Piperita Patty

Raccontaci chi sei e come sei arrivata qui
Ospite

Piperita Patty

Messaggio da Ospite » mer dic 19, 2007 8:36 pm

Sono Francesca. Ho 37 anni. Una figlia, Giulia, di due anni e mezzo.
Lavoro in un'organizzazione internazionale. Mi occupo di flussi migratori.
Viviamo in una città del Nord. Una città sonnolenta e sferzante nell'abbraccio della bora.

Oggi incomincio le ferie. Le vacanze di natale.
E oggi siamo qui, Giulia ed io, dai nonni.
Non so perché sono salita nella mia vecchia camera a cercare quello scatolone. Uno scatolone di cartone. Vecchio e malandato. Che ha fatto il giro dell’Italia, giù-su-destra-sinistra, portando regali. Portando regali alcuni anni fa. E’ uno scatolone importante, non uno qualsiasi. E’ grande, robusto, sebbene provato dai viaggi. Uno scatolone con su scritto “Per Giulia, quando sarà grande”.
E’ il mio vaso di pandora.
Il mio flusso di coscienza.
Le mie madeleine di Prust.
Il mosaico della mia vita.
Che Giulia potrà aprire. Quando lo vorrà, se lo vorrà.
Ci sono foto di vecchi amori. Foto di suo padre. Foto di lei piccina.
C’è la stella carillon. Ci sono i sonagli. Le sue prime scarpine rosse di vernice.
Vecchie lettere d’amore.
Pensieri in libertà scritti su fogli di blocnotes.
Pagine di diario.
Lettere.
Una lettera mi colpisce e incomincio a leggere. E’ una lettera scritta quattro anni fa. Scritta per un’altra bimba. Una bimba che vedeva la luce in quei giorni, nascendo con “il pugno chiuso oltre il ventre di sua madre”.
E’ una lettera che ho scritto d’impeto. Che avrei voluto scrivere a mia figlia ma non l’ho mai fatto. E’ la lettera più sincera. La lettera più vera. La lettera che riassume tutto di me.
Riassume il passaggio dall’infanzia all’adolescenza.
E vorrei incominciare a raccontare di me, a voi, con alcune frasi estrapolate da questa lettera.
Avevo pochissimo anni, anche se mi parevano molti, mi sono sempre sentita perseguitata dal tempo, fin dall'età pediatrica. Forse ero una dodicenne, forse addirittura una undicenne. Certo si era nella prima metà degli anni ottanta. Ero in montagna, non ricordo dove, un luogo che non saprei neppure più ritrovare sulla carta geografica. Così eravamo lì, fra i prati oscenamente fioriti dall'alta valle e io, non avendo di che nuotare, pensavo. Pensai moltissimo, quell'estate. Fu l'estate in cui pretesi di discutere dell'esistenza di Dio, e ne ebbi una risposta ferocemente scoraggiante: “Sono problemi più grandi te”. Da allora non smisi più di cercarli, i problemi più grandi di me, sono rimasti tuttora i miei preferiti, con grave danno per la vita pratica.
Compresi d'essere diventata giovane. Finalmente. Non ero più una vecchia bambina, costretta a fare le domande giuste alle persone sbagliate, bensì una giovane femmina di razza umana. Cioè: una che poteva essere protagonista della sua vita, per prima cosa uscendo con il massimo fracasso possibile dal limbo della dipendenza infantile.
Incominciai a sperimentare anche la solitudine dell’adolescenza.
La prima solitudine, si sa, è la più pregiata, è quando sgusci fuori dalla difesa degli affetti garantiti e ti guardi attorno per la prima volta, e ti senti unica e ti senti sulla luna. La prima solitudine è intensità pura, sensi all'erta, l'unico momento, nel tempo di un'esistenza umana, in cui l'egocentrismo non danneggia la percezione.
Diventai un’adolescente da manuale: esaurita, nervosa, cioè una “rompicoglioni”.
Ero il bianco e il nero.
Ero don camillo e peppone. Mano alzata a pugno chiuso e un’altra immersa nell’acquasanta. Adoravo Marx ma cercavo Dio.
Quella koinè adolescente irta di iperboli e compiaciuta di imperfezioni.
Capii che si poteva rimanere puri e magnifici, idealisti e solitari, romantici e teneramente nichilisti, anarchici e pieni di rispetto per le regole che gli altri seguono con tanta goffa partecipazione, pronti a giudicare severamente chiunque si confermi al pensar comune e tuttavia capaci di invidiare proprio quella normalità, orgogliosi e tuttavia terrorizzati dalla nascente consapevolezza di essere dei diversi, di essere “i felici pochi”, quelli che da poco e per sempre sanno di avere il compito di stare a disagio nel mondo, quel tanto o poco, necessario e insufficiente, ma comunque necessario, a guardarlo, questo mondo, compatirlo, e raccontarlo.
Ero cresciuta.
Cresciuta con il primo amore. Cresciuta con il secondo amore. Cresciuta con la licenza liceale. Cresciuta con l’iscrizione all’università.
Abbandonavo definitivamente la mia adolescenza.
L’abbandonavo salendo su quell’aereo, fresca di laurea, che mi portava ad Austin in Texas per un corso di specializzazione.
La prima volta che mettevo piede sul suolo americano, che mi offrì una visione affascinante e insieme minacciosa, ebbi una sensazione fortissima, quasi un presentimento, se fossi tornata in Italia, sarei tornata profondamente diversa.
Mi innamorai del mio professore e lui di me.
Sette anni di differenza. Ora sembrano pochi, a 22 sono un’eternità.
Per la prima volta, avevo sentito di essere totalmente amata, provavo un’emozione indicibile, ogni cellula della mia esistenza pareva traboccare di gioia, di pienezza, di meravigliato stupore.
Avevo incontrato l’Infinito e sarei vissuta da quel giorno in poi, nella sua struggente nostalgia.
Ma se a livello esistenziale avevo vissuto l’esperienza dell’amore, la mia parte razionale aveva bisogno di capire, di inserire questa nuova e grandiosa presenza non solo nella mia storia personale, ma in una più vasta che comprendesse l’esperienza di altri uomini.
Così, dopo due anni, finito il corso di specializzazione me ne andai.
Me ne tornai in Italia.
E non lo rividi più per moltissimi anni.
Amai altri uomini. Per lo più sbagliati. Ma sempre amati.
Nella primavera del 2004 ci incontrammo. Per caso. Lui lontano dall’America e io lontana dall’Italia.
Con pezzi di vita vissuti. Ma senza di noi.
Ci guardammo sorridendo. E la stessa sensazione di benessere che avevo già conosciuto 15 anni prima, mentre stavo con lui, era rimasta la stessa, eravamo cresciuti, eravamo cambiati, il tempo ci aveva forgiati nella maturità, ma non aveva cancellato quella affinità elettiva che avevamo già sperimentato senza prenderne coscienza.
Era come se insieme avessimo vissuto, tanti anni prima, l’iniziazione alla vita, e poi le nostre strade si fossero divise perché si potessero rincontrare nella pienezza dell’esistenza.
Il 16 maggio 2005 nasceva Giulia, nostra figlia.
Giulia, partenogenesi angelica, anima del mondo che si riproduce.
Nostra figlia, è il mistero che è in suo padre, in noi, in ciascuno, e che si svela solo nell’incontro, nella scoperta dell’amore che ci anima dentro.
Quell’amore dentro che percepisci quando porti un figlio in grembo, nel momento della nascita, nello splendore della crescita.


