Le malattie infettive in età pediatrica

L’articolo vuol essere, pur nella sua lunghezza, una breve carrellata riassuntiva sulle più importanti malattie infettive dell’età pediatrica: non chiede di essere letto per intero tutto in una volta e non si vuole nemmeno completo, ma può risultare utile come oggetto di veloce consultazione quando si ha necessità di fare una diagnosi differenziale o quando si ha un dubbio in materia di malattie infettive che riguardano i bambini senza dover ricorrere alla consultazione di più voci separate sia in trattati o enciclopedie, sia in rete.

Malattie esantematiche

Morbillo

Malattia virale diffusissima fino ad alcuni decenni fa, ora è molto più rara nel nostro paese, grazie alla vaccinazione di massa che si inizia nel secondo anno di vita.
E’ dovuta ad un virus (morbillivirus) ed è molto contagiosa soprattutto nei primi due anni di vita.
Ha un’incubazione di una o due settimane, in media 12 giorni, e inizia a manifestarsi con tosse secca insistente, naso che cola con muco fluido trasparente, congiuntivite e febbre che aumenta giorno dopo giorno.
Nel giro di due o tre giorni compaiono all’interno delle guance, all’altezza dei primi molari, alcune macchioline puntiformi dette macchie di Koplik che permettono una diagnosi precoce prima dell’inizio dell’eruzione cutanea.
resizer
Dopo uno o due giorni compare l’esantema sulla pelle mentre la febbre si mantiene alta.
L’esantema è costituito da macchie inizialmente piccole color rosso vivo dapprima dietro le orecchie, poi sul viso, sul collo, sul torace e su tutto il corpo, macchie che possono confluire tra loro formando chiazze più estese. L’esantema dura al massimo una settimana, a volte meno, e scompare lasciando a volte una lieve desquamazione.
Contemporaneamente all’eruzione esantematica persistono  febbre anche elevata, tosse sempre più catarrale, congiuntivite e spesso possono comparire otite, laringite, polmonite, diarrea e encefalite.
Broncopolmonite ed encefalite sono le complicazioni più temute benché rare in un bambino sano e ben nutrito.

Il morbillo è una malattia altamente contagiosa e il bambino affetto trasmette il virus attraverso le vie aeree da pochi giorni prima dei primi sintomi della malattia fino a 5 giorni dopo la comparsa dell’esantema.

E’ rarissimo che venga contratta la malattia prima dei 6-9 mesi di vita.

Attualmente esiste un vaccino preparato con virus vivi attenuati che si somministra associato a quello per la parotite e la rosolia al 12°-15° mese con un richiamo al 6°-7° anno. E’ in preparazione un vaccino tetravalente che comprende anche la  varicella.

Come tutti i vaccini preparati con virus attenuati ma non inattivati o uccisi, dopo alcuni giorni dall’inoculazione, in media 5-10, può scatenare sintomi, di solito lievi, riferibili ad una o tutte tre le malattie per le quali si intende immunizzare il bambino, cioè tosse, febbricola, lieve rash cutaneo morbilliforme e ingrossamento delle parotidi.

Il vaccino non va somministrato a bambini con deficit immunitari e per bambini fortemente allergici alle proteine dell’uovo esistono vaccini non preparati su embrioni di pollo che comunque hanno un basso potere immunogenico e sono quindi leggermente meno efficaci (Triviraten).

Non esistono terapie  per il morbillo e si possono prescrivere solo sintomatici e/o antibiotici se vi sono evidenze di complicazioni batteriche della malattia.

Rosolia

E’ una malattia virale dovuta ad un rubivirus, anch’essa molto più rara di un tempo grazie all’avvento della vaccinazione di massa.

Dopo una incubazione di 2-3 settimane esordisce con malessere generale di modesta entità, dolori vaghi e diffusi simili a quelli influenzali, lieve mal di gola nonostante il notevole arrossamento del faringe, congiuntivite, febbricola e soprattutto un evidente ingrossamento dei linfonodi nucali e anche laterocervicali che possono essere dolenti al tatto.

Dopo pochi giorni dall’inizio dei primi sintomi compare una eruzione cutanea simile ma meno intensa di quella del morbillo composta da piccole macchie rosa molto vicine le une alle altre, leggermente rilevate tanto da rendere la pelle appena  ruvida al tatto.

m_1407860340

L’esantema è preceduto da macchioline simili sul palato (enantema), si diffonde sul viso ma soprattutto sul tronco e sugli arti cominciando dall’alto, dietro le orecchie, e dura circa 3-4 giorni mentre la febbre diminuisce fino a scomparire in seconda giornata di eruzione.

Il soggetto affetto da rosolia è contagioso da una settimana prima dell’esantema fino a 4-5 giorni dopo, cioè spesso anche  quando l’esantema è già scomparso.

Anche per la rosolia è ormai diffusa la vaccinazione di massa nell’ottica di azzerare il rischio di contrarla per le donne gravide visto che la malattia è quasi esclusivamente rischiosa per le gravi malformazioni fetali che può indurre se contratta nei primi mesi di gravidanza piuttosto che per i rischi della malattia in se stessa.

I rischi della malattia, infatti, sono rarissimi e la complicazione che preoccupa di più è l’encefalite, come per il morbillo. La malattia, comunque, è pericolosa anche perché negli adulti decorre spesso in forma asintomatica cosicché non è possibile prendere precauzioni riguardanti il contagio.

I rischi per la donna gravida sono: nelle primissime settimane di gestazione, aborto spontaneo o morte intrauterina del feto; al termine del periodo embrionario, difetti di vista importanti fino alla completa cecità, sordità, malformazioni cardiache e ritardo mentale del feto. Superata la 12° settimana di gestazione e fino alla 28° settimana la placenta diventa più selettiva e protettiva e il rischio di rosolia congenita si riduce.

Un contagio verso fine gravidanza però rende altissimo il rischio di rosolia congenita con feto che manifesta la malattia alla nascita in forma violenta ma soprattutto estremamente contagiosa per moltissimo tempo. Si calcola che un neonato con rosolia congenita diffonda alte cariche virali per mesi, addirittura per un anno e per di più molto virulente e contagiose.

Questi i motivi dell’attentissimo monitoraggio della malattia attuato prima e durante la gravidanza e dell’obbligo di vaccinare anche i maschi per i quali la malattia non pone preoccupazione alcuna.

Varicella

E’ anch’essa una malattia virale dovuta al virus Varicella-Zoster, della famiglia dei virus erpetici.

Lascia, come le altre malattie virali descritte in precedenza, una immunità permanente, ma, a differenza di queste, il virus non viene mai completamente debellato dall’organismo dopo la malattia e va a localizzarsi nei gangli nervosi del midollo spinale dove può rimanere anche per tutta la vita senza dare problema alcuno.

In determinate situazioni, però, può risvegliarsi determinando raramente una seconda volta varicella attenuata ma soprattutto il quadro dell’Herpes Zoster o Fuoco di Sant’Antonio con vescicole che erompono a grappolo in varie parti del corpo in corrispondenza del decorso di nervi principali. Questo avviene negli adulti, di solito dopo i 50 anni, in particolari condizioni di immunodepressione o di stress.

Molto più rara è poi l’evenienza che un soggetto affetto da Herpes Zoster sia contagioso per un altro individuo o per un bambino e determini una varicella. La malattia quindi, quando si manifesta due volte nello stesso individuo, dipende dal riaffacciarsi dello stesso virus contratto in precedenza e mai scomparso del tutto, non da un secondo contagio.

Un bambino affetto da varicella, però, può essere contagioso per un adulto che non l’ha avuta e determinare  una varicella, mai un Herpes Zoster visto che quest’ultimo è da considerarsi solo un riacutizzarsi di un virus già presente nell’organismo e non una prima infezione.

