Il mito di Edipo si ripete

edipoelasfingeNuovamente il mito di Edipo, o meglio, il mito di Laio e Giocasta, ovvero, la tragedia si ripete… ma forse, chissà? le nuove generazioni si salveranno…

Edipo era figlio di Laio, re di Tebe. Laio era sposato con Giocasta, ma il loro rapporto non era felice perché non riuscivano a concepire un figlio. Laio, allora, consultò l’oracolo di Delfi il quale gli preannunciò la grande sciagura: se un figlio fosse nato avrebbe ucciso suo padre e avrebbe sposato la propria madre. Laio, allora, terrorizzato, non osò più giacere con Giocasta. Ma Giocasta voleva fortemente questo figlio: ubriacò Laio e giacque con lui con l’inganno. Dopo nove mesi nacque Edipo. Per impedire l’avverarsi della profezia, Laio lo prese, lo allontanò dalla madre, gli trapassò le caviglie con un grosso ago per appenderlo ad un ramo (da qui il nome Edipo che significa piedi gonfi) e lo consegnò ad un servo affinché lo lasciasse morire su un monte, nel deserto.

Laio aveva tra i suoi servi un giovane al quale insegnava come imbrigliare un cavallo per domarlo e cavalcarlo (domare un cavallo = imbrigliare gli istinti). Un giorno gli si avvicinò e ne abusò sessualmente. Questa unione, ovviamente, non produsse frutti (non produsse consapevolezza). Laio, per questa sua azione riprovevole, fu punito, appunto, con la maledizione predetta dall’oracolo.

Ma il servo non ebbe il coraggio di abbandonare il neonato e lo affidò ad un pastore che, a sua volta, pensò bene di consegnarlo al re di Corinto la cui moglie non aveva figli propri.

Gli anni passarono e Edipo cresceva senza conoscere le sue vere origini, finché, un giorno, incontrò il pastore che lo aveva raccolto da piccolo: era ubriaco e raccontò a Edipo la sua vera storia e la profezia. Edipo allora lasciò quella che aveva sempre creduto essere la sua  famiglia e fece ritorno a Tebe. Cammin facendo, ad un crocevia, incontrò due viandanti a cavallo: litigarono per una questione di precedenza perché gli uomini a cavallo non volevano lasciarlo passare e neanche Edipo voleva cedere. Edipo uccise i due che si rivelarono poi essere Laio, il suo vero padre e il suo servo. Edipo raggiunse Tebe senza sapere di avere ucciso il padre. Trovò la città in stato d’assedio e si recò dalla sfinge, essere mitologico metà leone e metà donna, che gli promise in sposa Giocasta, la regina di Tebe ormai vedova, se lui avesse risolto l’enigma da lei formulato, cioè se avesse indovinato chi fosse quell’essere che appena nato ha quattro gambe, poi, crescendo, solo due, poi, invecchiando e facendosi più debole,  tre? Edipo rispose giustamente e disse: l’uomo. Sposò quindi Giocasta, inconsapevole del fatto che era sua madre e divenne re di Tebe. Dalla loro unione nacquero quattro figli, due maschi e due femmine.

Come castigo per l’uccisione di Laio, Tebe fu colpita da una pestilenza. Per porre fine a questa maledizione, Edipo si mise alla ricerca dell’assassino di Laio e, per trovarlo, si rivolse a Tiresia, il veggente cieco. Questi, pur riluttante, in seguito alle insistenze di Edipo, svelò la verità. Udendola, Edipo si adirò a tal punto che decise di uccidere Giocasta, ma quando arrivò nella sua stanza la trovò impiccata. Allora, pieno di rabbia e di rimorso, si accecò e fuggì da Tebe accompagnato dalla figlia Antigone.

