I bambini e le lingue: false credenze

937195_85372981.jpgAvete deciso di crescere vostro figlio in un ambiente multilingue?
Ottima idea, ma… come sempre accade quando si decide di fare qualcosa che si allontana dallo “standard”, anche nel caso del bilinguismo ci si attira una valanga di critiche e “consigli” di chi immancabilmente la sa più lunga di noi.
Il panettiere, la nonna, il postino, lo sconosciuto alla cassa del supermercato: qualcuno di loro sicuramente vi dirà che: è certo che vostro figlio si confonderà, non dirà una parola prima dei quattro anni e non parlerà mai bene nessuna lingua.
Insomma, non c’è dubbio: lo state rovinando!
Sono gli stessi che quando allattavate vi dicevano che il vostro latte dopo tre mesi diventava acqua.
Quindi, non ascoltateli.

La linguistica è una scienza estremamente giovane e gran parte di quello che gli studiosi ritenevano certo 40 o 50 anni fa è stato smentito dagli studi svolti nel corso dell’ultimo trentennio.
Purtroppo però nel corso del tempo molte di queste credenze, anche se prive di prove a loro supporto, si sono radicate, prendendo la valenza di “verità scientifiche” e creando dubbi e incertezze nei genitori che vorrebbero creare un ambiente multilingue per i propri figli.

Vediamo allora alcune delle più comuni credenze relative al bilinguismo e i bambini, e qual è il loro reale fondamento.

1. Parlare a un bambino piccolo in due lingue diverse non fa che confonderlo

Si tratta di una credenza radicata in molti paesi in cui il bilinguismo è poco diffuso, che non ha però alcun fondamento reale.
Questa convinzione nasce dal fatto che i primi studi sul bilinguismo nell’infanzia sono stati condotti negli anni ’60 negli Stati Uniti mettendo a confronto le competenze linguistiche di due gruppi eterogenei di bambini: bambini nati e cresciuti negli USA da una parte e bambini immigrati di recente dall’America Latina, dall’altra. Il secondo gruppo, arrivato da poco negli USA, aveva naturalmente una conoscenza dell’inglese inferiore a quella dei coetanei statunitensi, nonché una diversa estrazione socio-economica e una scarsa dimestichezza con il sistema scolastico locale e con la cultura americana, per cui il confronto non poteva che essere sfavorevole.

Studi successivi condotti con maggior rigore scientifico in molti dei paesi in cui il bilinguismo è la norma (Svizzera, Canada e così via) hanno dimostrato che, al contrario, il bilinguismo stimola le capacità cognitive del bambino, spingendolo a vedere le cose da più prospettive e portandolo a interrogarsi precocemente e in modo naturale sulla struttura della lingua e sul suo funzionamento, affina la capacità di distinguere suoni diversi e contribuisce a sviluppare le capacità linguistiche del bambino in entrambe le lingue, rendendo inoltre più facile l’apprendimento di lingue aggiuntive in un secondo momento.

Il bilinguismo è un fenomeno estremamente comune: ben più della metà della popolazione mondiale parla normalmente più di una lingua.
La nostra percezione è distorta dal fatto che la maggior parte dei paesi occidentali è prevalentemente monolingue, ma in gran parte del mondo la situazione è diversa.
E d’altronde anche in Italia fino a pochi decenni fa, e in molte regioni ancora oggi, il bilinguismo italiano-dialetto (definito”diglossia”) era la norma.

2. Il bambino deve imparare bene una lingua prima che possa impararne una seconda

Si tratta di un “consiglio” non solo sbagliato, ma anche controproducente.
Gli studi condotti negli ultimi trent’anni dimostrano che l’acquisizione di una seconda lingua è più facile e immediata quando inizia già dalla nascita, o comunque in età prescolare.

Lo sviluppo del linguaggio nel bambino infatti è indissolubilmente legato al suo bisogno di interagire con il mondo esterno. Se il bambino è già in grado di comunicare in una lingua, tuttavia, la necessità di utilizzarne una seconda viene meno, in quanto egli potrà già comunicare le proprie esigenze nella lingua conosciuta.
Introdurre una nuova lingua in questo caso richiederà quindi maggiori sforzi da parte dell’adulto, che dovrà riuscire a motivare il bambino trovando il modo di rendere interessante e “necessaria” anche la seconda lingua (una vacanza in un paese in cui si parla la seconda lingua, trasmissioni TV che interessano particolarmente il bambino,ecc).