016517-Varicella-zoster-virus-sole

Molto frequente nell’infanzia a causa della mancanza in Italia, contrariamente ad altri paesi come gli USA, di un piano di vaccinazione di massa che è tutt’oggi in via di sperimentazione, la malattia è rara sotto i sei mesi a causa degli anticorpi specifici trasmessi dalla madre (quando ha avuto la malattia da piccola), ed è tipica dell’età scolare o della scuola materna. Si contagia per via aerea nella fase che precede la tipica eruzione e per contatto con il liquido contenuto nelle vescicole, durante la fase eruttiva.
Difficile, anche se non impossibile, il contagio attraverso l’uso di biancheria o asciugamani usati dal malato perché il virus è molto fragile e non vive lontano dall’uomo.
Nella fase in cui tutte le vescicole si sono trasformate in croste il bambino non è più contagioso anche se le croste non sono ancora cadute. Questo avviene circa 5 giorni dopo l’inizio della fase eruttiva.

Dopo una incubazione di 2-3 settimane la malattia inizia con febbre moderata, malessere generale e astenia. Dopo pochissimi giorni compaiono i primi rigonfiamenti, simili a punture di insetto, sul tronco, sul viso e, tipico della varicella, tra i capelli.

Le lesioni cutanee compaiono a poussées, cioè non tutte insieme ma qualche elemento nuovo ogni giorno e possono essere poche (meno di una diecina) fino a qualche centinaio su tutto il corpo.

Dopo un giorno i pomfi si trasformano in vescicole contenenti liquido prima trasparente poi torbido e mentre gli elementi comparsi per primi sono già diventati croste, gli ultimi sono ancora vescicole. Il prurito è intenso e la febbre, giorno dopo giorno, tende a diminuire. Dopo 5, max 7 gg tutti gli elementi sono trasformati in crosta e il bambino non è più contagioso.

Le croste cadono mediamente dopo 7 gg ma il bambino, come è stato detto, può essere riammesso a scuola anche prima della loro caduta,  benché questo non sia consigliabile perché la varicella è seguita da un periodo di alcune settimane di immunodepressione e un bambino che ritorna in comunità troppo presto è più a rischio di ammalarsi di nuovo di altra patologia anche banale.

Molto fastidiose e a rischio di complicazioni in caso di rottura sono le lesioni che compaiono negli occhi e nella bocca, nonché quelle sui genitali, soprattutto nella femmina.

Vanno trattate con cautela per evitarne la rottura con conseguente diffusione del liquido in esse contenuto e sovrapposizione batterica della cute interessata.

Le complicazioni della malattia che ne aggravano il decorso sono quelle broncopolmonari, quelle infettive come ascessi diffusi e da sovrapposizione batterica delle lesioni cutanee lesionate dal grattamento e quelle più temibili di tipo neurologico come l’atassia cerebellare che comporta disturbi di equilibrio e di coordinazione motoria e dismetria, più frequenti quando la varicella è contratta da adulti.

Per evitarle non si può fare molto se non tenere riguardato il bambino per tutta la fase di tosse, prima secca poi catarrale, che accompagna spesso l’eruzione ed evitare il grattamento.

Per il prurito si consigliano gli antistaminici per bocca e/o localmente con l’uso di abiti larghi e lisci.

Si può fare il bagno al bambino avendo cura di non rompere le vescicole. La somministrazione di Acyclovir è consigliata solo nei casi a rischio di manifestarsi in forma grave o a forte rischio di complicazioni e non oltre le prime 24 ore che seguono l’eruzione e quindi la diagnosi di varicella. Oltre questa data non è più efficace.

La prevenzione è altamente raccomandata nei soggetti molto piccoli, immunocompromessi e strettamente conviventi con il malato come fratelli o famigliari perché la varicella cosìdetta secondaria, cioè contratta da un famigliare, può essere molto più grave di quella del malato che l’ha contratta per primo, magari a scuola, dopo contatto non prolungato  e solo occasionale con un compagno di scuola.

Per la febbre si consiglia paracetamolo e assolutamente mai aspirina per il rischio elevato di scatenare la sindrome di Reye con grave sintomatologia neurologica e compromissione epatica.

Una menzione a parte merita la varicella contratta in gravidanza: il virus, infatti, passa al feto tramite il sangue materno e il cordone ombelicale.

Nel primo trimestre di gravidanza può dare grave embriopatia con malformazioni multiple; nel secondo trimestre il rischio di malformazioni è basso; nel terzo trimestre il feto non è più a rischio di malformazioni ma può contrarre la varicella in utero e guarire senza esiti particolari perché protetto anche dagli anticorpi che la madre produce e trasmette al feto mano a mano che lei stessa sviluppa la malattia.

In questo caso nascerà un bambino guarito ma a rischio di contrarre l’Herpes Zoster nei primi anni di vita. Se la madre contrae la varicella nel periodo compreso tra gli ultimi 5 giorni di gestazione ed i primi tre dopo il parto, la varicella della madre causa varicella grave e disseminata del neonato che va trattato con immunoglobuline iperimmuni specifiche.

In pratica, nei periodi a rischio,cioè nel primo trimestre di gravidanza e negli ultimi 20 giorni si praticano alla madre gammaglobuline iperimmuni anti Varicella Zoster, mentre nel periodo compreso tra gli ultimi 5 gg di gravidanza ed i primi 3 dopo il parto si praticano le immunoglobuline sia alla madre che al bambino.

Qualsiasi dubbio impone il dosaggio degli anticorpi specifici.

Il vaccino specifico esiste ed è costituito da virus vivi attenuati.

E’ efficace e ben tollerato. Se ne consiglia una prima dose a un anno e una seconda a 12 anni.

Si può acquistare il vaccino antivaricella semplice che è composto da virus attenuati come morbillo-parotite e rosolia e può essere somministrato assieme al trivalente purché con altra siringa e in altra sede.

Viene consigliata una dose nel secondo anno di vita. Se si vaccina per la prima volta un ragazzo che ha già compiuto i 13 anni o un adulto si praticano due dosi a distanza di due mesi circa l’una dall’altra.

Scarlattina

E’ una malattia di origine batterica dovuta allo streptococco beta emolitico di gruppo A molto contagiosa.

Ha un periodo di incubazione breve, 2, al massimo 5 giorni ed inizia con febbre alta accompagnata da brividi, forte mal di testa, vomito e mal di gola non solo alla deglutizione ma anche spontaneo.

Le tonsille e il faringe sono intensamente arrossati, i linfonodi corrispondenti alle tonsille sono ingrossati, la lingua è inizialmente ricoperta da una spessa patina bianca che risparmia i bordi che contrastano con il loro colore rosso vivo.

La patina, dopo pochi giorni, si sfalda lasciando la lingua color rosso vivo detta “a lampone” a causa della sporgenza delle papille ipertrofiche.

Dopo uno massimo due giorni dall’inizio della febbre, che può essere accompagnata da tosse starnuti e catarro, compare un esantema formato da macchioline rosee piccolissime e molto ravvicinate tanto che in certi punti la pelle sembra uniformemente arrossata e non a chiazze, prima all’inguine, al collo e alle ascelle, poi diffuse su tutto il corpo.

Dopo altre 24 ore tutto il viso è interessato eccetto le zone attorno al mento al naso e alla bocca che appaiono nettamente più chiare. L’esantema dura 4-5 giorni e la febbre poco meno.

