Compiti a scuola vs Basta Compiti

Compiti a casaViste le numerose attestazioni di stima e le pressanti richieste di chiarimento in merito alla recentissima sperimentazione sui “compiti a scuola” che continuo a ricevere, quotidianamente, mi corre l’obbligo di alcune precisazioni, doverose soprattutto nei confronti di chi della sperimentazione sia autore e attore.

Spero si colga il senso cordialmente provocatorio del titolo che enfatizza l’esigenza di distinguere per meglio comprendere, pur essendo consapevole dell’estrema facilità con la quale si potranno dare fraintendimenti più o meno intenzionali.

Who is who…

Ho scritto il mio primo articolo su questo tema nel 2001: “Compiti a casa e metodo di studio: un paradosso pedagogico”, pubblicato dalla rivista: L’Educatore.
Da allora, sono trascorsi più di 15 anni, non ho mai interrotto la mia “battaglia” contro i compiti a casa e in favore di una scuola più sensata, rispettosa, accogliente quella che ci hanno “insegnato” grandi maestri come Montessori, Freinet, Dolci, Lodi, Rodari… colpevolmente dimenticati.

Nel 2012, è uscito: “Basta compiti! Non è così che si impara”, il solo libro pubblicato in Italia nel quale siano doviziosamente argomentate le ragioni della proposta di abolizione dei compiti, indicate le possibili alternative e descritti i “compiti” che alla scuola sono affidati (e che la scuola “non svolge”).

Successivamente ho creato l’omonimo gruppo Facebook, pubblico, aperto, che raccoglie più di 10 mila iscritti, cui ha fatto seguito la nascita del gruppo: “Docenti e Dirigenti a Compiti Zero”, tecnico, professionale, al quale sono iscritti oltre 500 tra insegnanti e dirigenti scolastici.

Entrambi i gruppi hanno sostenuto la petizione: “Basta compiti!” (change.org), che ha superato le 24 mila firme, e contribuito alla realizzazione dell’ebook: “I compiti fanno male”, che documenta l’attività di ricerca (e azione) svolta dai partecipanti più attivi, riporta alcune testimonianze di genitori e “docenti a compiti zero”, e “ufficializza” il protocollo elaborato per l’attivazione di “Classi/Scuole senza compiti” – tutto il materiale raccolto e prodotto è reperibile nel sito: www.bastacompiti.it

Ho partecipato a centinaia di incontri con genitori e docenti, promossi da scuole, associazioni, enti, biblioteche, librerie… per conoscere e discutere le ragioni di questo impegno.

Mi sono recato un paio di volte al Ministero per incontrare dirigenti e funzionari ai quali ho rappresentato le istanze del “movimento” da me fondato, documentate in un dossier, “I compiti della scuola”, preparato appositamente per la Ministra.
Ho scritto molte lettere, al Ministero, ai “Garanti”, ad associazioni professionali, che non hanno prodotto effetto alcuno, perciò, più di recente, ho presentato la petizione al Parlamento italiano, e, vista l’inerzia delle nostre istituzioni, al Parlamento europeo, per denunciare il mancato rispetto del “diritto al riposo e al tempo libero, a dedicarsi al gioco e ad attività ricreative proprie della sua età…” sancito dall’art.31 della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, ratificata dallo Stato italiano il 27 maggio 1991, con legge n.176.

Frequentissimi gli interventi in trasmissioni televisive e radiofoniche, ancor più numerose le interviste a quotidiani, periodici, social, che hanno dato ampia visibilità a un problema di cui per molti anni sono stato il solo a parlare.

È plausibile che tanto impegno, mio e dei gruppi attivati, abbia in qualche modo favorito lo sviluppo di una sensibilità diffusa e perciò propiziato anche la recentissima sperimentazione, della quale ho saputo solo grazie all’articolo pubblicato su “repubblica.it”.
Ma i miei meriti, sempre che ve ne siano, finiscono qui.

In altre parole, io non ho nulla a che fare con la sperimentazione avviata, e gli attori, i responsabili di tale iniziativa non mi risulta abbiano fatto riferimento alcuno al nostro lavoro di ricerca e proposta o cercato contatti più o meno formali con noi.

Beninteso, nessuna recriminazione, sarebbe patetico, ma solo una chiara distinzione di ruoli e responsabilità: a ciascuno il suo. Io non c’entro con questa iniziativa, della quale, da più parti, mi si attribuisce la paternità, procurandomi imbarazzo nei confronti dei veri promotori; e credo sia giusto così, perché gli elementi che distinguono le due “visioni” sono sostanziali.

Da una parte, le scuole impegnate in una sperimentazione fondata sul presupposto che per poter eliminare i compiti si debba prolungare l’orario scolastico.

Dall’altra, gli oltre 500 insegnanti di ogni ordine e grado, iscritti al gruppo Facebook: “Docenti e Dirigenti a Compiti Zero” che questa “sperimentazione” attuano da anni nell’orario di “normale” svolgimento delle lezioni, l’impegno dei quali è la vivente dimostrazione che una scuola senza compiti è possibile in qualsiasi realtà e senza bisogno di aumentare il tempo scuola.

La differenza è rilevante Se si opta per la prima “formula” si legittima, di fatto, l’assegnazione dei compiti nelle scuole “normali”, non “sperimentali”.
La nostra visione, invece, non consente alibi di sorta: in tutte le scuole cosiddette dell’obbligo, qualsiasi insegnante può evitare i danni, psicologici, culturali e sociali, procurati dall’assegnazione dei compiti, e garantire il pieno esercizio del diritto al gioco, al tempo libero, alla serenità familiare, allo svolgimento di attività non meno formative di quelle scolastiche.

Anche per questa ragione, dovendo fare uno studio sulla “fattibilità” di una scuola senza compiti, sarebbe opportuno, utile, forse anche doveroso, interpellare gli insegnanti che si sono maggiormente impegnati ed esposti, in tal senso, acquisire le loro testimonianze, monitorarne l’attività didattica.

Un’occasione, sin qui, mancata, tanto più che si tratta di esperienze consolidate, documentate e (udite udite!) a costo zero.

Ciò detto, spero vivamente che questa sperimentazione non riproponga, allorquando se ne dovesse generalizzare l’impianto, il vecchio “doposcuola”, sarebbe un arretramento culturale inammissibile, una controriforma, anche se, paradossalmente (lo dico con infinito rammarico) preferibile a un tempo pieno del tutto snaturato rispetto alla primitiva, commendevole ispirazione.

A questo proposito, torno a segnalare la follia pedagogica dei compiti quotidiani e “per le vacanze”, assegnati persino ai bambini che frequentano classi a tempo pieno (dopo 8 ore di immobilità forzata e compressione psichica, in aule spesso anguste e sovraffollate); una forma di morboso accanimento (si rasenta la crudeltà mentale) che reclama l’intervento urgente del Ministero dell’Istruzione, pur nel rispetto delle prerogative costituzionali dei singoli docenti e dell’autonomia degli istituti, e del Ministero della Salute, giacché si tratta dell’igiene fisica e mentale degli studenti – oltreché di una patente violazione dei diritti fondamentali (tempo libero, gioco, attività motorie, artistiche…) sanciti dalla già citata Convenzione.

Se la sperimentazione avviata favorisse almeno l’annientamento di questa intollerabile nefandezza, sarebbe, già di per sé, meritoria, encomiabile. Vale comunque il principio per cui gli impegni scolastici degli studenti, per quanto riguarda il primo ciclo di istruzione (“elementare e media”), debbano risolversi a scuola.

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