il problema è che se lo sforzo di capire e rispettare non è reciprocoTrilli ha scritto:Paola, io penso che l'aspetto repressivo debba esserci.Paola ha scritto:Michela, l'esempio delle brigate rosse l'hai tirato fuori tu e anche per me non calza, se non per il fatto che quando si è voluto fare giustizia si è fatta.micmar ha scritto:
tra l'abiura di Curcio e l'inizio della lotta armata sono passati fiumi di sangue, qui si sta parlando di un fenomeno di dimensioni molto più grandi, siamo sicuri di volere pagare un prezzo così alto?
Per i ragazzi di cui parla Trilli è più pericoloso un terrorista in libertà che un razzista fascista che gli dici "negro di merda".
Perché il razzista lo spinge ad andare verso il terrorista, è indubbio, ma se il terrorista sta in galera, se non è il tuo imam, se non convive con te, hai voglia che provi ad educarti a morire a distanza e via whatsap.
Lo vogliamo capire che questi hanno avuto un lavaggio del cervello da chi è in libertà?
Ma non può restare un provvedimento isolato.
Dobbiamo agire anche in un'altra direzione, quella educativa.
Noi abbiamo deciso di dedicare moltissime risorse come scuola agli stranieri di seconda generazione.
Spiegando alle madri che è GIUSTO che con i loro figli parlino la lingua del cuore (prima chiedevamo loro di parlare italiano in casa), perché è a noi che spetta dare ai bambini/ragazzi gli strumenti culturali.
Investendo risorse umane ed economiche non solo nell'alfabetizzazione primaria (che fa comodo in classe) ma anche nell'acquisizione della lingua per lo studio. Sono scelte impopolari eh, perché vengono lette (grazie anche al buon Salvini) come uno sperpero di risorse per "quelli là, i terroristi, gli stranieri".
Bisogna poi educare i " nostri", di figli. Perché, ci pensavo prima, spesso stringono amicizie con gli stranieri, fino a dimenticarsi che, di fatto, lo sono. Questo può sembrare in apparenza positivo. Ma dobbiamo fare un passo ulteriore: che riconoscano e apprezzino la diversità dell'altro. Senza cercare, anche in buona fede, di "civilizzarlo"
Quante volte diciamo che il velo, l'hijab, è un limite alla libertà? Ne abbiamo discusso anche qui, con Weina. Alcune ragazze marocchine ci dicono, però, che da grandi lo porteranno "per sentirsi più marocchine".
Noi dobbiamo raccogliere queste affermazioni e capire che nel breve termine l'esigenza di affermazione del proprio retaggio culturale va accolta e rispettata. Passeranno i decenni e - forse - queste ragazze, divenute nonne, saranno state rispettate, accolte, avranno avuto opportunità lavorative, avranno stretto amicizie... Si sentiranno, forse, delle italiane marocchine. E -forse- le loro nipoti non avranno bisogno di un simbolo esteriore per ricordare le proprie origini...
Utopia? Io credo che si debba provare.
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rimane un utopia destinata a fallire