Unioni di fatto

 pacs03hVisto che l’argomento è molto dibattuto in questi giorni, mi sembra interessante spendere due parole in proposito.

Vorrei intanto partire da un semplice ragionamento: le unioni di fatto, lo dice il nome stesso, sono “di fatto”, cioè esistono anche se c’è chi preferisce far finta che non esistano.

Non dovrebbero esistere? Questo francamente è un problema di chi lo pensa. Io penso invece (come del resto anche uno stato democratico prevede) che la gente abbia il diritto di vivere a modo suo se non nuoce a nessuno, e per quanto io sia regolarmente sposata non mi crea fastidi il fatto che altri non vogliano farlo ma vogliano comunque avere un riconoscimento e certe garanzie reciproche. Proprio nessun problema. Senza contare che potrebbe essere un modo per regolamentare l’unione di chi non può ancora sposarsi a causa di un matrimonio precedente (e dei lunghissimi tempi di divorzio), e di chi non può sposarsi perché dello stesso sesso.

Ohhhh scandalo. Ma de che? L’omosessualità esiste, ESISTE. E non è scelta, non è perversione, non è solo sesso e gay pride… è un modo di essere di persone che come tutti vogliono amare ed essere riamati, e come a molti eterosessuali piace gridarlo al mondo e farlo sapere… piacerebbe anche a loro. Ma a parte questo, due persone che sono molto legate e passano la vita insieme, qualsiasi sia il loro sesso (e facciano o meno sesso), perché non dovrebbero avere dei riconoscimenti reciproci?

La Chiesa partecipa con forza al dibattito, affermando che questo tipo di unioni “indebolisce la famiglia e il matrimonio tradizionale”… ma la Chiesa forse non pensa che chi avrebbe accesso alle unioni di fatto è chi non può, e chi non vuole, sposarsi in Chiesa… quindi una fetta di popolazione che non la riguarda proprio, la Chiesa.

Non vorrei entrare nel merito del discorso adozioni, o fecondazioni varie… insomma il discorso dei figli alle coppie omosessuali non è contemplato nelle proposte di legge che si stanno facendo e quindi NON PUÒ essere usato come argomento “contro”. Comunque potremmo riflettere sul fatto che appellarsi al bisogno di una famiglia tradizionale escluderebbe dalla cerchia dei genitori “accettabili” quelli single e vedovi… e anche al fatto che una donna un figlio può farlo comunque se vuole e che sempre più coppie di lesbiche avranno comunque figli “di fatto”: non voler riconoscere il ruolo dell’altro componente della coppia, che vivrà con il bambino e costituirà per lui una figura di riferimento importantissima, alla fine non va a discapito degli omosessualichenondovrebberoesistere ma del bambino stesso che, in caso di separazione, potrebbe veder scomparire totalmente questa figura dalla propria vita (e questo costituirebbe ovviamente un trauma) e in caso dovesse accadere qualcosa alla madre biologica… verrebbe sballottato non si sa dove invece che poter rimanere con la persona che gli è più vicina.

L’ultima osservazione riguarda il fatto che ormai da parecchi anni ai parlamentari italiani è concesso di estendere la previdenza integrativa al convivente e ai figli, anche non nati da regolare matrimonio. Misura sacrosanta, che non si capisce perché debba essere privilegio di pochi. Sulla reversibilità al convivente del vitalizio che spetta ai parlamentari ho letto cose contrastanti: pare non ci sia niente di esplicito che lo prevede, ma che di fatto, forse, sia possibile e sia stato praticato in passato. Anche queste son notizie che si commentano da sole.

Nei paesi nei quali la questione è stata affrontata dal punto di vista legislativo (vedi sotto) al riconoscimento di alcuni diritti elementari si associano anche dei doveri per i conviventi, sia reciproci (di assistenza) che verso la società (responsabilità per i debiti contratti dal convivente dopo l’inizio del patto), insomma un minimo di regolamentazione che appare, almeno a me, auspicabile e che spero che scrollandosi un po’ di dosso la “zavorra vaticana” venga applicata in qualche forma anche nel nostro paese.

Una panoramica sulla situazione europea

Per iniziare, questa è la lista dei paesi europei che non hanno ancora una legislazione specifica in materia di riconoscimento delle unioni civili, di cui il nostro paese fa parte:

Albania, Bulgaria, Bielorussia, Bosnia Erzegovina, Cipro, Estonia, Grecia, Italia, Lettonia, Lituania, Malta, Macedonia, Moldavia, Monaco, Montenegro, Polonia, Romania, Russia, San Marino, Serba, Slovacchia, Turchia, Ucraina. Aggiungerei il Vaticano, ed è completa.

Germania, Francia, Inghilterra, Spagna, Svezia, Danimarca, Olanda, Svizzera e parecchi altri paesi hanno invece affrontato la questione, in qualche modo, dal punto di vista legislativo.

In Francia, le Pacte civil de solidarieté (PACS), introdotto nel 1999, contempla una serie di obblighi (convivenza, aiuto reciproco, responsabilità per i debiti contratti dall’altro dopo il PACS) e di tutele alle coppie, omo ed eterosessuali, che decidano di stipularlo. Fra le tutele, la possibilità di assistere il partner in ospedale, di partecipare alle decisioni riguardanti la sua salute, lasciargli l’eredità, l’avvicinamento se uno dei due partner è extracomunitario, più norme di tipo fiscale e riguardanti i contratti di locazione.

In Germania, l’Istituto giuridico della convivenza registrata (Eingetragene Lebenspartnerschaft) è stato introdotto nel 2001 e prevede che i due conviventi, che possono scegliere un cognome comune, dichiarino di voler condurre una convivenza a vita; essi hanno l’obbligo di assistenza e sostegno reciproco anche dopo una eventuale separazione. La legge assicura pieno riconoscimento alla coppia dal punto di vista contributivo e assistenziale (il convivente può beneficiare dell’assicurazione sanitaria del compagno, ha diritto alla pensione di reversibilità, alla reversibilità dell’affitto, ed ha l’obbligo di soddisfare i debiti contratti dall’altro) e conferisce gli stessi diritti del matrimonio in materia di cittadinanza. Dal 2004 è stata introdotta la possibilità di adozione dei figli del convivente e anche in assenza di questa è presente una forma di potestà limitata per cui i conviventi possono partecipare alle decisioni che riguardano la vita quotidiana del bambino e chiederne l’affidamento in caso di morte del genitore.

In Olanda, a seguito di un percorso legislativo iniziato fin dal 1979 (anno in cui venivano già riconosciuti alcuni diritti minimi alle coppie di fatto), dal 1999 una legge consente alle coppie dello stesso sesso, e di sesso diverso di registrarsi in appositi registri comunali delle unioni civili e ottenere gli stessi diritti delle coppie sposate.

Nel Regno Unito, Il Civil Partnership Act, entrato in vigore nel 2005, riconosce alle coppie dello stesso sesso la possibilità di vincolarsi in una unione registrata molto simile al matrimonio. Sono riconosciute anche le coabitazioni non registrate di partner di sesso diverso o dello stesso sesso, a cui è accordata una varietà di diritti e facoltà, dalle assicurazioni all’immigrazione e altro. In Inghilterra e Galles le coppie dello stesso sesso possono adottare; la misura sarà presto estesa anche alla Scozia.

In Spagna il matrimonio è aperto alle coppie dello stesso sesso dal 2005, ma già fin dal 1998 alcune regioni riconoscevano già le coppie di fatto, di sesso uguale o diverso.

Questo per citare i paesi a noi più “vicini”, quelli a cui tendiamo a fare riferimento.

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