Talita ha scritto:Ma non si tratta di giudicare chi vuole morire. Ma si fa di tutto per impedire a una persona di suicidarsi, se il tentativo non va a buon fine lo si cura, se si trova una persona impiccata ancora viva la si salva. Perché si tende a pensare che la morte non sia una soluzione giusta a un disagio psicologico.
La differenza con il ragazzo in questione, oltre al fatto che lui chiede a noi di morire perché materialmente non è in grado di suicidarsi, é che poiché malato si ritiene "socialmente accettabile" il desiderio di morire.
Io credo che la stessa attività di prevenzione vada fatta verso tutti i tipi di suicidio, quello assistito e quello tradizionale, anzi, nel primo c'è il vantaggio di conoscere l'intenzione in anticipo.
Sul discorso dell'ingerenza del credo cristiano sono d'accordo con te, come ho scritto sopra.
Per quanto riguarda la spiegazione del male, io non credo a un Dio malvagio che vuole la sofferenza di alcune persone. Io il male non me lo so spiegare (la scienza mi aiuta in questo, per fortuna, ma anche lei arriva fino ad un certo punto, spesso spiega il "come" ma raramente il "perché") per me questo é ancora ambito di discussione e riflessione. Mi viene in mente la storiella di S. Agostino e del bambino che tentava di mettere il mare intero in un buco sulla sabbia.
Ma son d'accordo sulla prevenzione. Solo che a volte non basta, e la linea di demarcazione fra il sopportabile e l'intollerabile è troppo personale.
Il discorso mi tocca molto. Dieci anni fa ho conosciuto un bambino dai ricci d'oro, con grandi occhi verdi, un'intelligenza viva, un'energia inesauribile. Cinque anni fa quel bambino, divenuto grande, si è spezzato il collo in un incidente stradale. Un anno di assurde speranze, poi la sentenza definitiva: paralisi dal collo in giù. Quattro anni di supporto psicologico non sono bastati neppure a fargli affrontare e superare il momento dello schianto. Si fatica a farlo uscire dal letto, e questo nonostante lui, a differenza di Fano, ci veda e quindi possa usare il PC.
Innumerevoli problemi di salute, dovuti all'immobilità, lo affliggono e lo costringono a frequenti soggiorni in ospedale.
Molte volte ha chiesto di essere portato in Svizzera per porre fine ai suoi giorni, cosa che ovviamente la sua famiglia non vorrà mai. Ma che ne sarà di lui se dovesse sopravvivere ai suoi genitori? O se loro non dovessero più essere in grado di accudirlo? Che farà senza l'amore di qualcuno a dargli conforto?
Io non riesco a pensare che questa sofferenza senza fine faccia parte di un piano di Dio. Mi piacerebbe davvero crederlo, perché la renderebbe più accettabile. Ma non ce la faccio. Forse sono troppo razionale, e non riuscirò mai ad abbandonarmi all'insondabile. Forse dovrei umilmente ammettere che ci sono cose che non capisco.
Però una cosa la so: che un giorno quel ragazzo dovrebbe avere il diritto di tornare a correre con i ricci d'oro al vento, e non sarà certo qui in questa vita.