Caratteristico della scarlattina è il segno dello schiarimento del colore della cute se vi si fa pressione con le dita: rimane la sagoma chiara delle dita con una lieve sfumatura giallastra. La diagnosi è clinica dato l’esantema caratteristico e di laboratorio visto che si può isolare lo streptococco responsabile con un tampone faringeo entro le prime ore di malattia e visto che alcune analisi come PCR e TAS risultano, la prima precocemente positiva, la seconda, positiva con il passare dei giorni.

La scarlattina risponde bene alla terapia antibiotica con penicillina, ampicilline o cefalosporine e già dopo 48 ore di terapia antibiotica idonea il bambino risulta non essere più contagioso.

La malattia ha una durata spontanea di circa 12 giorni e la terapia antibiotica va protratta per una diecina di giorni. Complicazioni della scarlattina, quando non trattata adeguatamente, possono essere la malattia reumatica, la nefrite e l’endocardite.

La terapia antibiotica, con la sua efficacia, riduce la permanenza del germe nell’organismo e non da tempo agli anticorpi di svilupparsi adeguatamente; inoltre le esotossine eritrogeniche responsabili dell’esantema sono più di una: questi sono i motivi che permettono alla scarlattina di ripetersi più di una volta nello stesso bambino nonostante la lunga permanenza degli anticorpi che si sviluppano dopo una prima infezione.

La scarlattina termina con una vistosa desquamazione delle zone cutanee in precedenza interessate dall’esantema.

 scarlattina_gallery

Il bambino con la scarlattina risulta particolarmente sofferente e inappetente a causa del forte mal di gola e della nausea che può accusare: va quindi accudito e reidratato con attenzione.

Sono consigliati cibi liquidi e un prudente riposo in casa per almeno otto, dieci giorni nonostante la sua provata non contagiosità dopo soli due giorni di terapia.

I fratelli conviventi o i compagni di classe possono praticare terapia antibiotica profilattica per due giorni dopo l’accertamento della scarlattina del loro compagno o fratello. Non esiste nessun vaccino utile per la prevenzione.

Quarta malattia

Detta anche eritema infettivo o rosolia scarlattinosa, è una malattia esantematica simile alla precedente ma di origine ignota.

Colpisce soprattutto i bambini tra i 2 e gli 8 anni. Ha una incubazione di due settimane e esordisce con febbre subito molto alta accompagnata da brividi alla quale segue, dopo poche ore, un esantema puntiforme sulle guance che si diffonde velocemente su tutto il corpo risparmiando la zona attorno alle labbra.

L’esantema dura 3 giorni e al suo seguito compare desquamazione simile alla scarlattina.

E’ una malattia benigna fonte spesso di confusione diagnostica con la scarlattina a causa della somiglianza dei due esantemi.

Quinta malattia

Detta anche megaloeritema o eritema infettivo è una malattia di origine virale a bassa contagiosità.

Compaiono febbricola e chiazze piuttosto grandi, a volte in rilievo, di colore rosso intenso, calde al tatto, prima sulla cute delle guance, a forma di farfalla, poi sulla superficie estensoria degli arti, sui glutei e sul tronco.

Le chiazze possono assumere un colorito bluastro e cianotico.

La malattia dura una settimana, è benigna e, guardando in faccia il bambino, si ha l’impressione che sia stato violentemente schiaffeggiato visto il rossore delle guance. Non necessita di terapia particolare.

Sesta malattia

Detta anche esantema critico, è una malattia infettiva virale. Il virus responsabile è un herpes virus umano di tipo 6.

Recentemente è stato isolato un virus di tipo 7 della stessa famiglia. L’infezione, come la maggior parte delle malattie infettive, si trasmette per via oro-faringea.

L’incubazione è di 1 o 2 settimane e sono colpiti esclusivamente bambini tra i 6 mesi e i due anni di età.

La malattia è contagiosa solo nei giorni di febbre che precedono la comparsa dell’esantema.

Comprende un periodo pre-esantema della durata di 3-4 giorni che si manifesta con febbre molto alta (39°-41°) ad andamento continuo e apparentemente resistente agli antipiretici: durante questa fase il bambino appare sofferente e molto agitato, ha la gola rossa, rinite, congiuntivite, vomito, talvolta diarrea ma soprattutto può accusare meningismo con forte mal di testa (espresso con insonnia e agitazione intensa) e a volte convulsioni.

Dopo 3, massimo 5 giorni, la febbre scompare per crisi, cioè di colpo, anche senza somministrazione di antipiretici e compare un esantema simile a quello della rosolia, a volte a quello del morbillo, ma che inizia al tronco e al collo per poi diffondersi agli arti e al viso e scomparire dopo soli due giorni o in terza giornata.

Anche in questo caso non vi sono terapie utili se non la reidratazione accurata vista la febbre prolungata e continua dei primi giorni.

Una terapia preventiva con anticonvulsivanti è raccomandata nei bambini predisposti alle convulsioni febbrili.

Febbre esantematica mediterranea

Detta anche febbre bottonosa del Carducci è dovuta alla puntura di una zecca che si infetta succhiando il sangue infetto di un cane e pungendo in seguito l’uomo.

Il microrganismo responsabile della malattia è una rickettsia detta R.Conori ed è una malattia diffusa soprattutto nel sud dell’Europa, nel sud e nell’est dell’Africa, nell’India e nel Medio Oriente.

Ha una incubazione di poco più di una settimana e inizia con febbre anche molto alta che dura una settimana per poi diminuire piano piano per lisi, cioè, appunto, non bruscamente, accompagnata da mialgia, artralgia, cefalea, malessere generale e profondo sopore oltre che congiuntivite.

Dopo tre, quattro giorni compare un esantema che comincia dalle gambe per ricoprire tutto il corpo. Caratteristica è una macchia nerastra in corrispondenza della puntura di zecca.

Si cura con successo con tetracicline e cloranfenicolo (farmaco quest’ultimo non idoneo per i bambini).

Si possono anche dosare gli anticorpi specifici anti rickettsia nel materiale organico prelevato in corrispondenza delle papule e dell’escara nera.

La puntura di zecca è molto più frequente della malattia, non tutte le zecche, cioè, quando pungono, trasmettono la malattia.

Ciononostante, la presenza di zecche è in aumento e il problema delle rickettsiosi non è da sottovalutare.

Coxackiosi e infezioni da Echo virus

Alcuni virus coxackie, in particolare di tipo A e B, soprattutto in primavera e inizio estate, possono dare una serie di manifestazioni esantematiche multiformi, fugaci e dai sintomi simil influenzali.

In modo particolare il tipo A16 è responsabile della ben conosciuta malattia “bocca-mani-piedi” che si manifesta con stomatite afosa in bocca e presenza di maculo-papule e vescicole sul palmo delle mani e sulla pianta dei piedi.

La malattia è piuttosto lunga, in media una o due settimane, ed è spesso accompagnata da manifestazioni catarrali delle alte vie respiratorie e da febbre di solito non significativa.

Qualche volta alcuni Echovirus sono responsabili di alcune forme di meningite virale.

Anche per queste malattie non esiste una terapia specifica.

Malattie non esantematiche

Parotite

Comunemente chiamata orecchioni, è quasi scomparsa ormai dopo la vaccinazione di massa.

E’ una malattia virale epidemica altamente contagiosa dovuta ad un paramixovirus che si trasmette attraverso le prime vie respiratorie.

Ha una incubazione di 14-18 giorni ed è contagiosa da quattro, cinque giorni prima dell’ingrossamento delle parotidi fino a completa guarigione che avviene di solito 10-12 giorni dopo.

Lascia una immunità quasi permanente ma a volte, anche dopo la vaccinazione, si può contrarre nuovamente la malattia anche se in forma molto attenuata.

