Infanzia dietro le sbarre

carcereNascere figli di detenute, ecco la colpa.
Per 70 bambini in Italia, la quotidianità è la vita dietro le sbarre, almeno fino ai tre anni di età.
Per la maggior parte sono figli di immigrate che “scontano” la pena assieme alla madre.

Insieme agli agenti di polizia penitenziaria, queste donne cercano di offrire una parvenza di normalità ai loro figli. Spesso giudicate madri inadeguate, incapaci nel loro ruolo, sono donne che per lo più arrivano dai margini della società: madri single con bassa scolarizzazione, prostitute, tossicodipendenti, Rom, straniere e immigrate clandestine, spesso giovanissime.

In Italia sono sei le carceri interamente femminili e solo sedici i nidi funzionanti, per un totale di circa 2.400 detenute, di cui una cinquantina madri. Vengono carcerate per reati riguardanti il patrimonio e le droghe, con pene relativamente brevi, a cui però vengono aggiunti mesi per la recidività.

Per i bimbi, costretti a stare in un ambiente così poco stimolante, non sono pochi i problemi che si presentano. Si riscontrano ritardi nel linguaggio e nelle capacità cognitive, scarsità di vocabolario: le prime parole pronunciate spesso sono “agente” o “apri”.
Prediligono il linguaggio simbolico, hanno poca fantasia e ricorrono molto al gioco ripetitivo, come aprire o chiudere le porte. Amano giocare con le chiavi, segno indelebile del loro vivere da piccoli carcerati. Anche loro, come le madri, devono attendere l’apertura dei cancelli da parte delle guardie.
Presentano comportamenti autolesionistici come sbattere la testa o graffiarsi, soprattutto quando vengono allontanati dalla mamma, con cui vivono in simbiosi e in spazi ristretti. Sono spesso insicuri, hanno difficoltà relative all’alimentazione e al ritmo sonno/veglia.

La madre vive con il pensiero dell’allontanamento forzato quando il bambino compirà tre anni, la preoccupazione di come poter accudire il proprio figlio, quando questo sarà al di fuori della struttura, e il dolore per il suo allontanamento.
Quando un bambino viene portato via dalla mamma, viene affidato a parenti, se ce ne sono, oppure a case famiglia o, a volte, dato in affido o adozione. Per molti di questi bimbi la prima infanzia è segnata dalla vita del carcere, altri in carcere ci nascono (ci sono madri che vengono carcerate in gravidanza).

Dal gennaio 2014 entrerà in vigore una modifica alla legge attuale, che regolamenta la detenzione delle madri in carcere. Il limite massimo di età verrà innalzato ai sei anni; sarà inoltre prevista una serie di norme per cui, se non sussistono gravi motivi, le donne imputate, se in gravidanza o con figli, non dovranno essere sottoposte a custodia cautelare in carcere.
In caso di eccezionale rilevanza, si potrà predisporre la custodia presso gli istituti a custodia attenuata per le madri (ICAM) che però scarseggiano. Per le madri condannate sono stati proposti gli arresti domiciliari presso le ICAM a patto che non abbiano commesso reati gravi, come quelli legati alla criminalità organizzata. Se il figlio si ammala e necessita di assistenza e per accompagnarlo a visite in emergenza,potrà decidere anche il direttore dell’istituto in cui la madre è ospitata (prima era solo il magistrato di sorveglianza, a sua discrezione).

Molte sono le associazioni di volontari che si occupano e si battono per i bambini, perché non debbano scontare reati sociali. La legge, infatti, pensa alla salvaguardia della società e non al rapporto madre-figlio. La cosa migliore sarebbe che nascessero molti ICAM (per ora ce n’è solo uno, a Milano), poiché resta il problema delle madri senza fissa dimora e delle recidive, magari sfruttando parte dei fondi destinati agli istituti penitenziari.
È comunque certo che, senza una modifica del regolamento penitenziario, ogni abbellimento strutturale è inutile.

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