Viaggio ad Adwa

Adwa.jpgQuando una persona decide di visitare un Paese come l’Etiopia, e decidedi farlo soggiornando in una missione di suore si prepara a viveredelle forti emozioni, ma non avrei mai creduto di poter toccare con manoil "miracolo della vita".
Non erano ancora passate 24 ore dal nostro arrivo ad Adwa, quando cisentiamo chiamare da Suor Laura:
– Alejandra, Daniela ho bisogno divoi! Dobbiamo andare in ospedale, c’è una nostra ragazza che stapartorendo, ma non vuole tenere il bambino.
La guardo con ariasmarrita e le chiedo:
– Come una mamma che non vuole tenere il bambino?
Suor Laura mi spiega che la mamma in questione ha appena 15 anni,che vive in una situazione di enorme indigenza, e che si è recata daloro qualche mese fa molto spaventata lamentando dei strani dolori dipancia, in realtà era già incinta di 5 mesi.
Nei 10 minuti che impieghiamo per raggiungere l’ospedale, Suor Lauraci parla della condizione delle donne in Etiopia, e dei loro continuisforzi per garantire gli strumenti adeguati alla loro crescita educativa e professionale.
 
Ore 16.30
Arriviamo in ospedale, Suor Laura ci avvisa delle scarse condizioniigieniche dello stesso e ci raccomanda di non toccare assolutamenteniente. In fondo al corridoio vediamo la futura mamma che ci dice distar bene, di aver perso le acque ma di non provare nessun dolore.
Suor Laura cerca il dottore, iniziano a parlare in tigrino, noncapisco più niente dalle loro parole, ma capisco dai loro gesti che cisono dei problemi, i due si appartano e la discussione diventa semprepiù intensa e animata. Cerco di capire cosa sta succedendo, ma in quelmomento il mio sguardo, il mio pensiero si concentrano sulla ragazza,dal suo volto, dai suoi occhi traspare soltanto paura, una paura che sitrasforma in angoscia, che sfocia in pianto, un pianto silenziosocarico di dolore.
Vorrei tanto fare qualcosa per lei, vorrei farle coraggio, vorrei dirle:
– Stai tranquilla, vedrai che tutto andrà bene.
Ma cosa andrà bene? Partorire in una stalla con una puzzanauseabonda?
Abbracciare il tuo bambino, frutto di un’ennesimaviolenza?
Mi perdo nei miei pensieri, ma a ritrovarmi ci pensa SuorLaura, arriva come una furia e ci dice:
– Andiamo, dobbiamo rintracciarechirurgo, anestesista e far nascere subito questo bambino con un partocesareo, qui in ospedale non le faranno niente prima di lunedì prossimo(eravamo a giovedì e la ragazza aveva rotto già le acque).
 
Ore 20.15
Recuperiamo anestesista, chirurgo, assistente sociale e torniamo inospedale. Suor Laura ci chiede di aspettare in macchina e di tenercipronte, ma… pronte a cosa? Era successo tutto talmente in frettache ancora non mi rendevo bene conto della situazione.
 
Ore 21,30
Vedo uscire dalla porta principale un’infermiera che mi fa segno diavvicinarmi, agitata scendo dalla macchina, mi avvicino a leie mentre si toglie la mascherina scopro che è Suor Laura.
Tieni, questo lo portiamo a casa.
E io mi ritrovo in mano un fagottino di pochi minuti di vita.
Torniamo alla Missione e le suore ci affidano Daniel-Alexanderper quei pochi giorni che rimaniamo con loro, per poi trasferirlo dalleSuore di Madre Teresa ad Addis Abeba per le adozioni internazionali.

Daniel–Alexander, spero che il tuo viaggio sia leggero, spero chela vita ti doni sempre gioia e coraggio, la stessa gioia e lo stessocoraggio che mi hai fatto provare tu quando ti ho stretto sul mio pettoe ho sentito il battito del tuo piccolo grande cuore.

 Image Image Image

 

 

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.