Esordisce con febbre alta, cefalea, dolori al collo e alle orecchie, alla masticazione soprattutto di cibi aspri come frutta o limone e dolori addominali. Dopo pochi giorni inizia una tumefazione alle parotidi che sono ghiandole salivari situate dietro alla mandibola.

Le parotidi si gonfiano (di solito prima l’una poi l’altra) e diventano visibili ad occhio nudo fino a provocare una deformazione del contorno del viso.

Complessivamente il gonfiore può durare anche due settimane e se è molto accentuato può provocare anche dolore spontaneo.

La parotite è una malattia che può dare complicazioni con una certa frequenza: nel 10% dei casi può dare meningoencefalite, nel 5% dei casi sordità, nel 20% dei casi può dare un processo infiammatorio ai testicoli (solo se funzionanti, cioè dalla pubertà in poi) e alle ovaie.

Può infine dare pancreatite. Molto rare sono le complicazioni renali e tiroidee. Da anni ormai vige l’obbligatorietà della vaccinazione contro la parotite che si effettua assieme al morbillo e alla rosolia con il vaccino trivalente al 15° mese e al 6°-7° anno.

Pertosse

Detta anche tosse convulsa, è una delle malattie batteriche più contagiose.

Ne è responsabile la Bordetella Pertussis che alberga naturalmente nelle prime vie respiratorie. Una delle sue tossine è responsabile della malattia.

Prima della vaccinazione di massa era una malattia molto diffusa; colpisce tutte le età ma è frequente tra i 2 e i 6 anni.

Il periodo di incubazione dura in media da 1 a 3 settimane e l’inizio è caratterizzato da tosse catarrale indistinguibile da una comune tracheobronchite.

Gli accessi di tosse sono dapprima sporadici poi si concentrano soprattutto di notte. Quasi mai è presente febbre.

Dopo la prima settimana, la tosse, invece di guarire, aumenta di intensità piano piano. In seconda settimana vi è il clou della malattia: iniziano gli accessi violenti che dureranno almeno altre due-quattro settimane.

La laringe si stringe in uno spasmo e l’aria, entrando dopo alcuni secondi di apnea che seguono l’accesso di tosse, crea il tipico stridore che le ha dato il nome di tosse canina o asinina.

Gli accessi continuano a manifestarsi di notte ma ora anche dopo i pasti o al momento della ingestione del cibo.

Dopo tre-sei settimane diminuisce di intensità e va verso la regressione totale.

Appena viene fatta diagnosi, o anche solo sospettata, è bene somministrare antibiotici (macrolidi o ampicilline) associandoli o meno a cortisone per ridurre lo stato infiammatorio e, se necessario, a sedativi centrali della tosse.

La malattia è soggetta a denuncia e ad isolamento del paziente almeno per le prime due settimane se non si pratica terapia, per almeno 5 giorni dopo l’inizio della terapia se si pratica terapia antibiotica.

Dopo la malattia vengono prodotti anticorpi non perenni che tendono a declinare con gli anni.

La malattia può essere quindi ripresa, anche se in forma molto più lieve. La malattia non trattata dura da due a sei mesi a secondo dell’età (più è piccolo il bambino, più lungo è il decorso), la malattia trattata dura poco più di due settimane.

Se contratta in epoca neonatale può decorrere in forma molto grave e prolungata: il bambino vomita, non si alimenta a sufficienza, non cresce e può avere complicazioni come otite, broncopolmonite, encefalite e convulsioni.

E’ bene precisare che anche qualora la madre avesse contratto la pertosse da piccola, non sarebbe in grado di immunizzare il bambino atraverso il latte materno perché, com’è stato detto, gli anticorpi decrescono col tempo.

Vi sono alcune forme di pertosse lievi dovuti a Bordetelle Parapertussis.

La malattia attualmente si combatte con la prevenzione, vaccinando i bambini sin dal secondo mese di vita.

Attualmente il vaccino non contiene batteri interi attenuati come il vecchio tipo di vaccino che dava reazioni importanti ma solo frammenti e particelle non in grado di dare reazioni particolari dopo la sua inoculazione: si tratta di un vaccino acellulare che viene somministrato al 3°-5°-11°mese e al 6° anno associato a tetano-difterite e, ultimamente anche polio inattivato, emofilo e antiepatite B, il cosìdetto vaccino esavalente.

Malattie dovute a Haemophilus

L’haemophilus influenzae tipo B o HIB è un batterio che può causare, soprattutto nel lattante e nel bambino che non ha ancora compiuto due anni, gravi malattie quali meningiti, epiglottidi, polmoniti, artriti purulente e setticemie.

La meningite da HIB è in assoluto una delle cause più frequenti di meningite batterica nei bambini da 0 a 2 anni e può causare danni permanenti quali sordità, ritardo mentale e epilessia.

E’ una malattia che si trasmette sia per contagio da malato a sano che per contagio da portatore sano a sano attraverso le goccioline di saliva che si emettono quando si parla.

Esordisce come una banale rinofaringite seguita da sinusite, otite e broncospasmo.

Nei casi più gravi vi è una diffusione ematica generalizzata che è causa di artriti settiche e meningiti. Soprattutto a rischio di contagio sono i bambini di 6-12 mesi e quelli che frequentano gli asili nido.

Le infezioni da HIB sono sensibili agli antibiotici (di solito ampicilline e cefalosporine) ma attualmente esiste un vaccino ottimamente tollerato ed efficace costituito da una parte della capsula batterica (frazione polisaccaridica) unita ad una proteina di trasporto che ne assicura la stabilità nel tempo e l’immunogenicità. Si chiama per questo vaccino coniugato ed è in grado di attivare sia i linfociti T che i linfociti B (responsabili della memoria immunitaria) creando così una barriera protettiva all’ingresso ma soprattutto alla diffusione del germe.

Durante il primo anno di vita il vaccino si pratica al 2°-4° e 10° mese. Nel secondo anno basta una dose unica.

Data la realtà dei portatori sani, i famigliari o conviventi o baby-sitter di un bambino piccolo ancora non vaccinato contro l’emofilo potrebbero essere monitorati con un semplice tampone faringeo ed eventualmente profilassati con antibiotico se positivi.

Anche i bambini molto piccoli che hanno già contratto una qualsiasi malattia dovuta ad emofilo debbono essere comunque vaccinati contro HIB e l’antibiotico di scelta nei portatori sani è la rifampicina.

Malattia dovute a pneumococco

Lo pneumococco, o streptococco pneumonite, è in assoluto la prima causa di meningite batterica nell’infanzia.

E’ un batterio che, come l’emofilo, causa varie patologie quali sinusiti, otiti, polmoniti, meningiti, setticemie. Anche le otiti ricorrenti possono portare conseguenze gravi quali sordità e conseguente ritardo nel linguaggio.

La meningite pneumococcica è tra le più frequenti cause di meningite in età pediatrica con una mortalità stimata attorno al 20% e numerosi esiti quali ritardo psicomotorio, sordità, idrocefalo e paralisi motorie.

I soggetti più a rischio non sono solo i bambini molto piccoli ma anche i diabetici, gli immunodepressi gli anziani e i soggetti con anemie famigliari tipo anemia mediterranea e anemia a cellule falciformi.

Anche in questo caso, come per l’emofilo, vi sono frequenti portatori sani di pneumococco che trasmettono il batterio attraverso la loro saliva e i loro starnuti e vale il consiglio di praticare tampone faringeo nei conviventi o nei soggetti che accudiscono un bambino molto piccolo ancora non vaccinato o vaccinato solo con una prima dose.

La contagiosità è alta nel soggetto malato e dura fino a 24 ore dopo l’inizio della terapia antibiotica che è bene effettuare al più presto quando vi è un dubbio di infezione da pneumococco. Si calcola che almeno due terzi delle meningiti in età pediatrica sia dovuta allo pneumococco.

