Ecco, ho letto tutto e più o meno molte cose mi son risuonate familiari nell'anima. Però questa frase mi ha colpito come un macigno, perchè è un male che mi fa soffrire da quando mi sono affacciata, giovanissima (19 anni), nel mondo del lavoro.Rie ha scritto: Fede, credo che tu soffra moltissimo della sproporzione, qui in italia orribilmente frequente, tra il tuo altissimo valore professionale e i risultati che riesci a ottenere anche impegnandoti al massimo.
Non so come sia possibile uscirne...
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L'impegno, i sogni, l'entusiasmo non bastava. Quindi ripresi a studiare, ma non bastava neppure quello. Poi ti arrendi alle bollette da pagare e quindi accetti, con un nodo in gola e con un costante senso di disgusto, al fatto che non è che se fai le cose bene e meglio di altri automaticamente potrai realizzare qualcosa.
Ma poi mi chiedo, se avessi fatto "carriera" o se in un futuro non troppo lontano riuscissi a realizzare i miei sogni lavorativi mi sentirei davvero più realizzata? Lo sentirei meno il peso del tempo che passa?
E non perchè il tempo che passa mi faccia apparire meno bella, ma perchè sento quella che da poetica adolescente chiamavo "la maledisione degli dei". Il desiderare l'eternità per i nostri sogni, per i nostri viaggi, e l'incombente TIC TIC TAC del nostro orologio biologico che scandisce il poco tempo a nostra disposizione.