Si sente spesso parlare della baby blues come di uno stato d’animo immotivato e inconsistente da un lato, e un motivo di difficoltà di per se stesso dall’altro.
Io, almeno nel mio caso, continuo a non pensare a una depressione fine a se stessa, continuo a pensare che vorrei provare una situazione più "ideale", un maggiore riposo, un neonato placido che ti consente di far lunghe passeggiate e che ti dorme accanto in carrozzina.
Ho avuto una gravidanza bellissima, sono una persona ottimista e fiduciosa: pensavo che sarebbe andato tutto bene, che avrei avuto latte, che la piccola si sarebbe attaccata senza problemi, che ce l’avrei fatta da sola perchè amo far le cose da sola nella mia intimità e con i miei ritmi.
Sono uscita dall’ospedale con gioia, Irene aveva iniziato a recuperare il calo fisiologico, il seno era gonfio.
Dopo qualche giorno, la prima botta: non cresceva abbastanza. La mia reazione è stata spropositata, probabilmente era un momento delicato e bastava poco a buttarmi giù.
Effettivamente lei stava bene, la situazione era recuperabilissima e non mi avevano nemmeno consigliato l’aggiunta. Se in seguito avessi dovuto passare al latte artificiale, che sarebbe mai stato? Per me, però, in quel momento era un’ingiustizia incomprensibile ed immeritata.
Da parte dei familiari più vicini non ho potuto avere aiuto e, soprattutto, non ho sentito nessuna comprensione.
Poi le ragadi, dolorosissime, le poppate che sembravano eterne (siamo arrivate all’ora e mezza), il bisogno di una posizione fissa, sempre quella, sul letto o sul divano, e di intimità ed ancora i parenti che davano segno di non capire, di non rispettare le mie difficoltà ed i miei bisogni.
A quel punto per difesa ho detto che durante le poppate non avrei aperto a nessuno, per non dovermi alzare e riattaccarla e per non essere interrotta in un momento per me delicato. E sempre per difesa, a parte mia suocera, le visite dovevano esserci solo quando era presente anche mio marito. Ed ecco che hanno cominciato a tratteggiami come l’esaurita da post parto.
Dopo una decina di giorni sono iniziati i pianti di Irene e le giornate interminabili, cullandola avanti ed indietro per casa in mezzo a rigurgiti continui, impossibilitata ad uscire per i pianti continui sia in carrozzina che in auto, i sonnellini brevissimi in cui a malapena riuscivo a fare qualcosa (se cucinavo non mangiavo e non mi lavavo, se mi lavavo non cucinavo e non mangiavo, se mettevo in ordine non mangiavo non cucinavo e non mi lavavo…).
Ho dovuto chiedere aiuto a mia mamma, che fortunatamente in quel periodo era disponibile a passare qualche giorno alla settimana da noi. Senza di lei non so come avrei fatto.
Capirete che anche volendo era difficile essere allegra. Però effettivamente ero giù.
Ci ho messo mesi ad elaborare che non si trattava del bambino ideale, ma della mia bambina e che dovevo essere felice per questo, anche se in verità non ho mai perso di vista la fortuna di averla, avendola desiderata, e di averla sana. E non ho mai fatto brutti pensieri. Però ero giù, perchè non potevo fare una vita normale, perchè mi prendevo dell’incapace quando tra l’altro non era così (sempre quelli che “sanno tutto loro”), perchè la vedevo piangere ed era ovvio che avesse un fastidio e non riuscivo ad alleviarlo.
E’ tutto migliorato quando si è tranquillizzata. A due mesi siamo state un periodo dai miei, l’ha visitata la mia pediatra di fiducia le ha prescritto uno sciroppo per il reflusso. Dai 3 ha iniziato ad interessarsi al mondo a star seduta nella sdraietta o in braccio guardandosi intorno, dai 4 ai 6 mesi, in un autunno mite, mi sono fatta le mie belle passeggiate e qualche uscita e mi sono rigenerata un po’.
E’ rimasta sempre una bimba molto impegnativa ma il ricordo vivo di quei primi faticosi mesi ha reso più lievi fatica e stanchezza.
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