La terapia antibiotica si basa su una o più associazioni antibiotiche a causa dell’accertata resistenza agli antibiotici dimostrata da alcuni ceppi. Attualmente si pratica una profilassi vaccinale che è caldamente raccomandata soprattutto nei bambini molto piccoli che frequentano l’asilo-nido e che non hanno ancora compiuto due anni.

Si basa su una serie di tre iniezioni a 3-5 e 11 mesi se il bambino non ha ancora compiuto l’anno e su un’unica dose nel bambino che ha già compiuto un anno (a questa età la memoria immunitaria è molto più matura di prima del primo anno e non sono necessari richiami per produrre anticorpi duraturi nel tempo).

Esistono due tipi di vaccino antipneumococcico, uno comprendente 7 antigeni polisaccaridici capsulari, molto efficace e idoneo per vaccinare i bambini sotto i tre anni e uno comprendente 23 antigeni polisaccaridici capsulari, leggermente meno efficace del precedente anche se più completo, ma che non può essere somministrato ai bambini sotto i due anni.

Quest’ultimo vaccino si utilizza prevalentemente negli adulti. Una buona strategia vaccinale allora dovrebbe comprendere 3 dosi di vaccino a sette antigeni somministrate entro il primo anno di vita, un’unica dose nel secondo anno di vita.

Si discute sulla necessità di praticare ai bambini che hanno superato i tre anni una ulteriore vaccinazione con il vaccino a 23 antigeni, più completo anche se meno immunogenico del precedente, ma si preferisce riservare quest’ultimo agli adulti o ai bambini oltre i tre anni che non sono mai stati vaccinati in precedenza.

Malattie dovute a meningococco

Il meningococco, o Neisseria Meningitis, appartiene ad una famiglia di batteri che comprende vari sottotipi.

I più comuni in Italia e in Europa sono i meningococchi B e C. La trasmissione avviene sempre da persona a persona e si calcola che, oltre agli adulti, almeno il 30% di bambini perfettamente sani alberghi nel suo faringe una carica batterica importante di meningococchi senza accusare nessun sintomo.

A maggior rischio di meningite da meningococco sono i bambini  da 0 a 4 anni e gli adolescenti.

E’ per questo che, contrariamente agli altri vaccini antipneumococco e antiemofilo, quello antimeningococco non perde la sua validità con gli anni: Cioè, mentre per la vaccinazione antipneumococcica e per quella antiemofilo la fascia di età che è molto importante vaccinare è quella compresa tra 0 e 3 anni, la vaccinazione antimeningococcica non perde la sua validità negli anni e se anche un bambino non è stato vaccinato nei primi due anni di età è sempre consigliabile farlo fino a che non raggiunge la pubertà che rappresenta un’altra fascia di età a rischio.

La meningite da meningococco può insorgere dopo una pregressa infezione delle prime vie respiratorie: i fattori predisponesti sono ambienti chiusi e affollati, ambienti saturi di fumo che irrita le prime vie respiratorie. Le stagioni più a rischio sono inverno e primavera.

L’incubazione media è di meno di una settimana. La malattia meningococcica è estremamente invasiva ed evolve in tempi rapidissimi in meningite e setticemia fulminante.

I sintomi sono improvvisi con febbre alta e brividi malessere generale torpore e sopore vomito cefalea rigidità nucale e comparsa di piccole macchie viola sulla cute.

La malattia è letale nel 10% dei casi. Gli esiti sono sordità, deficit intellettivi e paralisi motorie. E’ fondamentale la diagnosi tempestiva e l’inizio immediato di una terapia antibiotica idonea.

Attualmente è fortemente raccomandata la profilassi vaccinale con vaccino polisaccaridico coniugato con una frazione proteica per aumentarne l’immunogenicità e si consiglia di praticarne tre dosi a distanza di 4-8 settimane l’una dall’altra prima del compimento del primo anno di vita e una sola dose in tutte le altre età.

La protezione anticorpale si ottiene dopo due settimane. Se si manifesta un caso di meningite da meningococco in una scuola tutti i compagni di classe del bambino malato vanno profilassati con terapia antibiotica breve al più presto possibile.

Malattie dovute a stafilococco

Lo stafilococco aureo è un batterio che colonizza normalmente la cute e che, in casi particolari, è la causa più frequente di infezioni superficiali della cute stessa, molto più comuni della più nota impetigine dovuta allo streptococco beta-emolitico di gruppa A.

Lo stafilococco è responsabile dell’impietigine bollosa che si diffonde su tutto il corpo e dell’impietigine crostosa che si localizza al viso.

Soggette ad impetigine e ad ectima (infezione cutanea sempre dovuta allo stafilococco ma con manifestazioni diverse) sono braccia, gambe e viso, cioè le zone esposte del corpo.

Sia impetigine che ectima possono essere secondari a traumi superficiali della cute o a lesioni da grattamento in seguito a pediculosi, scabbia, herpes simplex o zoster, micosi o punture d’insetto.

L’impietigine è caratterizzata da lesioni a forma di vescicole o pustole della grandezza di un pisello oppure serpeggianti e multiformi con tendenza all’ingrandimento, di solito a margini rilevati con evoluzione molto rapida.

L’ectima forma piccole ulcere purulente superficiali perforate che evolvono presto in croste marrone scuro. Entrambe provocano prurito e possono essere aggravate da lesioni da grattamento.

Il trattamento di scelta è la terapia antibiotica con cloxacillina o cefalosporine di prima generazione per via generale sia per bocca che per via intramuscolare. Trattamenti locali possono essere fatti con mupirocina.

Difterite

La difterite è una malattia scomparsa ormai da circa mezzo secolo nel nostro paese ma non eradicata dal globo come il vaiolo, tanto che sembra esserci una recrudescenza in questi ultimi anni dovuta principalmente ai flussi migratori di popolazioni che non hanno tutele a riguardo nelle loro patrie d’origine.

E’ una malattia grave altamente contagiosa dovuta alla tossina di un batterio che si moltiplica nel faringe e nelle prime vie respiratorie.

Questa moltiplicazione crea in gola e a volte nelle narici nonché sulla pelle delle membrane grigiastre che, occludendo le vie respiratorie, possono provocare soffocamento.

Se la tossina si diffonde per via ematica può danneggiare cuore reni e sistema nervoso dando paralisi. Da anni ormai viene praticata la vaccinazione preventiva, efficace e con scarsissimi effetti collaterali, con lo stesso protocollo vaccinale della vaccinazione antitetanica: tre dosi nel primo anno e richiamo a 6 e 12 anni con richiami opportuni anche in età adulta.

Tetano

E’ una grave malattia causata dalla tossina tetanica prodotta da germi chiamati clostridi del tetano che vivono nel suolo e nell’intestino degli animali.

Grazie alla vaccinazione di massa attuata ormai da più di mezzo secolo in tutti i bambini, da anni ormai non si riscontrano più casi di tetano in età pediatrica e fino ai 20 anni di età.

L’adulto si dimentica di effettuare richiami decennali regolari e alcune centinaia di casi ogni anno sono ancora presenti nel nostro paese.

La malattia è grave e mortale nel 30% dei casi.  Non è contagiosa da persona a persona ma si può contrarre in seguito a ferite anche banali o in seguito a ustioni, abrasioni o morsi di animali.

Si manifesta con spasmi muscolari violenti che, quando interessano le corde vocali ed i muscoli respiratori, possono bloccare il respiro con conseguenze gravissime, febbre alta, ipertensione, tachicardia e anche fratture ossee nel caso di contrazioni muscolari estreme.

