Il bambino della casa numero 10
Il bambino della casa numero 10
John va ancora al college, eppure è già alla sua seconda vita. La prima l’ha vissuta segregato in un lettino a sbarre in un istituto di Mosca, una di quelle Case dell’Infanzia ideate da Stalin e ancora esistenti. Trattato come un bambino fallato, come vengono considerati i piccoli che dopo diagnosi frettolose ricevono l’etichetta di idioti. John aveva un altro nome allora, Vanja, anche se quasi nessuno si rivolgeva a lui. Nessun legame con i bambini, questa è la regola per il personale. Nutrirli e cambiarli, senza guardarli, toccandoli il meno possibile. Un inferno in terra a cui è condannato chi è destinato all’oblio, e non può nemmeno sperare in un’adozione.
Ma Vanja non è ritardato. Vanja è un bambino sveglio, dagli occhi curiosi, ingordo di affetto e di contatti umani, l’unico in grado di parlare nella stanza in cui è prigioniero con una dozzina di sfortunati come lui.
È grazie alla parola che per lui si accende una speranza. Un giorno una donna, una straniera, si affaccia alla sua stanza e gli regala una macchinina. «Torna ancora» le grida Vanja. Una richiesta d’aiuto che non si può ignorare. La donna, Sarah, moglie di un giornalista inglese, è in contatto con associazioni internazionali che cercano tra mille difficoltà di aiutare quei bambini. Torna Sarah, perché ci sono promesse che non è possibile disattendere, per nessun motivo. Sarà l’inizio di una lunga battaglia, contro la tentacolare burocrazia russa, la diffidenza, i pregiudizi, per dare a Vanja quello di cui ha un disperato bisogno: una mamma.
Una storia di generosità e coraggio, una testimonianza che sprigiona una contagiosa voglia di vivere.**
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Lo sto leggendo in questi giorni.
Ma è molto difficile andare avanti. Non per come è scritto o per la difficoltà di lettura, anzi, è molto scorrevole.
Ma perchè ti porta prima in un orfanotrofio e poi in un ospedale psichiatrico e manca il fiato solo a leggerle, quelle cose.
Pensare che qualcuno le ha vissute è un pugno nello stomaco.
Una delle protagoniste dice che dopo aver afatto visita agli orfanotrofi russi guardava la tv spazzatura nei canali satellitari per svuotarsi la mente, per non pensare a ciò che aveva visto.
E mi accorgo che io faccio lo stesso dopo aver letto qualche pagina del libro. Devo assolutamente pensare a qualcos'altro, concentrarmi su qualcosa che mi occupi la mente e mi porti via da quell'inferno.
Lo consiglio veramente.
- dadamarsia
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- Iscritto il: mer dic 30, 2009 11:15 am
- dadamarsia
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Ne avevamo parlato al volo anche qui.
Ci sono anche altri titoli sulla stessa tematica.
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