Cosa ci insegna questa storia?
Laio ha il compito di insegnare al servo a cavalcare, cioè ha il compito di insegnare il superamento degli istinti per imparare a comportarsi da uomo maturo. Fallisce perché, oltre a non riuscire ad insegnare al suo servo a cavalcare, cede alla tentazione di dare spazio al suo narcisismo seducendolo e dando così vita ad una unione incapace di dare frutti, cioè incapace di creare consapevolezza.
Per punire questo atteggiamento sterile e insensato nasce la maledizione di Edipo, figlio che lo avrebbe ucciso per sposare la sua stessa sposa, cioè sua madre.
Il matrimonio di Edipo con la madre è la proiezione che un uomo e una donna, quasi inevitabilmente, fanno l’uno nell’altra delle loro rispettive madri: inconsciamente, sia l’uomo che la donna, quando si uniscono, tendono, infatti, a proiettare, anche solo in parte, la figura delle loro rispettive madri sul partner.
Quando Edipo, conosciuta la verità, diventa finalmente adulto e pronto ad “uccidere” la sua vera madre per affrancarsi dalla figura materna, cioè, quando ha finalmente il coraggio di crescere ed aprire gli occhi sulla realtà rinunciando al suo ego (al suo egocentrismo), si ritira da Tebe, prende, cioè, le distanze dalle lusinghe del mondo, rinuncia al potere come re di Tebe e, accecandosi, presta finalmente attenzione al suo mondo interiore e, per la prima volta, “vede”, diventa, cioè, uomo maturo.
Le difficoltà incontrate da Edipo in questo processo di affrancamento dalla figura materna sono dovute alla forzata separazione che a poche ore di vita ha dovuto subire essendo stato allontanato da Giocasta per volere del padre e affidato ad altri.
Lo stesso succedeva qualche secolo fa con la consuetudine dei ceti ricchi di dare i figli a balia, lo stesso è successo dagli anni cinquanta del secolo scorso in poi (molto meno ultimamente, per fortuna), ai bambini nati in ospedali dove vigeva la consuetudine di separare la madre dal figlio sin dalla nascita per pretesi motivi di opportunità, di igiene e di miglior assistenza, privando i neonati del loro bisogno prioritario: il contatto corporeo con la madre. Abitudine che veniva perpetrata durante l’allattamento con la vecchia teoria delle poppate a orario fisso, pianga o non pianga il bambino, difficilissima da sradicare, per non parlare delle teorie femministe che sostenevano l’allattamento artificiale migliore per il bambino e più opportuno per svincolare la madre dall’impegno gravoso e totalizzante dell’allattamento al seno, tanto più se a richiesta e non a orario!
I giovani di oggi, per fortuna, non ricordano queste filosofie di pensiero, ma le loro nonne, se non le loro madri, si: e loro sono i nipoti di queste generazioni ancora in vita.
Ogni bambino, separato precocemente dalla madre per qualsiasi motivo, si trova nel ruolo di Edipo.

La sindrome di Giocasta e Laio che origina dalla separazione del neonato e del lattante dalla madre, si perpetra, dunque, da secoli e da generazioni. Ma riflettiamo su questi ruoli di Giocasta, di Laio, di Edipo e di quella che verrà chiamata Anna, l’eventuale figlia femmina. Parliamo di Laio e di Edipo: le due figure maschili.

L’uomo, l’adulto cresciuto, porta sempre con se l’esperienza infantile di essere stato desiderato dalla madre ma soprattutto amato incondizionatamente, per quello che era. Quando fa esperienza della vita con i suoi problemi e le sue inevitabili frustrazioni, sviluppa un sentimento inconscio di impotenza e, subito dopo, un senso di nostalgia per l’amore incondizionato che riceveva da piccolo. Nello stesso tempo, però, anche un senso di oppressione, come un sentirsi stretto, strumentalizzato, quando questo amore è percepito come soffocante. Quando raggiunge l’indipendenza, da una parte fa di tutto per non ripiombare in una situazione di dipendenza con la nuova compagna, dall’altra fa di tutto per non essere lasciato. Una volta adulto, sviluppa strategie per non mostrarsi ingabbiabile: si dimostra un single convinto, però, se si innamora, si sente vittima dell’amore della donna e ha difficoltà a sentirsi protagonista o co-protagonista nella relazione.

Parliamo ora di Giocasta e di Anna: le due figure femminili.

La donna, rispetto all’uomo, è più realista: ha già sperimentato, da piccola, la sensazione di essere “tradita” dalla madre quando, verso i 3-4 anni, si accorge che la madre ama anche il padre e non solo lei. Allora ogni relazione d’amore riacutizza il vecchio dolore collegato all’impotenza di cambiare la situazione e lei tende a svalutarsi. Se il suo rapporto d’amore va in crisi, cercherà sempre, prima di tutto, la colpa, o parte della colpa, in se stessa. Solo in un secondo tempo ammetterà una co-responsabilità del partner. Solo quando riuscirà a fidarsi di se stessa troverà la chiave per uscire dalla prigione della sindrome di Giocasta e Laio. Ma finché subirà in silenzio, l’uomo avrà potere su di lei.

