno parte della cultura araba e che non hanno niente a che fare con la religione islamica, la quale invece ha avuto il pregio di valorizzare il ruolo della donna nella cultura beduina.

Di conseguenza, come sta accadendo o è accaduto in altri paesi arabi (ad esempio la Tunisia), l’emancipazione delle donne sta passando attraverso la modificazione delle antichissime tradizioni beduine che sono tuttora vive e diffuse. Bisogna ricordare che nonostante negli ultimi decenni ci sia stato, da parte di Re Hussein e ora del figlio Abdallah, un forte impulso verso la modernizzazione del paese, il tessuto sociale della Giordania è ancora di tipo tribale, con regole di convivenza stabilite all’interno di famiglie patriarcali che hanno ruoli ben divisi: il maschio ha il potere di vendetta e la donna è responsabile della reputazione e dell’onore del suo gruppo.

Le giovani generazioni stanno adottando comportamenti più simili ai paesi occidentali e abbandonano volutamente aspetti importanti della propria identità culturale per sottolineare il loro disagio, come parlare inglese tra loro, vestire in modo provocatorio, avere rapporti sessuali fuori dal matrimonio. Ma tutto è fatto all’oscuro della famiglia dove alla fine si torna sempre; basti pensare che si stanno moltiplicando le cliniche in cui si ricostruisce l’imene.

L’onore della famiglia deve essere preservato a tutti i costi e le ragazze lo sanno.

Forti anche del supporto dato dalle organizzazioni internazionali, le iniziative della Principessa Basma, di Re Abdalla e della Regina Ranja dimostrano per fortuna lungimiranza e modernità.
"Nel rispetto delle nostre tradizioni vogliamo trasformare la Giordania in una moderna società civile e in un modello per la regione, assicurando livelli di crescita economica sostenibili e lo sviluppo sociale. Inoltre, io lavoro nell’ambito della protezione dei minori e della sicurezza in famiglia, dell’empowerment per le donne, della creazione di opportunità per i giovani, della cultura e del turismo.
È troppo?
Sì.
Impossibile?
No.
Di fatto, queste sfide mi caricano ancora di più". (Ranja)

Ranja ci sta provando davvero, e con lei molte donne nella vita di tutti i giorni, per le generazioni future.

Fonti:
Pubblicazioni di Unifem, Amman


http://www.who.int/countries/

Grazie a:
Aida Abu Ras, Jordanian National Commission for Women (JNCW)
Mokarram Odek, Jordan Women’s Union (JWU)
Shrin Shukri, United Nations Development Fund for Women (Unifem)
Saja Amasheh, United Nations Office on Drugs and Crime (UNOCD)

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