Il vaccino, che di solito è associato alla vaccinazione antidifterica, contiene anatossina tetanica, cioè tossina completamente inattivata, e si pratica dal secondo mese di vita, ormai associato a difterite, pertosse, polio, enofilo e epatite B nel vaccino esavalente con tre richiami nel primo anno di vita, uno al 6° anno e uno al 13° anno.

I richiami assicurano poi una protezione decennale e andrebbero regolarmente ripetuti ogni anno per tutta la vita. In questo modo la sicurezza di essere protetti dalla malattia è superiore a quella assicurata da una vaccinazione ripetuta ex-novo in occasione di una ferita importante.

Bisogna ricordare, a questo proposito, che maggiori probabilità di trasmettere l’infezione tetanica le hanno proprio le ferite banali e, più ancora, semplici punture con uno spino o con una piccolissima scheggia infilatasi sotto pelle che non produce fuoriuscita di sangue piuttosto che un taglio netto, anche profondo, che causa emorragia vistosa, perché il clostridio tetanico è un microrganismo anaerobio e si sviluppa in assenza di aria e ossigeno: le ferite aperte vengono a contatto con l’aria e facilmente inattivano il germe.

Bronchiolite

E’ la più comune infezione delle basse vie respiratorie, (cioè dei bronchi terminali, quelli più piccoli, oltre i quali vi sono gli alveoli polmonari che presiedono allo scambio di ossigeno e anidride carbonica con l’aria respirata), dei bambini della prima infanzia, soprattutto attorno ad un anno di età.

E’ una malattia che può essere grave, tipica dei mesi più freddi dell’anno (gennaio, febbraio,marzo), soprattutto quando un convivente più grande, come un fratello maggiore o un genitore presentano banali sintomi da raffreddore e rinite.

Si manifesta con poca febbre, tachipnea (aumento della frequenza respiratoria), frequenza che, nel bambino, per essere considerata patologica, deve superare i 60 atti respiratori al minuto, tosse, dispnea (difficoltà respiratoria) e sintomi visibili come alitamento delle pinne nasali e rientramenti toracici intercostali. Il bambino appare sofferente e inappetente e, avvicinando un orecchio al torace, si può udire un sibilo respiratorio, soprattutto in vicinanza della bocca.

La bronchiolite è una malattia virale causata più frequentemente dal Virus Respiratorio Sinciziale, ma anche da altri virus come adenovirus, virus influenzali e parainfluenzali e a volte da microrganismi come la clamydia; la terapia antibiotica, quindi, anche se spesso praticata per evitare sovrainfezioni batteriche, non è risolutiva.

La terapia si basa sulla reidratazione del bambino, l’umidificazione dell’aria che respira con eventuale arricchimento di ossigeno, se necessario, sulla somministrazione di broncodilatatori e cortisone (se necessario) per ridurre lo stato di infiammazione dei bronchioli terminali interessati dalla malattia e una dieta leggera e molto frazionata.

Attualmente si utilizza la ribaflavina, un farmaco antivirale, per aerosol. Visto che i virus influenzale e parainfluenzali possono essere responsabili della malattia è caldamente raccomandato agli adulti affetti da raffreddore o sindrome influenzale, in inverno, di non stare a contatto con bambini di pochi mesi durante la fase acuta della loro malattia così com’è caldamente raccomandato di non esporre i bambini piccoli ad ambienti saturi di fumo di sigaretta che è fortemente irritante per la mucosa bronchiale e favorisce l’attecchimento dei germi e dei virus.

Tubercolosi

E’ una malattia dovuta alla varietà umana e bovina di un micobatterio che si trasmette da persona infetta a persona sana e rarissimamente da bovino infetto a uomo sano.

Fino a mezzo secolo fa i serbatoi di bacilli tubercolari erano le persone relativamente anziane, di solito i nonni, affetti magari dalla forma cronica di TBC.

Dopo alcuni anni dalla fine della seconda guerra mondiale le condizioni igienico-sanitarie e l’alimentazione della popolazione sono andate rapidamente migliorando creando i presupposti per una relativa resistenza alla malattia e per un felice superamento, spesso in forma asintomatica, della prima infezione tubercolare, e quindi, pur in assenza di una vera e propria campagna di vaccinazione di massa, la malattia, nei paesi industrializzati, è andata via via scemando.

Ciononostante, il rapido aumento attuale dei flussi migratori di popolazioni anche non malate di tbc ma viventi in condizioni di estrema promiscuità e indigenza, costrette ad adattarsi a climi diversi da quelli dei paesi di origine, di solito molto più caldi dei nostri, l’aumento migratorio di popolazioni provenienti da paesi dove la malattia è molto diffusa e l’aumento delle malattie da immunodeficienza come l’HIV, stanno creando le condizioni per una nuova diffusione della malattia, anche perché le persone disagiate, appunto, e prive di anticorpi antitubercolari, venendo nei nostri paesi, si ammalano più facilmente e diventano serbatoi di diffusione del bacillo.

A questa motivazione si aggiunge la crescente resistenza agli antibiotici un tempo efficaci contro la malattia e l’insorgenza di ceppi atipici di bacilli tubercolari. Per tutti questi motivi la tubercolosi sta ritornando nuovamente degna di attenzione anche da noi.

La trasmissione dell’infezione avviene nella stragrande maggioranza dei casi, respirando le finissime goccioline di escreato  che ristagnano nell’aria nelle vicinanze di un soggetto contagioso, cioè affetto da una forma sintomatica di tbc polmonare o delle primissime vie respiratorie.

Le goccioline di escreato, inoltre, una volta seccatesi, sono così fini e leggere da rimanere sollevate nell’aria: vengono pertanto inalate con facilità.

Chi inala il bacillo non si ammala obbligatoriamente: può sviluppare la malattia in modo assolutamente asintomatico o con sintomi sfumati e generici simili ad una banale flogosi delle prime vie respiratorie.

Deve comunque, a questo proposito, mettere in sospetto una tosse persistente per più di due settimane (escludendo la pertosse), una febbricola continua o serale, una abbondante sudorazione notturna e una stanchezza persistente non altrimenti giustificata, soprattutto se in un ragazzo adolescente.

Per essere contagiati bisogna avere contatti  ripetuti con una persona infetta: non è un’ occasionale vicinanza con una persona contagiosa, per un breve periodo, che deve mettere in allarme.

Dopo che i bacilli vengono inspirati possono stabilirsi nei polmoni dove cominciano a moltiplicarsi dando origine ad un focolaio broncopolmonare con vivace reazione linfoghiandolare cosìdetta satellite perché sono interessati i linfonodi situati nelle vicinanze del focolaio.

Sono segno di una vivacissima reazione immunitaria che tende ad isolare il bacillo, inattivarlo e segregarlo dal resto del polmone creando una barriera protettiva attorno ad esso.

Così segregato il bacillo può durare molto a lungo senza dare segno di se: si parla in questo caso di infezione primaria, o formazione del complesso primario, spesso reperto radiologico inaspettato e occasionale in occasione di radiografie al torace per altri motivi.

I soggetti che hanno superato l’infezione primaria non hanno sintomi e non sono contagiosi: hanno solo la reazione alla tubercolina positiva e possono però, anche se raramente, sviluppare la malattia in un momento qualsiasi della loro vita, in occasione di un deficit immunitario, dopo importanti malattie infettive o in seguito a terapie che abbassano le difese immunitarie o malattie tumorali ecc.

Per questo si consiglia di trattare farmacologicamente anche i soggetti con infezione primaria accertata e superata.

Nei bambini si può distinguere una infezione tubercolare primaria localizzata ai polmoni o in altro organo, e una tubercolosi post-primaria o tardiva.