Senza considerare il fatto che non è certo facile stabilire cosa significa “imparare bene” una lingua e quindi individuare il momento adatto per introdurre la seconda lingua (quando il bambino ha raggiunto un determinato vocabolario? Quando non fa più errori grammaticali o sintattici? Quando ha imparato a leggere e a scrivere? Quando ha iniziato lo studio della grammatica della prima lingua a scuola?)

Naturalmente, per agevolare il processo di apprendimento nel bambino, è importante seguire alcune regole nell’esporre il bambino alle due (o più) lingue, scegliendo una strategia linguistica specifica ed evitando di “mischiare” le lingue.

3. I bambini imparano in un batter d’occhio

Come ci sono persone che credono che un bambino piccolo non sia in grado di imparare più lingue, così altri sono convinti che basti avere un genitore, o un nonno, bilingue perché il bambino automaticamente impari la seconda lingua.
Purtroppo non è così!

Secondo Fred Genesee, professore di psicolinguistica all’Università di Montreal, per raggiungere un bilinguismo bilanciato il bambino deve essere esposto alla seconda lingua per almeno il 30% delle ore di veglia. Un’esposizione inferiore consentirà di arrivare alla comprensione della lingua minoritaria (bilinguismo passivo), ma difficilmente a un bilinguismo bilanciato, ovvero alla capacità di esprimersi correntemente anche nella seconda lingua.

Quindi, a parte i casi fortunati di chi vive in aree geografiche bilingui (Alto Adige, Val d’Aosta, zone di confine, ecc) o ha la possibilità di frequentare quotidianamente una comunità della lingua minoritaria (come avviene in alcune comunità di immigrati recenti), è importante creare un ambiente stimolante, presentando la lingua minoritaria come interessante e divertente, e creando occasioni in cui il bambino senta l’esigenza di utilizzare questa lingua.

In ogni caso, è essenziale ricordare che l’apprendimento di una lingua è un processo lungo e graduale, che si sviluppa nel corso di anni, non certo di pochi mesi.

4 – Ormai è troppo grande!

A volte i genitori dei bambini più grandicelli, ad esempio in età scolare, si scoraggiano all’idea che la lingua materna è ormai così fortemente radicata che introdurre un’altra lingua risulterebbe artificiale e troppo difficile, oppure pensano che in ogni caso, superata la prima infanzia, sia ormai “troppo tardi” per raggiungere un bilinguismo bilanciato.

In realtà anche se, come si è detto sopra, è più facile iniziare ad esporre un bambino a una seconda lingua quando è piccolissimo, non è mai troppo tardi.
L’età può essere davvero un fattore critico solo per l’acquisizione di alcuni meccanismi fonologici, ovvero per la pronuncia di alcuni suoni (le persone esposte a una seconda lingua dopo la pubertà presentano in genere limitazioni fonologiche rispetto a chi è abituato ad ascoltare e riprodurre tali suoni fin dalla prima infanzia), ma assolutamente non per l’apprendimento della lingua nel suo complesso.

È bene poi ricordare che l’apprendimento di una lingua è influenzato da molti fattori, di cui l’età è solo uno (motivazioni, possibilità di utilizzo della lingua, predisposizione personale, contesto sociale, ambiente di apprendimento, ecc.), per cui in molti casi è possibile raggiungere un ottimo livello anche iniziando “tardi”.

5 – Si può crescere un bambino bilingue solo se si vive all’estero o se uno dei genitori è straniero

Non è detto. Ci sono moltissimi genitori che parlano con i propri figli più lingue, anche diverse dalla propria lingua materna. È senz’altro possibile farlo, scegliendo una strategia linguistica adatta alla propria famiglia e sfruttando al meglio tutti gli strumenti disponibili (libri, CD, DVD, parlanti madrelingua, vacanze nel paese della seconda lingua, ecc).

Se i genitori non utilizzano già normalmente la seconda lingua, ma iniziano a farlo insieme ai propri figli, creare un ambiente multilingue in una lingua non materna sarà sicuramente più faticoso per loro, ma non per i bambini.

