"Non è colpa dei genitori" - di J. Rich Harris

Gwen

Messaggio da Gwen » mar mar 09, 2010 10:26 am

Rie ha scritto:Ma scardinare tutto mi sembra assurdo, e, soprattutto, non rispondente alla realtà.
Infatti....dicci come va a finire eh!



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Messaggio da Rie » lun mar 15, 2010 10:21 am

Gwen ha scritto:Infatti....dicci come va a finire eh!
Mi mancano le ultime 100 pagine e per ora NON ha risposto in maniera soddisfacente alla domanda fondamentale: perché mai l'ambiente non possa essere inteso, fra gli altri frattori, anche come influenza dei genitori.
Porta molti esempi sul linguaggio dei figli degli immigrati, che invece secondo me si spiegano perfettamente con le teorie tradizionali, che lei cerca di confutare, del linguaggio + cultura dominante che attrae le nuove generazioni immigrate, e non c'entrano un tubo con l'assunto "i genitori non servono/il carattere degli individui dipende dal gruppo dei compagni".
Anzi, si è fatta supponente, al limite dell'insopportabile, per quanto il saggio sia ben scritto. Insulta parimenti Golding e Freud con inutile sacrcamo, e tutti gli odiati accademici ciechi, naturalmente.
L'irritazione ormai prevale nella mamma lettrice, rispetto all'intelligenza della provocazione, che sulla distanza, in tutta onestà, mi sembra svilita dalla polemica.
C'è un solo, ultimo capitolo che forse può servirmi a rivalutare la tesi di questo libro: "Cosa possono fare i genitori?".
Sono curiosa di arrivarci, visto che la risposta finora è stata: un biiiiiiip :ihih:
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Messaggio da Rie » ven mar 19, 2010 11:57 pm

Rie ha scritto: C'è un solo, ultimo capitolo che forse può servirmi a rivalutare la tesi di questo libro: "Cosa possono fare i genitori?".
Sono curiosa di arrivarci, visto che la risposta finora è stata: un biiiiiiip :ihih:
Ho finito il libro e riporto le desolanti conclusioni del capitolo sopra citato: "Cosa possono fare i genitori"?
1) Offrire stimoli culturali, far apprendere abilità che, una volta passate al vaglio del gruppo dei coetanei, non siano da questi "vietate". Es: lezioni di pianoforte... ma se il gruppo è una gang del bronx scordatelo.
2) Assumere un ruolo improprio di leader del gruppo, facendo della famiglia un gruppo forzato ed escludendo i coetanei, eventualmente al fine di coartare il figlio lungo binari prestabiliti, con variabili successi determinati dai geni. Es: genitori-allenatori di bambini prodigio.
3) Manovrare, almeno finché sono piccoli e non si possono ribellare, per scegliere gli amici che avranno l'onore di incidere sul loro carattere.
4) Propiziare la loro buona posizione nel gruppo dei coetanei facendo sì che abbiano un aspetto conforme ad esso e attraente. Es: fornire gli abiti richiesti dal gruppo; mettere al bimbo l'apparecchio se ha i denti storti.
5) Amarli, perché se anche come genitori non abbiamo alcuna possibilità di determinare la loro personalità possiamo avere, per nostro e loro piacere, una relazione positiva con loro.
D'altro canto, che mai vogliamo? Da secoli e millenni le cose sono andate così, sono solo fisime della società occidentale contemporanea se siamo ossessionati dai sensi di colpa e dall'ansia da prestazione di genitori... A proposito, si sdogana pure la - occasionale e lieve - sculacciata, la si ritiene "parte del repertorio innato del comportamento genitoriale" ahahahaha!
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Messaggio da Rie » sab mar 20, 2010 12:22 am

Insomma, mi scuso con voi per aver proposto questo libro, che all'inizio mi aveva turbata ma affascinata, e alla fine mi ha solo offesa per la presunzione e lo svilimento del ruolo del genitore.

E' una provocazione intellettuale di cui forse si poteva fare a meno, anche perché non oso pensare a quale "vulgata" di questa teoria possa circolare e dar luogo a riprovevole menefreghismo (il punto 5 non mi pare sufficiente).