L’infezione tubercolare primaria non è altro che la diffusione, di solito ai polmoni, alla pleura o attorno ai bronchi, dei bacilli quando il complesso primario non evolve verso guarigione e l’eventuale disseminazione per via ematica nel giro di pochi mesi,in altri organi.

La localizzazione post-primaria è invece evenienza spesso dell’età adulta o subito dopo la pubertà e si tratta di una reinfezione endogena con batteri che vanno a localizzarsi in vari organi tra cui, oltre il polmone, le ovaie, i reni, le ossa, la cute, ecc.

Esiste una tbc congenita, rarissima, e una più frequente tbc, che può essere anche grave, contratta dal nascituro se la madre è affetta da tbc conclamata.

La diffusione della tbc è da tempo ormai attentamente monitorata sulla popolazione effettuando il semplice test alla tubercolina nelle scuole e nei lavoratori che vengono in contatto con l’infanzia o le comunità.

Un soggetto risulta positivo al test tubercolinico dopo poche settimane dal contatto col bacillo: in questo caso, si tratta di soggetto infettato, come abbiamo detto, ma non per forza ammalato.

Tra i soggetti infetti solo una piccolissima parte, infatti, risulta malato. Il soggetto infettato sviluppa una vivace capacità di reagire ad un successivo contatto con il bacillo tbc.

Il sistema immunitario di un soggetto infettato sviluppa due reazioni difensive contro il bacillo: una finalizzata alla costruzione di una barriera a scopo difensivo e distruttivo contro il bacillo, e un’altra, chiamata allergia tubercolinica, finalizzata alla produzione di una vivace schiera di anticorpi circolanti molto attivi nel distruggere nuovi bacilli o bacilli endogeni riacutizzatisi.

La prevenzione della malattia tubercolare si attua con l’isolamento e il trattamento precoce delle fonti di contagio, con la vaccinazione dei soggetti sani a rischio di contagio, con la chemioprofilassi farmacologia che protegge i soggetti indenni a rischio e blocca l’eventuale evoluzione della malattia negli infetti non ancora ammalati. Esiste una vaccinazione efficace contro la tbc preparata con bacillo non più virulento che è attualmente obbligatoria solo nei paesi dove la tbc ha una diffusione endemica.

Si hanno a disposizione numerosi antibiotici attivi contro il b.tubercolare (rifampicina, isoniazide, streptomicina ecc.). Di solito si usano in associazione con risultati più che soddisfacenti.

Influenza

L’influenza è una malattia respiratoria  acuta virale ben conosciuta da tutti, caratterizzata da febbre alta e infiammazione acuta delle prime vie respiratorie.

Di solito si verifica d’inverno in forma epidemica e colpisce più membri di una stessa famiglia o di una comunità.

Può diffondersi in pandemie e dare complicanze anche molto gravi.

I virus responsabili sono dei myxovirus dei quali si conoscono tre tipi antigenici. Le epidemie influenzali si presentano ogni anno durante la stagione fredda, di solito con tre picchi a dicembre-gennaio, febbraio e marzo-aprile.

I virus presentano ogni anno modificazioni del loro corredo antigenico cosicché l’immunità che segue la malattia non è permanente ma dura pochi mesi (9-10): chi desidera immunizzarsi contro l’influenza deve quindi ripetere il vaccino ogni anno.

Dei virus dell’influenza si conoscono sostanzialmente tre tipi antigenici A, B e C.

Ogni due o tre anni vi sono delle epidemie di influenza A in occasione delle modificazioni antigeniche lievi (drift), mentre ogni 10-15 anni si verificano pandemie più gravi dovute a modificazioni antigeniche più sostanziali (shift).

Questo significa che chi si ammala di influenza può contare sul fatto che per almeno tre anni gli anticorpi che ha prodotto saranno sufficientemente protettivi nei confronti dell’influenza degli anni successivi, mentre, in seguito, le variazioni antigeniche dei virus non assicureranno più la sua immunità dal contagio.

Dopo il contagio, l’incubazione è breve: 2-3 giorni. I primi sintomi sono febbre con brivido, tosse, cefalea, profonda prostrazione, dolori muscolari e congestione nasale.

Caratteristici sono i dolori al bulbo oculare soprattutto nei movimenti di lateralità dell’occhio e la fotofobia.

Vi è notevole arrossamento del faringe, lacrimazione e scolo di muco limpido abbondante dal naso. Dopo 2 o 3 giorni la febbre e la sintomatologia iniziali scompaiono ma rimane per molti giorni un senso di grande spossatezza. Nei bambini piccoli vi è spesso vomito e, nel 15% dei casi, diarrea.

Forme gravi di influenza si verificano ogni 10 anni circa, in occasione di una importante variazione antigenica dei virus, mentre complicazioni batteriche di una influenza inizialmente non grave sono sempre possibili e si devono sospettare quando la febbre persiste oltre il 5° giorno e quando vi sono sintomi di bronchite e broncopolmonite.

In questi casi, di solito, i germi responsabili sono pneumococchi, streptococchi e haemophilus nei bambini più piccoli e pneumococchi nei più grandi e negli anziani.

Attualmente è praticata la vaccinazione antinfluenzale con vaccini ricombinati split a sub-unità virali che comprendono i vari ceppi antigenici dei principali virus influenzali.

Tale vaccinazione è altamente consigliata soprattutto nei bambini portatori di patologie croniche sia polmonari (asma bronchiale, fibrosi cistica, ecc.), sia extrapolmonari (cardiopatie, malattie renali, diabete, malattie oncologiche, malattie neurologiche che interessano i muscoli respiratori, ecc.), nonché a bambini in procinto di subire un intervento chirurgico o in terapia prolungata con acido acetilsalicilico.

Si discute sulla necessità di estendere la vaccinazione a tutti i bambini in buona salute e in condizioni igienico-sanitarie e di nutrizione buone come normalmente sono i nostri bambini.

I motivi che spingono in questa direzione sono la considerazione che i bambini, appunto, ammalandosi di solito due settimane prima degli adulti dal momento dell’arrivo dei virus, sono i primi e maggiori responsabili della diffusione dell’influenza nei mesi di epidemia sia tra i bambini che tra gli adulti e, non ultimo, il forte allarmismo creato dai mass-media in occasione dell’influenza aviaria, alla quale sarebbero maggiormente a rischio i soggetti affetti da influenza. Non essendoci ancora un vaccino contro l’influenza aviaria, si tenterebbe di arginarla evitando epidemie di influenza umana.

Al di là di queste motivazioni, un bambino in buona salute, in buono stato di nutrizione e vivente in ambiente igienicamente idoneo, non ha particolari motivi di temere la malattia influenzale.

Il vaccino antinfluenzale si può praticare dopo il sesto mese di vita utilizzando mezza dose fino al terzo anno e una dose intera nelle altre età.

Gastroenterite da rotavirus

Si tratta di una infezione virale diffusa in tutto il mondo che, alle nostre latitudini, ha picchi stagionali nei mesi invernali.

E’ una delle più frequenti cause di gastroenterite nei lattanti e nei bambini in età prescolare e colpisce soprattutto lattanti e bambini sotto i due anni che frequentano le comunità.

Esistono vari ceppi di rotavirus patogeni per l’uomo, ma il più importante in assoluto è il ceppo A seguito dal B e dal C. L’immunità lasciata dalla prima infezione non è sufficiente per prevenire altre infezioni successive anche se esse saranno più lievi.

Nei nostri paesi non ha esiti letali come nel terzo mondo ma si tratta comunque di una patologia impegnativa e seria per la quale a rischio sono soprattutto lattanti, anziani e soggetti immunocompromessi.