Ora Laio e Giocasta sono giovani: sentono di essere innamorati, ma quando sono da soli si insinua un vago senso di vuoto tra loro. Allora cercano di colmarlo “consumando”, dalla classica prova d’amore ai viaggi, ai divertimenti, agli spettacoli di ogni genere. Fumano, bevono alcolici, forse, assieme, si drogano pure. Si vestono in modo stravagante. Sembrano divertirsi e essere, tutto sommato, felici, anche perché ridono spesso e sorridono. Si, a volte sorridono. Ma non spesso.
Laio però non è felice: in realtà non si sente del tutto amato. Nel frattempo è cresciuto, ha finito gli studi: si butta sul lavoro alla ricerca di consensi e di carriera a tutti i costi. Si butta a capofitto nella professione, negli sport, fa palestra, si aggrega volentieri in associazioni, entra in politica.

Giocasta si sente svalorizzata: fa di tutto per attirare i complimenti di chi le sta intorno, si fa bella, si mostra gentile, brava, abile, e soprattutto utile. In fondo, in fondo, entrambe sperimentano un vago senso di abbandono.

Laio e Giocasta si innamorano: Laio tende ad innamorarsi di donne che lo ammirano per le sue competenze, la sua forza o il suo potere. Si innamora di donne seducenti che si occupano di lui e lo coccolano; lui le conquista con regali, complimenti, belle macchine e uno stato sociale invidiabile.

Giocasta, invece, si innamora di uomini che decidono per lei e che valorizzano la sua femminilità: uomini che amano la sua bellezza, la sua calma, il suo buon senso, l’impegno che lei mette in tutto quello che fa.

La coppia si forma ma il legame di coppia risveglia i sentimenti dell’infanzia: Giocasta cerca continuamente la vicinanza di Laio, non si separerebbe mai da lui e, dopo un po di corteggiamento galante, a lei non bastano più soltanto le parole. Laio sente allora la sua libertà sottilmente minacciata, si sente “stretto” così come si sentiva prima di diventare grande. Non fugge ma evita la minaccia della stretta con l’”assenza mentale”: elenca i suoi numerosi impegni e i suoi obblighi e sguscia via in modo diplomatico, trovando una scusa e evitando di ferire Giocasta. Giocasta insiste, continua a cercare coccole da Laio, cerca una “relazione”. Non osa manifestare apertamente la sua delusione per paura di essere abbandonata, sente che lui la evita. Allora va in cerca di garanzie: vuole fidanzarsi.

La soluzione del conflitto sarà, dopo l’ufficializzazione dell’unione, l’arrivo del bambino ma…Edipo verrà lasciato nel deserto…

Laio e Giocasta si sposano: nasce presto un figlio. Sono entrambe felici dei loro  ruoli di madre e di padre, eppure, nonostante ciò, il bambino viene tenuto separato dalla mamma, allontanato quasi come un oggetto, per il bene del bambino innanzitutto, ma anche per il benessere della madre. Durante i primi mesi di vita il bambino trascorre molte ore nel suo lettino. Non ha ancora la nozione del tempo, quelle ore a lui sembrano una eternità, una esperienza di abbandono senza fine da subire impotente. Il contatto significativo che avrebbe dovuto esserci tra madre e figlio subito dopo la nascita non avviene. Al piccolo viene a mancare la madre-terra.

Questo contatto avrebbe potuto svegliare nella madre l’istinto materno e quella gioiosa disponibilità ad allattare e a stimolare nel bambino il senso di appartenenza. Il bambino non acquista la capacità di “affidarsi”: l’avrà persa per sempre. Quando verrà preso in braccio dalla madre non riconoscerà più il suo contatto come specifico e privilegiato. Edipo cresciuto con i genitori adottivi.

La madre fa grande uso del ciuccio quale sostituto del seno: Edipo deve imparare ad accontentarsi di una “seconda scelta”, di un oggetto sostitutivo.

Laio e Giocasta credono di fare bene: non possono ricordare che da piccoli hanno vissuto le stesse drammatiche esperienze e anche a loro era mancata la madre-terra e anche loro, come i loro genitori, sono ora ciechi davanti ai bisogni dei loro bambini.

Laio soffre di gelosia rimossa: consiglia a Giocasta di non viziare il bambino attaccandolo sempre al seno, considera il pianto del bambino un capriccio da punire. Giocasta è segnata dalle stesse esperienza infantili negative, ha il complesso di valere poco e non si fida del suo istinto: per questo finisce per ubbidire alle teorie del compagno, che sono le stesse di sua madre.

