La balbuzie

ImagePer la mamma di un bambino che nel suo percorso di acquisizione del linguaggio incontra l’ostacolo della balbuzie, anche solo lieve e transitoria, quei secondi – lunghi, lunghissimi – in cui il piccolo inciampa nelle parole e non riesce a rialzarsi sono un colpo al cuore. Che per giunta non si deve mostrare. 
Si mantiene la calma, si sorride, ma dentro si affollano gli interrogativi e le preoccupazioni. Anche se la maggior parte delle volte è un problema di modesta entità, e le soluzioni non mancano, sentire disperso quel filo di parole che ci lega ai pensieri di nostro figlio, magari subito dopo averlo scoperto, inquieta.
Ma niente paura. Il mestiere di mamma prevede l’emergenza. Sicché, preso un bel respiro, e magari richiamato a mo’ di incoraggiamento l’esempio del celebre balbuziente Demostene, ci si informa e, se del caso, si passa all’azione.
 
La balbuzie, com’è noto, è un disordine del linguaggio caratterizzato dalla ripetizione di suoni, sillabe o parole, che nei casi più gravi e consolidati incide anche sul comportamento (vergogna, tendenza a evitare vocaboli o situazioni in cui si prevede si possa scatenare, stress, mimica facciale).
Persino nei casi di disturbi infantili non permanenti la frustrazione è evidente e dolorosa per tutti. Ricordo ancora mio figlio Alessandro, che ne ha sofferto, fermarsi dopo una frase a lungo bloccata sulla sillaba iniziale, guardarmi sconcertato, rosso in viso, con le lacrime agli occhi, e gridare, questa volta senza esitazioni: "Mamma non riesco a parlare!"
Non mi sentivo molto meglio di lui, pur cercando di non darlo a vedere.
 
La balbuzie transitoria è una disfluenza del linguaggio, una difficoltà che si incontra perché il bambino non riesce ancora ad articolare la parole in modo corretto a una velocità sufficiente da stare al passo con la crescente complessità del pensiero, nell’ormai abituale formulazione di frasi.
Le statistiche dicono che in età prescolare colpisce dal 3% al 10% dei bambini, percentuale che scende considerevolmente per la balbuzie consolidata, sulla quale, per altro, incide la familiarità. Significa che molti bambini che nella vita non avranno più questo problema, o lo avranno, se mai, solo di rado, lo affrontano come naturale tappa dello sviluppo del linguaggio. 
In particolare accade intorno ai 3-4 anni, e più ai maschi che alle femmine (pare che il rapporto sia circa di 3:1).
La regressione è spontanea. Il che non significa, tuttavia, che il genitore non possa, nel suo piccolo, intervenire (o non intervenire) in modo da favorire tale regressione.
Nei rari casi in cui la balbuzie si cronicizza (ne soffre circa l’1% della popolazione adulta), occorre tenere presente che esistono adeguate terapie, e buone possibilità di ridurne l’entità o superarla.
Premesso che è sempre opportuno consultare in prima battuta il proprio pediatra, e se occorre lo specialista, riporto alcuni dei consigli rivolti ai genitori che sono stati dati a me per mio figlio Alessandro nel suo periodo di balbuzie.
Evitare l’ansia mentre il bambino balbetta, per quanto possibile. Potrebbe risolversi tutto nel giro di alcuni mesi, e non è il caso di mostrarsi in preda all’angoscia quando un piccolo, già provato da un ostacolo che non si aspetta e che gli tarpa le ali proprio quando sta spiccando il volo (è frequente che accada ai parlatori più precoci e capaci), può essere rassicurato osservando nei genitori un atteggiamento sereno e fiducioso.
Aspettarlo, non terminare le sue frasi, avere un modo di porsi paziente e accogliente. In fondo, sta solo cercando di esprimersi, e quel che deve prevalere nel genitore è l’ascolto, non la fretta di ottenere una prestazione eccellente. 
Sensibilizzare amici e parenti, chiaramente non davanti all’interessato. Può sembrare banale, ma la vecchia zia che interroga in modo incalzante il bambino, non rispetta i suoi tempi, sottolinea la sua difficoltà, o il fratello maggiore che lo schernisce, possono vanificare parte dei vostri sforzi affinché la balbuzie non si consolidi e la frustrazione sia per quanto possibile ridotta.
Parlare lentamente. Voi. Più di qualunque consiglio, può fare l’esempio. Inoltre, in un discorso che non è caratterizzato dalla rapidità, è più facile per il bambino inserirsi senza ansia da prestazione, in un momento in cui proprio la rapidità può esaltare il suo difetto. 
Cantare insieme, se il bambino lo gradisce. Aiuta a riprendere il ritmo, ed è una forma di comunicazione diversa e non basata esclusivamente sulle parole.
Prendere nota, se il problema persiste. Per una balbuzie transitoria che si protrae può essere utile, anche per esporre allo specialista i fatti e le circostanze in modo dettagliato, registrare quando, con che intensità e in che occasioni si verifichi.
A proposito… volete conoscere l’epilogo della nostra storia?
Oggi rileggo il "diario della balbuzie" di Alessandro, tenuto come da ultimo consiglio, con un sorriso. Mio figlio rientra nelle statistiche dei maschi di tre-quattro anni che ne sono afflitti e riescono a recuperare. È sempre stato un gran chiacchierone. Ora lo è senza intoppi. Soltanto nelle rare occasioni in cui la sua emotività è messa a dura prova – la recita di fine anno, un motivo di forte imbarazzo – qualche sillaba torna a ripetersi, il ricordo di quel filo smarrito tra mente e labbra torna a fare capolino. 
Forse la ragione per cui la balbuzie transitoria, per grandi e piccini, è una prova tanto impegnativa pur non essendo certo una grave patologia, è proprio quella: il legame di un processo fisiologico con i sentimenti, l’espressione di sé e il rapporto con gli altri.

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.