La scuola si mobilita

mobilita

La serata è freddissima, ma l’atmosfera è calda, serena, di quella tranquilla serenità che si respira ancora nelle scuole di paese, dove tutti si conoscono fin da bambini. Ma bastano poche parole per gelare la sala, per far capire subito che la situazione è grave, ad un punto di svolta.

“Attenzione, questa è la ricetta. Bisogna tener
d’occhio i cuochi di questa bassa cucina. 
L’operazione si fa in tre modi: ve l’ho già detto: rovinare le scuole di Stato. Lasciare che vadano in malora. Impoverire i loro bilanci. Ignorare i loro bisogni. 
Attenuare la sorveglianza e il controllo sulle scuole private. Non controllarne la serietà. Lasciare che vi insegnino insegnanti che non hanno i titoli minimi per insegnare. Lasciare che gli esami siano burlette. 
Dare alle scuole private denaro pubblico.”


Ma chi ha mai scritto ciò? Calamandrei? 
Ma quando, la settimana scorsa? No, nel 1950…
Poche righe, e tutti ci accorgiamo subito che siamo in quella sala per parlare di qualcosa di estremamente serio: il futuro dei nostri figli.
“Avremmo potuto intraprendere una forma consueta di protesta come lo sciopero, ma, in un lavoro come il nostro” esordisce il professor G. “ ci pare che sia poco utile e molto controproducente. Abbiamo deciso di non attuare forme di lotta che possano ledere il diritto allo studio dei nostri ragazzi producendo incomprensioni fra i lavoratori della scuola e mondo esterno”.

E allora, questi insegnanti di un piccolo Istituto Comprensivo piemontese decidono di dedicare le loro serate pre-natalizie ad incontrare i genitori, le Amministrazioni, la cittadinanza, per lanciare un appello accorato: non c’è più margine di manovra, la scuola pubblica sta agonizzando. 
E ci sono proprio tutti, questi insegnanti, dalla scuola dell’Infanzia alla media secondaria. E di certo a casa avranno a loro volta figli, consorti, cene da preparare, panni da stirare, lavori da ultimare….ma come? Non erano loro quelli di cui si dice che han poca voglia di faticare? Che non han nulla da lamentarsi perché lavorano cinque ore al giorno e fanno tre mesi di ferie? Già, perché in questo singolare paese che è l’Italia si permette il dilagare di opinioni simili tra la popolazione, che vengono avvallate persino da alte cariche istituzionali che tirano bordate alla scuola pubblica e ai suoi insegnanti dai mass media.

Eppure i dati sono così chiari e lampanti che sembrano quasi troppo assurdi per essere veri…
– La volontà del Governo di aumentare l’orario di insegnamento dei docenti non tiene in debito conto del tempo che dedicano alla preparazione delle lezioni, alla redazione delle verifiche, alla correzione delle stesse, alla compilazione di registri e documenti, agli incontri con i genitori, alla progettazione di percorsi individualizzati, alla partecipazione a consigli di classe, collegi docenti, scrutini e tanto altro.
– L’aumento dell’orario taglia oltre 100.000 posti di lavoro attualmente occupati dai precari, cioè i supplenti!
– Il taglio alla scuola pubblica di 723 milioni di euro produrrà una riduzione delle ore di recupero, assistenza pre-scuola e interscuola, iniziative in collaborazione con enti del territorio, laboratori…
– Il Governo ha intenzione di immettere negli organi decisionali della scuola soggetti privati provenienti dal mondo dell’imprenditoria: trasformeranno la scuola in senso privatistico e saranno lieti di finanziarla, ma chiederanno in cambio la subordinazione alle logiche del consumo e del profitto.
– Se la scuola pubblica continuerà ad essere impoverita delle sue risorse umane ed economiche, i nostri sforzi saranno destinati al fallimento. Le nostre rivendicazioni sono sì dirette ad avere un maggiore riconoscimento, ma mirano soprattutto a salvaguardare un bene prezioso per l’intera società italiana.

Cala il silenzio in sala… e nella testa di tanti genitori si fa strada un’unica pressante domanda, che nel giro di pochi minuti prende voce: “Ma noi come possiamo aiutarvi? Cosa possiamo fare?”.
Parlare, scrivere, informare, diffondere. La gente, e non solo chi è direttamente interessato per avere un figlio in età scolare, deve sapere, deve comprendere, deve decidere di agire, smettendo il cattivo costume nostrano del “non mi riguarda”. E magari altre scuole decideranno per iniziative simili, magari la cosa inizierà a fare rumore…
Se la scuola pubblica subisce minacce continue che ledono continuamente la sua struttura e la sua stessa natura, allora è un fatto che riguarda tutti, chi è giovane, chi è vecchio, chi lavora e chi da essa si aspetta basi per un futuro.

“Una società civile si valuta da due fattori: come tratta i suoi studenti e come tratta i suoi malati”, conclude la maestra A. con la voce rotta.
In che società vogliamo vivere noi?

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