Giocasta, all’inizio, si sente appagata: la vicinanza del bambino le fa sentire meno l’assenza del marito. Laio continua a volersi sentire libero e segue la sua vita occupatissima di prima compresi i suoi hobby e i suoi divertimenti preferiti. Però si sente escluso, soprattutto perché ora Giocasta mostra poco interesse sessuale per lui. E’ presente a casa ma solo con il corpo: la sua mente è altrove, davanti alla tv, o al computer, o chissà dove. Giocasta si sente stanca, sfinita dalle cure al bambino e dalle faccende domestiche. Prova a chiedere aiuto a Laio ma lui collabora malvolentieri. Allora evita di chiedergli altro e si chiude in se stessa: cominciano i primi mal di testa quando Laio vuole un rapporto sessuale. Giocasta non chiede più coccole, riversa tutta la sua tenerezza e le sue premure su Edipo e sulla cura della casa. Diventa una mamma e una padrona di casa perfetta: chi può immaginare che dietro questa mamma perfetta e questo marito pantofolaio tv dipendente e magari anche fumatore si celano un uomo e una donna in piena crisi di abbandono? Nessuno dei due protagonisti è cosciente di andare incontro all’infelicità.

Il neonato Edipo, accolto con gioia e presentato a tutti con orgoglio, viene però ancora lasciato molto tempo da solo nel suo lettino. Edipo diviene il preferito di Giocasta, che lo ama tanto da “mangiarlo”. Giocasta si sente sempre più abbandonata da Laio e cerca presso il figlio quella vicinanza fisica che Laio non le da più. La profezia del matrimonio madre-figlio cominica a compiersi.

Giocasta tiene pulito il figlio e lo nutre fin troppo tanto che Edipo si infastidisce, piange e ai pasti fa capricci. Giocasta non lo prende troppo sul serio, ma alla fine si arrabbia e lo lascia per conto suo finché non si calma. Giocasta è sfinita e sperimenta la sua impotenza. Si sente sempre più sola. Si ricorda dei tempi in cui si sentiva amata ma capisce che era perché allora si comportava come gli altri volevano che si comportasse: non era la sua vera personalità ad essere amata ma l’immagine che lei si era costruita e che aveva esibito.

Edipo è scontento di come la madre manifesta il suo amore: non ama essere trattato così quando protesta, non ama essere lasciato in disparte. Allora anche lui inizia a inventare strategie per essere considerato dalla madre: diventa gentile e più silenzioso: ma la sua mente comincia ad andare altrove.

Edipo cresce, Giocasta lo tratta più come un confidente che come un figlio, racconta le sue delusioni con Laio e lo esorta a non diventare mai come il padre. Edipo impara a ritenere il padre responsabile dell’infelicità della madre, non lo stima più e gli disobbedisce, lo provoca fino a farsi picchiare. Laio allora ha scatti di ira e riaffiora in lui la gelosia nei confronti di Giocasta. Edipo si allontana sempre più dal padre.

Edipo continua a crescere: esce ormai assieme alla madre e lei lo esibisce con fierezza in società. Edipo si ribella, comincia ad odiarla, diventa insofferente. Respinge ora le affettuosità di Giocasta, stringe i denti, mastica gomma americana, forse fuma di nascosto tormentando la sigaretta come da piccolo mordeva il ciuccio. Così facendo si sente libero, spavaldo.

La figlia femmina, Anna, nasce pochi anni dopo Edipo. E’ accolta con meno gioia rispetto a Edipo. Anche lei viene alimentata a orario e lasciata sola nel suo lettino per ore: come il fratello, anche lei si dispera, ma meno. Quando la mamma la prende per cambiarla e allattarla, si illude di essere amata e la sua disperazione scompare per un po. La mamma la prende meno in braccio di quanto non facesse con Edipo.

Anche Anna cresce. Diventa una ragazzina giudiziosa, cerca di non essere di peso alla mamma che vede spesso stanca e di cattivo umore. Quando da piccola piangeva, la mamma le lanciava un’occhiata nervosa e esasperata prima di prenderla in braccio. Anna impara allora a tacere, diventa brava, fa presto i suoi bisognini nel wc perché sa che, così facendo, la mamma le vorrà più bene. Aiuta anche Giocasta nei lavori domestici, ma la mamma non è mai soddisfatta e la rimprovera sempre. Queste critiche, dice la mamma, sono per il suo bene.

