Nuove linee guida sulla legge 40

Legge40.jpg Il ministro della Salute Livia Turco ha emanato, in extremis, le nuove linee guida per la legge 40 del 2004 sulla procreazione medicalmente assistita. L’adeguamento triennale delle linee guida è previsto dalla legge stessa “in rapporto all’evoluzione tecnico-scientifica”; inoltre, tali linee guida devono essere periodicamente riviste anche alla luce dei risultati di applicazione triennale della legge.
Un primo bilancio sull’attuazione della legge 40, diffuso nel luglio 2007 dal Ministero della Salute, indica un aumento dei centri per la procreazione medicalmente assistita e un aumento dei trattamenti e delle donne che vi si sottopongono, ma a fronte di questi due dati positivi si registrano:
  • una diminuzione delle percentuali di gravidanze, con conseguente diminuzione di bambini nati;
  • una più elevata percentuale di trattamenti che non giungono alla fase del trasferimento o con bassa possibilità di successo (trasferimento di un embrione non elettivo);
  • un numero di ovociti inseminati minore a fronte di un numero maggiore di embrioni trasferiti;
  • una più elevata incidenza di parti plurimi, con i conseguenti effetti negativi immediati e futuri per i nati e per la madre; 
  • un aumento degli esiti negativi delle gravidanze;
  • un espandersi del fenomeno della migrazione delle coppie verso i centri esteri, non solo per ottenere trattamenti che utilizzano la donazione di gameti o la diagnosi genetica pre-impianto, ma anche per ottenere l’applicazione delle tecniche con la più alta percentuale di successo possibile.


La legge 40 ha suscitato polemiche e perplessità su diversi fronti:

  • la rigidità a cui vincola l’intervento medico, in particolare sull’obbligo di impianto di tutti gli embrioni ottenuti (con un massimo di tre embrioni per tentativo);
  • il divieto della diagnosi pre-impianto;
  • il divieto di fecondazione eterologa (ovvero con l’utilizzo di gameti derivanti da donatori);
  • la possibilità di accesso alla procreazione medicalmente assistita solo per coppie di cui si sia accertata la sterilità o infertilità.


Il decreto del ministro della Salute Livia Turco, firmato lo scorso 11 aprile e pubblicato il 30 aprile sulla Gazzetta Ufficiale, apporta importanti modifiche, fra cui l’eliminazione del divieto di diagnosi pre-impianto e la possibilità di accesso alle tecniche anche per i portatori di malattie sessualmente trasmissibili, mantenendo il divieto a qualsiasi diagnosi a fini eugenetici.

L’eliminazione dei commi che vietavano la diagnosi pre-impianto avviene in seguito a recenti sentenze di diversi tribunali (Roma, Cagliari, Firenze) che bocciano le linee guida elaborate dal centrodestra con la motivazione: “eccesso di potere”.

Grazie alla diagnosi pre-impianto, le coppie in cui uno o entrambi i componenti siano portatori di una malattia genetica hanno la possibilità di escludere dall’impianto gli embrioni destinati a svilupparsi in un individuo malato. La tecnica è di particolare interesse, in Italia, nelle zone con alto tasso di diffusione della talassemia (o anemia mediterranea), come la Sardegna.

Al tribunale civile di Cagliari, infatti, si è giunti alla sentenza di impraticabilità delle linee guida in seguito al ricorso di una donna che, essendo portatrice sana di talassemia, chiedeva la diagnosi pre-impianto prima di procedere con le tecniche di fecondazione, onde evitare di dover ricorrere (come già accaduto in passato) ad interventi abortivi in seguito a diagnosi effettuate a gravidanza iniziata.

Il Tribunale di Firenze ha permesso analisi genetiche pre-impianto a una donna portatrice di esostosi, una malattia potenzialmente mortale che porta all’accrescimento esagerato della cartilagine delle ossa, con possibilità elevata di trasmissione al figlio.
In questi casi, e in casi analoghi, non si tratterebbe di selezione eugenetica ma di prevenzione, che per assurdo ha più a cuore l’esistenza umana di quanto non l’abbia la natura stessa, che di questi feti a rischio non ha nessuna pietà. Per altro, laddove la natura lascia che la gravidanza prosegua, esiste in Italia la possibilità di diagnosi precoce delle malattie genetiche e di ricorrere all’aborto terapeutico. Non si capisce a quale titolo chi si crede depositario della difesa della vita, in uno Stato dove è possibile abortire un feto malato, non trovi preferibile che le analisi vengano effettuate su un embrione prima del suo impianto in utero.

Il TAR del Lazio, per altro, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale sui commi che indicano l’obbligo di trasferimento in utero di tutti gli embrioni ottenuti (finora alcune coppie sono riuscite a sottrarsi all’obbligo tramite diffide legali fatte pervenire ai medici) e ha espresso perplessità sull’opportunità medica di ripetute stimolazioni ormonali (che si renderebbero necessarie in caso di insuccesso, a causa del divieto di congelamento degli embrioni), considerando il tutto in contrasto con la tutela della salute della donna. Infatti “le disposizioni sembrano incorrere in un contrasto con il diritto alla salute sancito dall’articolo 32 della Costituzione”, dice il tribunale amministrativo, che chiede alla Consulta di pronunciarsi in merito.

Fra le altre modifiche alla legge, la possibilità di accesso alla procreazione assistita per soggetti sieropositivi a virus di malattie sessualmente trasmissibili (fra cui AIDS, sifilide, epatite B e C), ai quali viene riconosciuta una sterilità “di fatto” poiché, in seguito a rapporti sessuali non protetti, potrebbero infettare il partner.

Le modifiche contengono infine l’indicazione di implementare il sostegno psicologico alle coppie per tutto il percorso medico e anche a seguito dell’eventuale fallimento dei tentativi di fecondazione.

In tutto ciò dalle pagine di “Avvenire”, il quotidiano della CEI, si sono già alzati cori di protesta e richieste di interrogazione parlamentare perché “mediante piccole tortuosità”, con queste nuove linee guida si sarebbe dato il via alla selezione degli embrioni in chiave “eugenetica”, malgrado l’Organizzazione Mondiale della Sanità lo abbia detto chiaramente: “eugenetica” significa selezionare caratteristiche come il colore dei capelli o degli occhi.
Ci auguriamo che il nuovo governo, prima di guardare ai vescovi, abbia veramente a cuore la vita e la salute di madri e figli, come del resto succede in ogni paese che si dica laico, e sia attento agli esiti di una legge disastrosa che in tre anni ha ottenuto come unico risultato l’aumento degli aborti.

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