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Anna
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Messaggio da Anna » mer dic 19, 2007 9:12 pm

posso risponderti con un'altra foto?!?!?!

Benarrivata qui!
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Speranza
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Messaggio da Speranza » mer dic 19, 2007 9:15 pm

La tua presentazione è molto personale e delicata... Bella
Benarrivata
Silvietta
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Messaggio da Silvietta » mer dic 19, 2007 9:41 pm

Benvenuta Francesca,
cerebrale e cervellotica come solo chi si sente tra i "felici pochi" sa e può essere.
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Valentina
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Messaggio da Valentina » mer dic 19, 2007 10:03 pm

Ciao e benarrivata!
Giulia sa di profondità.
E tu di malinconico :-)
A me piace questa dolce malinconia.
Benarrivata tra noi.


Cosa fa chi si occupa di flussi migratori?
Athina

Messaggio da Athina » gio dic 20, 2007 12:04 am

Ciao benarrivata, sono Monica, con Samuel.

(che amore meraviglioso, che grande dono quello di poterlo ora vivere, un amore così è raro, fortunata davvero)
prometheus

Messaggio da prometheus » gio dic 20, 2007 8:17 am

benvenuta tra noi
la tua presentazione mi ha colpita
sono sicura che tu sia approdata nel posto giusto
Ospite

Messaggio da Ospite » gio dic 20, 2007 10:00 am

Anna ha scritto:posso risponderti con un'altra foto?!?!?!

Benarrivata qui!
Mi commuove.
E' tenerezza. Fatica e nostalgia.
Come se fosse passata un'intera vita.
Come se fosse passato un solo giorno.
La storia di un giorno lungo come una vita.
Grazie per avermi risposto così.
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