Le viene regalata una bambola, una bambola già grande, una bambola con la quale non potrà mai giocare a mamma e figlia ma potrà solo identificarsi con lei: le regalano Barbie con tanti, tanti vestiti. Anna diventa lei stessa Barbie. Anna cresce, cerca consensi dal padre, quei consensi che la madre non le ha dato: ma i suoi approcci sono goffi, Laio, è scontento per i problemi suoi, la allontana.

Anna è ormai una signorina, il padre Laio, un uomo maturo e sessualmente frustrato da una moglie delusa e amareggiata. Le avances di Anna potevano fare breccia e diventare pericolose: se fosse successo qualcosa tra Anna e Laio, la ragazza non avrebbe mai potuto confidarsi con la madre, il loro rapporto non è buono, Anna non ha fiducia nella madre che forse non l’avrebbe neanche creduta. Anna è una ragazzina responsabile: sente di essere un peso per la madre ma nello stesso tempo ha paura della solitudine per averla sperimentata da piccola. Vorrebbe andarsene di casa ma psicologicamente non ce la fa. Laio è sempre più cupo: critica tutto e tutti, diventa intransigente, non ammette ritardi né disordine. In casa sente che gli mancano i suoi spazi, sente di non essere amato ne rispettato. A volte fa scenate violente. Scarica il suo livore su Giocasta, il suo odio originato da sentimenti antichi di dipendenza e impotenza verso la madre.

Anche Edipo cresce. Lascia la casa di famiglia e Giocasta è sempre più sola. Vorrebbe vederlo più spesso, gli promette i pranzetti che lui ama, ma lui dice di essere sempre molto occupato. Edipo vive una strana realtà: nell’infanzia si è sentito amato e desiderato e scambia tutt’ora queste sensazioni per amore che la madre ha avuto nei suoi confronti. La vita lo porta però a fare confronti e a vivere frustrazioni che non gli impediscono di continuare ad avere paura dei legami.

Giocasta è ormai una donna di mezza età, depressa e con il sentimento di essersi sempre sacrificata per il bene della famiglia e dei figli. I suoi mal di testa sono ormai cronici, così come le sue anticamere dal medico di fiducia che le da quell’attenzione verso i suoi malanni che non ha ricevuto in famiglia. Prende farmaci e ricostituenti come “seconde scelte”. Continua a non affrontare la realtà. Diventa teledipendente, mangia più del necessario e legge romanzi d’amore. Trascura Laio ed è delusa dalla lontananza di Edipo.
Anna è ancora in famiglia: non osa lasciare la madre sola con i suoi problemi dei quali si sente in parte responsabile. Inoltre, ha paura della solitudine e ha difficoltà a dare un orientamento alla sua vita. In compenso cura molto il suo aspetto e ama sentirsi attraente e brillante. Semplicemente sogna. E aspetta il suo principe azzurro.

Edipo e Anna sono ormai un uomo e una donna adulti. Hanno molti problemi: si sentono insoddisfatti anche se non vogliono ammetterlo. Allora vanno a caccia di coccole e di privilegi a loro modo; e consumano: affollano i negozi nei periodi dei saldi, cercano raccomandazioni sul lavoro, quando, a loro volta, diventano imprenditori, propongono ai dipendenti salari minimi (qualche disperato che abbocca si trova sempre)…

L’inquisizione e la colonizzazione furono, ai loro tempi, manifestazioni di questo tipo di comportamento così come ora ci sono le speculazioni in borsa, il libero commercio, lo sfruttamento del terzo mondo e, guarda caso, lo sfruttamento esasperato delle risorse della madre-terra.

L’innamoramento è sempre un desiderio di ricevere dal partner quello che la madre non è stata in grado di dare nell’infanzia. Così, se un partner esercita un rifiuto, questo è vissuto come il potere materno di non volere dare il seno. La storia si ripete.

Edipo si innamora di una donna come Giocasta, che è poi come Anna, una donna che cerca vicinanza, una donna che lo ammira. La sua autostima dipende dal giudizio di lei. E anche lui vuole soddisfare la donna, sente che a livello sessuale il suo compito è di soddisfarla: questo gli provoca una eccitazione esasperata e spesso una eiaculazione precoce. Ma in fondo Edipo sfugge a una vicinanza concreta perché continua ad avere paura di essere soffocato.