Si trasmette per via oro-fecale, cioè per ingestione di acqua o cibi contaminati o manipolati con mani contaminate o per contatto con superfici contaminate e non sufficientemente sanificate.

Negli asili nido si trasmette attraverso le mani del personale che cambia i bambini, non lavate o insufficientemente lavate tra un cambio di pannolino e l’altro, o per contatto con un fasciatolo non sanificato dopo ogni cambio di pannolino, così come, nelle mense, può trasmettersi attraverso la manipolazione di cibi che non richiedono cottura come frutta, insalata, formaggi, con mani contaminate e non lavate.

L’incubazione è brevissima, 2 giorni, e la malattia inizia con febbre, vomito e diarrea acquosa profusa molto abbondante con scariche frequenti e ravvicinate. La diarrea dura alcuni giorni, fino ad una settimana e provoca spesso intensa disidratazione e squilibri elettrolitici.

La diagnosi è clinica ed epidemiologica ma si basa anche sulla ricerca degli antigeni specifici del virus sul materiale fecale.

Non esistono cure specifiche se non una pronta reidratazione con restituzione dei sali minerali persi con le scariche diarroiche.

I segni di disidratazione sono sete intensa, mucose secche, cute secca sollevabile in pliche fini e poco elastiche, sonnolenza e notevole riduzione della diuresi.

Attualmente esiste un vaccino specifico antirotavirus che si può somministrare per bocca ai lattanti a partire dalla 6° settimana di vita con richiamo dopo un mese.

Il ciclo di due dosi a distanza di un mese l’una dall’altra deve essere completato entro i primi sei mesi di vita e può essere associato alle altre vaccinazioni di routine.

Dopo una gastroenterite da rotavirus non è raro riscontrare disturbi gastrointestinali come intolleranza al lattosio (di solito transitoria) e intolleranza alle proteine del latte vaccino e al glutine, a causa dei gravi danni provocati dal virus sulla mucosa dell’intestino tenue.

E’ importante quindi pensare di vaccinare i lattanti soprattutto se si intende inserirli in comunità prima del compimento del secondo anno di vita.

Infezioni dovute a salmonella

Normalmente, quando si dice che un bambino è affetto da salmonella, si pensa ad un bambino affetto da gastroenterite dovuta a una delle tante salmonella cosìdette “minori”, che non danno, cioè, i sintomi gravi ed eclatanti del tifo.

La gastroenterite da salmonella è una malattia infettiva per lo più ad insorgenza acuta caratterizzata da vomito e scariche diarroiche a volte verdastre contenenti molto muco e occcasionalmente striate di sangue.

Spesso esordisce con febbre alta ma non sempre.

La gravità dei sintomi varia molto da caso a caso fino a forme lievissime o addirittura asintomatiche che costituiscono, assieme ai soggetti che hanno superato la fase acuta della malattia, la vasta schiera di portatori sani di salmonella.

Nella fase acuta della malattia sono evidentemente necessarie restrizioni dietetiche e reidratazione con liquidi, zuccheri e Sali minerali.

Si sospende di solito il latte vaccino e quello artificiale ma mai il latte materno; si somministrano fermenti lattici o meglio, probiotici, i cosìdetti batteri “buoni” che contrastano l’attecchimento intestinale dei batteri patogeni.

Nella maggior parte dei casi, pur essendoci in commercio antibiotici efficaci contro la salmonella, si preferisce non usarli perché si è visto che allungano i tempi di persistenza e quindi di eliminazione delle salmonelle dall’intestino e possono prolungare anche per mesi la condizione di portatore sano di salmonella.

La salmonella si contrae per via orale con cibi e bevande contaminati: acqua, uova, carne di manzo, pollo, maiale, latte non pastorizzato e, più raramente, frutta e verdura.

I cibi destinati ad essere consumati crudi vanno dunque sempre lavati con molta attenzione.

La salmonella si trasmette anche tramite oggetti che sono stati contaminati con feci infette, quando un bambino , per esempio, si tocca il sederino poi tocca giocattoli che altri bambini metteranno in bocca; quando la madre o la puericultrice pulisce e cambia un bambino portatore di salmonella poi accudisce un altro bambino senza prima lavarsi le mani, quando si hanno contatti molto stretti con animali anch’essi portatori come pollame, animali da cortile, animali domestici e anche rettili esotici, la cui moda di importarli e tenerli in casa si sta diffondendo senza sapere che sono un serbatoio molto importante di trasmissione di salmonelle  e, di conseguenza, senza prendere le dovute precauzioni.

Anche il riso può essere veicolo contaminato.

Le uova possono albergare salmonelle sul guscio, ed è per questo che vanno sempre comprate confezionate, fresche e certificate piuttosto che sfuse, se non si è più che sicuri della loro provenienza.

Vanno poi conservate nella parte più fredda del frigo, in confezioni o contenitori chiusi, separati dagli altri alimenti.

Il tuorlo e l’albume dovrebbero essere mangiati ben cotti (uovo sodo) perché solo una bollitura di 7-8 minuti garantisce la sterilizzazione. C’è da dire, però, che sia l’albume che il tuorlo sono ben isolati dal guscio attraverso una membrana che li separa dal guscio stesso e l’albume contiene molte sostanze con potere battericida.

Si può, inoltre, essere contaminati da salmonella da schizzi negli occhi di liquidi infetti, da contatto di una ferita con materiale infetto, da contaminazione di cibi anche ben cotti con cibi crudi, ecc. e non solo da contatto con feci infette.

Un discorso a parte merita il tifo, o febbre tifoide: è una malattia infettiva acuta e grave dovuta ad una particolare delle migliaia di specie di salmonelle, la Salmonella Typhi che può essere eliminata con le feci da molti animali o contenuta nei mitili, per esempio.

Il contagio avviene sempre per via oro-fecale ma, a differenza delle altre salmonelle, la salmonella typhi, una volta raggiunta la mucosa dell’intestino, la attraversa e arriva nel sangue circolante dove si moltiplica velocemente. Può dare un quadro simile a tutte le altre gastroenteriti da salmonella come può dare sintomi generalizzati di una vera e propria setticemia con febbre altissima e prolungata, ingrossamento del fegato e della milza, dimagrimento e meningismo con cefalea e stato saporoso.

La diarrea, la febbre e l’impossibilità ad alimentarsi correttamente provocano grave disidratazione; dopo pochi giorni compare un tipico esantema sull’addome e vi possono essere complicanze come emorragie gastrointestinali, perforazioni intestinali, meningite, osteomielite, artrite, polmonite, neurite ottica, sordità, alopecia.

Il cloranfenicolo è l’antibiotico di scelta e va somministrato appena possibile. Ovviamente i soggetti malati richiedono assoluto isolamento dalla comunità.

Quando un bambino guarisce da una gastroenterite da salmonella può, come è già stato detto, restare per mesi portatore sano di salmonelle. Il suo reinserimento in comunità è soggetto all’approvazione della commissione sanitaria della ASL.

Esistono tre vaccini diversi contro la salmonella typhi: uno intramuscolare con germe inattivato che non è indicato nei bambini, o meglio, può essere usato nei bambini sopra i sei mesi solo se a rischio; un altro vaccino è somministrabile per os ed è costituito da germi attenuati.

La sua efficacia è discreta ma si somministra solo a bambini superiori a 6 anni sotto forma di compresse da assumere a giorni alterni per 4 volte ad un’ora di distanza dai pasti.

Un terzo vaccino è costituito da un antigene polisaccaridico Vi purificato.

Si somministra per via intramuscolare in unica dose ripetibile ogni tre anni. Anche quest’ultimo è indicato per vaccinare i bambini ed ha una discreta efficacia.

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.