Inoltre, pur se da profana, mi resta la sensazione che sia proprio sbagliata nell'argomentazione, perché, spiacente per la saccente dottoressa Harris, ma a questa domanda di Gwen, che è anche la mia sin dalle prime righe del saggio
Gwen ha scritto:cioè fammi capire, in questo libro si dice che contano SOLO geni e ambienti e PER NIENTE il comportamento educativo dei genitori? :occhiodibue:
non fornisce una risposta degna.
Se la sua "teoria della socializzazione di gruppo" potesse essere intesa come: le norme del vivere sociale sono trasmesse più dal gruppo dei coetanei che dai genitori, potrei anche trovarci del buono, e un ancoraggio all'esperienza (ok, la mia limitata esperienza di occidentale contemporanea).
Ma nel momento in cui fa il passaggio da: coetanei che trasmettono le norme sociali -> coetanei che determinano in toto il carattere, e genitori che non contano alcunché, passa dalla teoria al DOGMA indimostrato, non meno odioso delle versioni estreme del dogma dell'allevamento (=è sempre e solo colpa dei genitori).
Infatti, alla stessa norma sociale trasmessa dai coetanei, ci possono essere reazioni diversissime del bambino/ragazzo.
Lei dice: a quel punto la differenza la fanno i geni.
A me pare più plausibile dire: sono ANCHE i genitori, intesi come fattore dell' "ambiente".
Le prove che porta l'autrice secondo me sono solo un ammasso di: ingiurie agli accademici e a Freud, critiche a studi di psicologia che, così a occhio, sembrano proprio offrire tutto e il contrario di tutto all'aspirante manipolatore di dati ansioso di dimostrare il suo dogma, nozioni antropologiche e storiche (se permette la Harris, mi fa piacere aver migliorato un tantino l'approccio alla genitorialità rispetto all'uomo preistorico, o anche solo rispetto all'800), infine richiami all'apprendimento della lingua da parte dei figli degli immigrati, che possono tranquillamente trovare una diversa e più tradizionale spiegazione, che nulla ha a che fare con il tema del saggio.
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Messaggio da Rie » sab mar 20, 2010 12:22 am

Insomma, mi scuso con voi per aver proposto questo libro, che all'inizio mi aveva turbata ma affascinata, e alla fine mi ha solo offesa per la presunzione e lo svilimento del ruolo del genitore.

E' una provocazione intellettuale di cui forse si poteva fare a meno, anche perché non oso pensare a quale "vulgata" di questa teoria possa circolare e dar luogo a riprovevole menefreghismo (il punto 5 non mi pare sufficiente).

Inoltre, pur se da profana, mi resta la sensazione che sia proprio sbagliata nell'argomentazione, perché, spiacente per la saccente dottoressa Harris, ma a questa domanda di Gwen, che è anche la mia sin dalle prime righe del saggio
Gwen ha scritto:cioè fammi capire, in questo libro si dice che contano SOLO geni e ambienti e PER NIENTE il comportamento educativo dei genitori? :occhiodibue:
non fornisce una risposta degna.
Se la sua "teoria della socializzazione di gruppo" potesse essere intesa come: le norme del vivere sociale sono trasmesse più dal gruppo dei coetanei che dai genitori, potrei anche trovarci del buono, e un ancoraggio all'esperienza (ok, la mia limitata esperienza di occidentale contemporanea).
Ma nel momento in cui fa il passaggio da: coetanei che trasmettono le norme sociali -> coetanei che determinano in toto il carattere, e genitori che non contano alcunché, passa dalla teoria al DOGMA indimostrato, non meno odioso delle versioni estreme del dogma dell'allevamento (=è sempre e solo colpa dei genitori).
Infatti, alla stessa norma sociale trasmessa dai coetanei, ci possono essere reazioni diversissime del bambino/ragazzo.
Lei dice: a quel punto la differenza la fanno i geni.
A me pare più plausibile dire: sono ANCHE i genitori, intesi come fattore dell' "ambiente".
Le prove che porta l'autrice secondo me sono solo un ammasso di: ingiurie agli accademici (e a Freud, e per buona misura pure al povero William Golding), critiche a studi di psicologia che, così a occhio, sembrano proprio offrire tutto e il contrario di tutto all'aspirante manipolatore di dati ansioso di dimostrare il suo dogma, nozioni antropologiche e storiche (se permette la Harris, mi fa piacere aver migliorato un tantino l'approccio alla genitorialità rispetto all'uomo preistorico, o anche solo rispetto all'800), infine richiami all'apprendimento della lingua da parte dei figli degli immigrati, che possono tranquillamente trovare una diversa e più tradizionale spiegazione, che nulla ha a che fare con il tema del saggio.
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