Anche Anna si innamora di uomini come Edipo, che è poi come Laio, uomini che decidono per lei come faceva sua madre quando era piccola e le dava da mangiare a orario, le diceva cosa si doveva e cosa non si doveva fare. Anna si trucca e si veste bene, nascondendo in questo modo i suoi sentimenti di valere poco. Anna è materna con uomini disordinati e si lascia prendere per mano da uomini che dimostrano sicurezza. Si da con piacere e facilmente, sessualmente, nella speranza di conquistarsi calore e affetto. Vuole fortemente un figlio e per lui è pronta a sacrificare la carriera.

Edipo fa ormai coppia fissa con Anna, ma nel rapporto si sente stretto: scappa con la mente ma resta col corpo. Oppure fa pesare i suoi impegni professionali. Ogni tanto prova un piccolo fastidio, quello di essere disponibile verso Anna come da piccolo lo era verso sua madre.
Anna fa coppia fissa con Edipo ma si sente messa da parte, come svalutata. Sente che Edipo non le è abbastanza vicino.
Edipo, infatti, si sente stretto nel rapporto: inizia a consumare e ad abusare. Ha avventure con donne simili ad Anna, però Anna “ai tempi dell’innamoramento”. Non desidera lasciare Anna, vorrebbe solo che lei capisse ed accettasse. Anna si sente sempre più sola e cerca contatto fisico come quando, da piccola, la mamma la accudiva. E sente anche un vuoto come quando, da piccola, la mamma la lasciava sola. Inizia a chiedere a Edipo se la ama ancora e la risposta è inevitabilmente :”certo, altrimenti perché mai starei con te?” Si abbracciano, Anna riceve l’ennesimo regalo. Ma a letto Anna non gode più. Finge mal di testa per evitare i rapporti oppure finge piacere per compiacergli. Comunque finge.

Ora anche Anna tradisce, cerca anche lei il suo Edipo “ai tempi dell’innamoramento”. La coppia va in crisi. Edipo e Anna si lasciano ma si riprendono. Appena la loro relazione idealizzata si fa stabile, vanno in crisi e si lasciano, poi tornano assieme. La realtà fa loro paura, non riescono ad affrontarla. Questo blocco affettivo crea un vuoto che compensano con iperattività: lavoro, carriera, interessi di vario genere. Lo stress serpeggia. A volte, per non sentirlo, sniffano cocaina. Spesso Edipo e Anna scelgono professioni che permettono loro di coccolare gli altri nella impossibilità di coccolare se stessi. A volte diventano psicologi, psicanalisti, fisioterapisti, guru…

Ma un bel giorno Edipo e Anna trovano il coraggio di affrontare la situazione. Anna non crede più alle scuse di Edipo per giustificare le sue assenza. Edipo ha paura, non l’aveva mai conosciuta così, teme di perderla, si difende con veemenza. Oppure fugge e ricatta Anna con la sua assenza.
Ma Anna finalmente si sente forte: non si lascia intimorire e non lo lascia scappare. Non è più disposta a scendere a compromessi, non né più disposta a perdonare, non lo lascia scappare. In fondo al cuore ha paura di perderlo ma supera se stessa, esprime finalmente la rabbia di una vita. Impara a dire “ non voglio”, non dice più “non posso”. Impara a riconoscere e a difendere i propri diritti.

Edipo, dapprima sconcertato, finalmente la stima. Anna si sente liberata. Capisce di amarlo. Hanno entrambe, per la prima volta, il coraggio di guardarsi dentro. Poi riescono anche a guardarsi negli occhi. Imparano a riconoscere e sostenere le loro responsabilità. Anna, finalmente, attacca al seno i suoi figli.

Edipo e Anna condividono ora la cura dei figli, i lavori casalinghi, i congedi parentali, le ansie e forse anche la vita professionale. Lottano entrambe per il riconoscimento dei diritti comuni alla genitorialità. Liberi, finalmente, dal peso di Giocasta e di Laio.

Per fortuna, non tutti i giovani che leggeranno questa storia si riconosceranno in essa, la società sta cambiando velocemente, ma le persone che hanno ormai superato il mezzo secolo di vita forse avranno avuto più di una occasione per rispecchiarvisi.
L’argomento riguarda i bambini da subito, fors’anche dalla loro vita prenatale: questo è il motivo per cui una pediatra decide di prendere in prestito argomenti dalla psicanalisi per tutelare, una volta di più, l’interesse dei suoi piccoli pazienti.

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