Confessioni di un’insegnante di ripetizioni pentita.

InsegnanteIo, insegnante di ripetizioni pentita, ho smesso. Dopo una carriera degna di un professore di ruolo durata 26 anni…e via, via aggiungendo lauree, specializzazioni, esperienze internazionali di strategie di insegnamento attivo, proattivo, interattivo e metodi di studio, ho smesso. Mi sono messa in prepensionamento. Mi sono specializzata per (e con) ipovedenti, bambini con disturbi specifici dell’apprendimento, che allora si chiamavano somari e bambini splendidamente irrequieti, che sfidavano il sistema di militarizzazione dilagante e la smania da scolarizzazione precoce; questi, da me potevano stare seduti per terra o con le gambe all’aria, o seduti in ginocchio sullo sgabello in posizioni degne del circo Orfei, che poco importava…Sarei stata pronta per una cattedra di Sostegno alla Motivazione…perché io la mia materia l’ho sempre amata così tanto che non avrei mai potuto “insegnarla” a scuola (!), eppure qualche “segno” so di averlo lasciato. Senza rischiare di essere blasfema, confesso che i pargoli venivano a me attratti dalla luce della passione che evidentemente emanavo ma non era giusto. Amen. E ho smesso.

Sono consapevole di aver avuto un piccolo grande ruolo nel loro percorso di costruzione (più sovente ricostruzione) della loro autostima, ancor prima che di un apprendimento. Sfiduciati e quasi sempre molto intelligenti, entravano col muso e uscivano col sorriso. Questa è una soddisfazione che mi porto dietro da sempre. Alcuni venivano per bisogno, altri perché mandati in modalità coercitiva da madri con ansie da performance, all’inseguimento del voto alto. E allora la prima lezione era per le madri; spesso, infatti, i figli non iniziavano nemmeno (almeno non con me) o comunque mai per periodi lunghi tali d gravare l’economia domestica, se capivo che non ce n’era (o non ce n’era più) bisogno.

Dall’altro lato ho, però, raccolto relitti di 11-12 anni, rifioriti nella fiducia, e allora anche i bei voti fiorivano dopo solo due “sedute”. Qualche domanda madri e insegnanti se le saranno dovute fare… Entravano con ogni tipo di malessere psicosomatico, dal mal di pancia, al mal di testa, a depressione preadolescenziale, al mal di scuola conclamato (tra tutti il peggiore), ma se lo dimenticavano da lì a poco, le sessioni erano vere e proprie sedute di psicanalisi domestica.

Si chiacchierava molto prima di iniziare. Io li ascoltavo e loro svuotavano il vaso di Pandora che avevano riempito nei giorni precedenti (poi però si riempiva di nuovo). Infatti l’accordo era ‘mi pagate solo per un’ora’, ma io oscillavo sempre tra l’ora e mezza e le due, conforme agli impegni.

Non sapevo neanche quanto questo stato di benessere sarebbe durato, ma nel momento era percepibile; spesso, infatti, la volta dopo, dovevo ricominciare dall’inizio del capitolo intitolato “Io ce la posso fare”, oppure “Aiutami a fare da solo”. Mai sentito uno annoiarsi o dire che non voleva più venire. Ero sempre io a salutarli con una stretta di mano, una pacca, ai maschi, e un abbraccio alle femmine, quando erano pronti per affrontare il “là fuori” (o “là dentro”), da soli, com’era giusto che fosse.

A volte avevano una gamba ingessata, a volte un braccio rotto, una non c’è più… le nostre lezioni durarono un anno circa, ma sempre troppo poco, ed era lei a dare lezioni a me, dalla sua gabbia di ferro che intrappolava un corpicino di cristallo divorato, ma la mente acuta e volitiva, quella volava anni luce dalla nostra mediocrità… Eleonora era bionda, biondissima, pelle color del latte; un giorno mi telefonarono di non andare più, ché non ce n’era più bisogno…
Simona, me la ricordo ancora benissimo, era piccola di statura e cieca (ipovedente, ma non ci vedeva un tubo, ve l’assicuro, ma faceva finta di vederci qualcosa, perché cieca non le piaceva!), anzi, ci vedeva lontano. La battuta più frequente era “Simona guarda bene, apri bene gli occhi, che sei vicina alla risposta giusta!”, e giù a ridere. Ci vedeva benissimo!

