Zambia, capitolo 4: l’arrivo nella Capitale

lusaka

Could you be loved… and be loved…
La voce di Bob Marley risuonava nell’abitacolo del taxi che ci stava portando dall’aeroporto alla casa delle suore italiane che ci avrebbero ospitati per le prime settimane nella capitale.

Sembrava di vivere in un film, con la colonna sonora e la scenografia spettacolare: dal finestrino osservavo ammutolita la savana trasformarsi lentamente in città.
Ero accecata dalla vividezza dei colori, così densi, quasi solidi, come nel disegno di un bambino fatto con i pastelli a cera. Davanti ai miei occhi sbarrati scorreva il cielo limpido, privo di nuvole, e sotto i campi, ed alberi enormi ricoperti di fiori rossi, e poi casette, e negozi, e infine la città vera e propria, meravigliosamente verde e affollata.

Per strada c’era tantissima gente: bambini con la divisa della scuola, uomini in giacca e cravatta, mendicanti, donne vestite con stoffe multicolori, in testa cesti colmi di arachidi e patate, e sulla schiena i loro bebè, appollaiati come piccoli koala.

Il tassista non taceva un attimo:
ci spiegava cos’era quell’edificio, e quella strada si chiama così e ci trovate questo e quello, e i mercati sono là dietro, andateci perché ci trovate di tutto, e voi da dov’è che venite, dall’America?

Io lasciavo parlare gli altri e mi riempivo gli occhi, registrando ogni immagine, rendendola parte di me.

Ero pervasa da una strana calma: non era affatto come me l’ero immaginato, anche se di fotografie ne avevo viste a decine durante gli ultimi mesi. L’Africa che conoscevo io era oscura, triste, vagamente inquietante, ma d’altronde quella era un’Africa in guerra. Qui invece regnavano luce e colori: le vibrazioni che mi colpivano, mi si spalmavano addosso e mi impregnavano i pori della pelle erano positive. Era come essere arrivata a casa.
Could you be loved… and be loved…

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