Il nero e l'argento

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caterina
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Il nero e l'argento

Messaggio da caterina » mar ago 26, 2014 9:57 am

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Paolo Giordano[/center]

SINOSSI
È dentro le stanze che le famiglie crescono: strepitanti, incerte, allegre, spaventate. Giovani coppie alle prime armi, pronte ad abbracciarsi o a perdersi. Come Nora e suo marito. Ma di quelle stanze bisogna prima o poi spalancare porte e finestre, aprirsi al tempo che passa, all'aria di fuori. "A lungo andare ogni amore ha bisogno di qualcuno che lo veda e riconosca, che lo avvalori, altrimenti rischia di essere scambiato per un malinteso". È così che la signora A., nell'attimo stesso in cui entra in casa per occuparsi delle faccende domestiche, diventa la custode della loro relazione, la bussola per orientarsi nella bonaccia e nella burrasca. Con le pantofole allineate accanto alla porta e gli scontrini esatti al centesimo, l'appropriazione indebita della cucina e i pochi tesori di una sua vita segreta, appare fin da subito solida, testarda, magica, incrollabile. "La signora A. era la sola vera testimone dell'impresa che compivamo giorno dopo giorno, la sola testimone del legame che ci univa. Senza il suo sguardo ci sentivamo in pericolo".

COMMENTO
Ho DOVUTO leggere questo libro, perché Giordano ha fatto molto parlare di se con La solitudine dei numeri primi che a me, personalmente, ha detto pochissimo.
Il nero e l'argento segue la scia delle lamentazioni tanto care agli scrittori italiani dei quali comincio ad essere un po' stanchina. Credo di aver cominciato l'anno con la Gamberale e il suo tristissimo Per dieci minuti e ho proseguito con vari altri che descrivono la vita come un grande, sconfinato calderone fatto di dolore.
Giordano non si tira indietro nemmeno questa volta e si unisce al coro greco che tanto va di moda. Racconta una famiglia italiana come tante, giovane e squilibrata, in bilico e messa alla prova. Come lo sono tutte le famiglie di questo mondo, soprattutto quelle giovani. Eppure ciò che mi sembra di leggere, tra le righe, è "Guardate questi poveretti, come si sono ridotti".
E un pochino mi irrita.
Detto questo, la trama credo sia mediamente affascinante. La signora A. per otto anni entra in casa del narratore (un professore universitario 35enne) e di sua moglie Nora (arredatrice d'interni vitale e sfaccettata) ogni mattina. Si occupa della casa e, in seguito, del bambino. Un po' domestica, un po' balia, un po' nonna, un po' mamma, un po' elemento che mette equilibrio dove non c'è, alla sua morte (per cancro - elemento principe del libro) tutto viene a galla, prepotente.
E noi non possiamo che essere stupiti (sì perché è un'invasione di campo bella e buona) spettatori di questa catastrofe, di questo decadimento e di questa mancanza di speranza.
Tristezze italiche a parte, non mi sento di bocciarlo. Alcune riflessioni sono molto belle. La signora A. è un personaggio da ricordare con un sorriso.
Ancora una volta (come per Una piccola libreria a Parigi) la malattia del secolo (come piace, chiamare così il cancro!) protagonista di un libro.


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