Mi accoglievano nelle loro camerette colorate. Ne ho viste tantissime e di ogni tipo! Quasi sempre ordinate (forse dalle madri prima che arrivassi), ma sempre stipate di cose inutili a un bambino e a portata di mano, come cartelle, zaini da spedizione sul K2, astucci per ogni tipologia di penna, pennarello o matita e pesantissimi libri di testo, mentre il Piccolo Principe piangeva sullo scaffale più alto, impolverato di dimenticanza. Erano camerette piene di macchinine in bella mostra, Gormiti impolverati e Barbie, relegati troppo in alto o troppo in angolo, simboli di un’infanzia perduta troppo presto. Gioivo quando vedevo, invece, lenzuoli di disegni liberi appesi in ogni dove, quella sì che era una cameretta seria! In altre, sentivi invece l’odore acre di libri nuovi, libri di testo ad inizio anno, rigorosamente fasciati in copertine che sapevano di petrolio; quelli con la carta gloss con un peso specifico pari al piombo e su cui non puoi scrivere con la matita perché sdrucciola sulla pagina (e poi la maestra non vuole). I libri, quelli veri, invece, profumano; sanno di parole e di alberi. Ma raramente sentivo profumo di libero sottobosco.

Poi però ho smesso di entrare in quelle intimità. Non perché non mi piacesse, ma per principio. E contro i miei interessi. Oggi si spende una media di 27 euro per una lezione, tra professori in pensione (o ancora in ruolo) che chiedono anche 35 -40 euro e lo studente universitario che si aggira sui 10-15, questa è la media. Ed è tra le più alte d’Europa e l’Italia, il paese in cui più fiorente è il mercato nero del sapere. Confesso che ho sempre fatto un distinguo, cercando di modulare il prezzo a fasce di reddito apparente, al di là della collezione di titoli accademici chiedevo poco più dello studente, e cercavo di ridurre al minimo gli interventi di salvezza, a qualche incontro, per lo più per dar loro fiducia. Una chiacchierata sul perché secondo lui è lì e poi qualche dritta e si convincevano che infatti non ne avrebbero avuto bisogno. I ragazzi si convincevano, le madri erano quelle più difficili…Poi ho smesso e ho proprio sprangato la porta; qualcuno ci tenta a suonare e allora non nego un colloquio, gratis, per capire cosa stanno mendicando, che la scuola non possa e debba dare.

Ho smesso per non essere connivente con un sistema mafioso, per non contribuire ad un alibi sistematico, perché è altamente improprio che la scuola demandi a casa ciò che non riesce a fare, con la pretesa di arrogarsi solo i successi e mai gli insuccessi, quelli sono sempre colpa della “scuola domestica” che non sa impostare un metodo di studio, che non studia abbastanza, che in qualche caso perde tempo a giocare a “mamma casetta”, che sceglie i tutor pomeridiani sbagliati, nonni troppo anziani, genitori troppo lavoratori o troppo stranieri… Insomma che non si applica! Un paradosso paradossale!

Ho sognato che un giorno la scuola italiana si faceva un esame di coscienza ed iniziava a mettersi in discussione…ma temo fossero gli anni Settanta? Ottanta? Dopo di che ho smesso di sognare e iniziato ad avere incubi!

Secondo l’OMS l’Italia è il paese con il maggior numero di ragazzi che soffrono di malattie depressive nel range di età tra gli 11 e i 17 anni e secondo l’OCSE siamo il paese al primo posto per monte ore di media per compiti a casa, ma al penultimo per competenze. I paesi che hanno meno ore di scuola (19 la Finlandia), meno compiti a casa (se non nessuno), sono al primo posto in classifica per competenze e benessere del sistema. Giocano molto e imparano di più. E sono felici. Sono felici gli insegnanti, i genitori e i bambini. Perché ognuno ha un ruolo ben definito nella società, condiviso e valorizzato. Per primi i bambini, che fanno i bambini. Quando ci faremo qualche domanda, sarà sempre troppo tardi, ma meglio tardi che mai.

Serve una rivoluzione copernicana del sistema scuola, una rivoluzione delle menti, nella ridefinizione delle priorità e delle motivazioni. Serve molto o molto poco. Dipende. In questo solo l’onesta sinergia di tutti gli attori nella condivisione di intenti e della passione del sapere, può essere strategicamente educativa, imprescindibilmente dalla riorganizzazione delle priorità, la ridefinizione dei ruoli e la costruzione di relazioni in tempi (lenti) e modi che tornino ad essere quelle di un bambino, di un ragazzo e non di un un’entità precocemente “adultizzata”, precocemente scolarizzata, al prezzo di un’infanzia bruciata troppo presto.

Non servono solo e sempre riforme, ma la messa in discussione di ciascuno. Serve cambiare le menti e quelle non ce le cambia né il governo, né il ministero, né la busta paga (sebbene potrebbero essere di indubbio ausilio). “Che ognuno debba cominciare da se stesso è un concetto di gran lunga troppo impopolare, e così anche qui tutto resta com’è.” (C.G. Jung). Per questo ho smesso. Ora mi impegno solo nel tentativo di ribaltare questo concetto! (S.Contardi)

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