L’obiettivo che è indubbiamente più difficile da raggiungere in queste situazioni è il biculturalismo, ovvero una conoscenza approfondita e”nativa” anche della cultura della seconda lingua, che in genere è meno conosciuta o comunque vissuta in modo meno diretto dai genitori.

6. I bambini bilingui presentano sempre ritardi nel linguaggio

Molti genitori di bambini bilingui hanno osservato nei loro figli un lieve ritardo (in genere 3-6 mesi) nel raggiungimento delle tappe linguistiche previste per i bambini monolingue.

Anche se non ci sono prove scientifiche del fatto che i bambini esposti a più lingue inizino a parlare più tardi dei loro coetanei, sembra comunque logico che un bambino che sta acquisendo contemporaneamente due diversi sistemi linguistici (due diversi vocabolari, due diversi sistemi fonetici, due diverse strutture grammaticali e sintattiche) debba fare il doppio del lavoro e abbia quindi bisogno di un po’ più di tempo rispetto a un coetaneo alle prese con una lingua sola.

In ogni caso questo ritardo scompare intorno ai 4-5 anni, età in cui i bambini raggiungono in genere lo stesso livello dei coetanei monolingue (in entrambe le lingue, nel caso di un bilinguismo bilanciato, o nella sola lingua dominante, nel caso di un bilinguismo asimmetrico).

Bisogna inoltre ricordare che, come per tutte le altre conquiste del bambino (gattonare, camminare, ecc.), lo sviluppo linguistico presenta variabili significative da soggetto a soggetto: questo lieve ritardo nel linguaggio non si presenta in realtà in tutti i bambini multilingui e, in ogni caso, non si manifesta in tutti allo stesso grado.
Mia figlia ad esempio ha iniziato a parlare precocemente e ha raggiuntole “tappe” linguistiche standard, in entrambe le lingue, prima di quanto previsto per i monolingue, mentre mio figlio è arrivato tardi su tutta la linea. Nella nostra esperienza personale quindi il ritardo linguistico ha sicuramente avuto a che fare più con le diverse attitudini individuali che con il contesto linguistico, che era molto simile per entrambi i bambini.

7. I bambini bilingui mischiano le due lingue e non ne imparano nessuna come si deve

Il “mischiare” le lingue (definito in linguistica code mixing, o commutazione di codice) è una normale fase dell’apprendimento linguistico, assolutamente fisiologica nei bambini, che viene in genere superata spontaneamente intorno ai 4 o 5 anni.

Fino a che i due sistemi linguistici non raggiungono un livello sufficientemente elevato da consentire una comunicazione chiara, infatti, per essere certo di farsi capire il bambino utilizza tutti gli  strumenti a sua disposizione (ovvero, nel caso di un bambino bilingue, entrambe le lingue contemporaneamente).

Mio figlio ad esempio, cresciuto tra italiano e spagnolo, intorno ai due anni per esprimere un giudizio negativo usava la parola “b(r)utto”.
Quando però era assolutamente scandalizzato da qualcosa rafforzava il concetto usando la stessa parola in entrambe le lingue conosciute,”b(r)utto feo!”, per essere certo che il messaggio passasse chiaro e forte.

Man mano che il vocabolario a disposizione del bambino aumenta, la necessità di ricorrere al “supporto” dell’altra lingua scompare e il code mixing diminuisce fino a scomparire.

A ben vedere, si tratta di un meccanismo simile a quello utilizzato da tutti i bambini monolingue, nella cui produzione linguistica inizialmente si trovano errori sintattico-grammaticali o parole inventate, semplificate o onomatopeiche (dada, ba-bau, ecc), che vengono poi abbandonate spontaneamente una volta che il bambino ha appreso i termini e le regole d’uso corrette.

Oltre a non preoccuparsi particolarmente per l’uso del code mixing da parte dei propri figli, consapevoli che si tratta di un fenomeno normale e transitorio, è però importante che gli adulti di riferimento non “mescolino” loro stessi le lingue davanti ai bambini, in modo da fornire loro dei modelli corretti e “non contaminati” di entrambe le  lingue, in quanto il bambino apprende a parlare imitando e ripetendo ciò che sente.

