Il parto nel mondo

gioia familiare alla nascita del bambino
Marjolein Loppies / Curacao Nasemento / Via Facebook: curacaonasemento

Partorire è un’esperienza universale che tutte le donne in tutto il mondo vivono. Ma lo vivono tutte nello stesso modo?

I parti in Mali, in Cina o in Algeria sono molto diversi tra loro, e differenti da quelli “convenzionali” in Italia.

Una delle prime differenze che balza all’occhio è la posizione.

La posizione più comune in occidente oggi è quella supina, perché è considerata quella più comoda per controllare un parto in sicurezza.

Tuttavia il modo più naturale per partorire, teoricamente, sarebbe stando dritte, perché il peso del bambino fa sì che il collo dell’utero si dilati, ed aiuta la testa a posizionarsi nel modo migliore. La forza di gravità lo aiuta ad uscire più facilmente.

L’80% dei gruppi etnici in Africa, Sud America e Asia adottano posizioni dritte (in piedi, sedute, accovacciate, sospese o in ginocchio). Nei paesi occidentali le donne sono spesso invitate a stare sdraiate per motivi medici, mentre in altre culture sono incoraggiate a muoversi e camminare per tutta la durata del travaglio per aiutare il bambino a nascere.

Ogni cultura ha il suo tipo di ostetrica.

In Egitto ci sono le dayas, donne sempre reperibili, famose per la loro pazienza. In Marocco ci sono le gabla, che massaggiano la pancia e la vulva della donna con olio d’oliva per renderle più morbide. Preparano anche infusi di menta, timo, chiodi di garofano e cannella per lenire il dolore delle contrazioni.

In Zambia ci sono le traditional birth attendants, che seguono le donne nei villaggi dall’inizio delle contrazioni, e fanno tutto ciò che è degno di un’ostetrica come la si intende in Italia, compreso girare il bambino con una mossa speciale qualora fosse podalico.

Nella maggior parte delle società è previsto l’allattamento al seno (92.4% delle donne in Sud America, 94.5% in Asia e Oceania e 98.4% in Africa). Anche in occidente, dove il latte materno era stato sostituito da quello artificiale, l’allattamento al seno sta lentamente tornando in auge.

In India si pensa che durante l’allattamento la madre trasmetta le sue caratteristiche al bimbo; in Mali c’è un proverbio che dice “Se non allatti il tuo bambino, egli non ti riconoscerà”.  E in Sri Lanka addirittura credono che i bambini allattati al biberon non amino la loro mamma.

Questi sono certamente punti di vista estremi, che tuttavia esasperano il valore affettivo dell’allattamento, riconosciuto in tantissime culture.

Nel mondo c’è una moltitudine di tradizioni e “diete” che ruotano attorno all’allattamento.

In molti paesi africani e in Cina le donne mangiano cibi contenenti arachidi, considerate galattogoghe. In Giappone le donne che allattano mangiano alghe, mentre in Algeria mangiano cibi molto ricchi, come semolino col burro o omelette, affinché il loro latte diventi ricco.

In Burkina Faso e in Costa d’Avorio le donne si massaggiano il seno con il burro di Karité.

Nel mondo cambiano molto anche i metodi per alleviare il dolore durante il parto.

In Occidente le donne sono spesso incoraggiate ad esprimere il loro dolore durante il parto, ma in altre parti del mondo non è così.

In Vietnam le donne sanno fin da bambine che dovranno partorire senza proferire parola, e devono imparare a controllare le loro emozioni. In Messico devono fare più silenzio possibile altrimenti possono essere derise. A Taiwan non devono fare rumore per non disturbare gli altri abitanti del villaggio. E in Togo devono tacere per non attirare spiriti malvagi.

In paesi tradizionalmente cattolici si crede che il dolore del parto deriva dal peccato originale.

La Bibbia dice che le donne devono partorire nel dolore per espiare il peccato di Eva.

I Buddisti invece credono che la sofferenza sia legata ai peccati commessi dalla donna nelle sue vite passate: ecco perché in Sri Lanka non si deve far mostra del proprio dolore.

Poiché il parto è spesso associato alla morte, ci sono molti riti aventi lo scopo di proteggere la vita del neonato ed il suo arrivo nel mondo.

Il collo dell’utero deve aprirsi perché il bambino possa uscire, quindi “l’apertura” è spesso una parte importante dei riti. Spesso le donne devono disfare nodi o lacci, ed aprire contenitori.

In Marocco, per esempio, le donne incinte devono lasciare scoperto il capo, i capelli sciolti e la cintura slacciata.

Anche in India le donne lasciano la testa scoperta e si disfano di bracciali, anelli e gioielli. Lasciano anche tutte le porte di casa aperte.

La credenza che durante il parto la donna sia molto vulnerabile nei confronti di spiriti maligni è molto diffusa attorno al mondo: il bimbo e la futura mamma devono essere protetti.

Quindi in alcuni paesi piuttosto che aprire le porte, bisogna chiuderle. Ne è un esempio il Messico, dove ogni minimo buco o spiffero è chiuso con stoffe.

Era lo stesso in alcune culture occidentali fino a qualche secolo fa: tutte le porte venivano chiuse e la casa veniva scaldata tantissimo in modo che mamma e bebé non avessero freddo, ma anche per scacciare le forze negative. Questo pensiero è ancora molto attuale in alcuni paesi asiatici, dove un fuoco deve bruciare costantemente per un mese dopo la nascita del bambino.

Il parto viene estremamente ritualizzato in moltissime culture perché di fatto è un evento forte, che spesso spaventa.  L’arrivo del bebé stesso destabilizza tutto.

I riti quindi rassicurano, ma hanno anche un effetto oggettivamente positivo e possono veramente aiutare l’andamento del parto. 

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