8. Due lingue forse è fattibile, ma tre è sicuramente impossibile

Dal punto di vista dell’apprendimento della lingua, crescere un bambino con più di due lingue non presenta particolari problemi. Se l’esposizione alla terza lingua è adeguata (in termini di quantità e di varietà), il bambino non avrà problemi ad imparare questa come le prime due lingue.

Anche se naturalmente il bilinguismo è la situazione più comune (e più studiata), ci sono comunque molti esempi di bambini cresciuti in ambienti con tre o quattro lingue diverse.
A volte la scelta del plurilinguismo è “obbligata” dall’ambiente stesso: si pensi ad esempio a un bambino figlio di una coppia mista (con genitori di lingua materna diversa tra loro), che vive in un terzo paese e frequenta una scuola internazionale in una quarta lingua, o a un bimbo di genitori spagnoli che cresce in Alto Adige con una babysitter francese.

Altre volte si tratta di una scelta dei genitori che, conoscendo personalmente più lingue e ritenendo il plurilinguismo una ricchezza, desiderano condividere le proprie conoscenze con i figli.
In questo caso il problema principale sarà probabilmente di ordine organizzativo, in quanto i genitori dovranno trovare il modo (e il tempo) di offrire ai propri figli stimoli sufficienti in tutte le lingue di casa.
Se si riesce a risolvere questo problema però, il bambino potrà apprendere anche la lingua aggiuntiva senza particolari difficoltà.

9. Se hai dei dubbi, chiedi consiglio al pediatra

Questo consiglio non è sempre valido. La maggior parte dei medici infatti non ha una formazione specifica relativa al bilinguismo, e tende a valutare i bambini bilingui sulla base delle tappe di sviluppo linguistico previste per i bambini monolingui.

Di conseguenza, a volte il pediatra rileva un ritardo del linguaggio anche quando questo non è reale (è vero che i bambini monolingue inizialmente hanno spesso, nella lingua territoriale, un vocabolario più ampio dei bimbi alle prese con due lingue, ma per un confronto obiettivo bisognerebbe unire tutte le parole conosciute dal bambino in entrambe le lingue e fare il confronto sulla base di questi dati”globali”) e consiglia di sospendere o abbandonare l’uso della lingua minoritaria a scopo “cautelativo”.

Alcuni pediatri invece, pur non avendo particolare esperienza in materia, guardano con sospetto il bilinguismo in età precoce e predicono “confusione”, problemi scolastici e di apprendimento (di questa categoria faceva parte ad esempio il pediatra di mia figlia, nonostante la bambina non mostrasse alcun tipo di problema linguistico o cognitivo, mentre ho trovato tutt’altro atteggiamento nella pediatra di mio figlio, lei stessa bilingue, con figli bilingui).

Naturalmente in alcuni casi ci possono essere davvero dei problemi specifici, per cui è consigliabile consultare sia il pediatra che uno specialista (un ritardo nel linguaggio può essere dovuto a problemi di udito – il bambino non sente bene i suoni e di conseguenza non è in grado di riprodurli -, a problemi neurologici, cognitivi o altro), ma è bene tenere presente che spesso il pediatra non è un esperto in materia.

10. Bisogna fissare delle regole e seguirle in modo rigido

Secondo alcuni, per raggiungere un bilinguismo bilanciato è indispensabile seguire le regole stabilite (ad esempio il metodo della lingua minoritaria come lingua di casa o quello “una persona/una lingua”) in modo molto rigido.
In realtà non ci sono al momento studi a supporto di questa tesi e si è visto che in genere i bambini mostrano una notevole flessibilità riguardo ai “modelli” linguistici e apprendono comunque le lingue che vengono loro proposte, purché abbiano la possibilità di ascoltare anche modelli di lingua “pura” (priva di code mixing) e purché l’esposizione sia sufficiente e adeguata, in termini di tempo e di stimoli.

2 commenti su “I bambini e le lingue: false credenze”

  1. Ciao!
    Sono la mamma di una bambina di 5 anni. Io sono rumena e parlo con lei il rumeno, il padre e italiano e parla con lei l’italiano.
    Vorrei trovare la possibilita che la mia figlia si fa, ogni anno, una vacanza in Italia, a pagamento, per poter parlare l’italiano insime a I suoi coetanei.
    Qualcuno ha conscenza di un centro che organizza questo tipo di attivita, in Italia?

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