Nube nucleare

foto20bimbo20chernobyl20sole24ore.jpgNube nucleare.

Non quella radioattiva che forse se ne sta andando a spasso per il pianeta, ma quella cortina fumogena di informazioni che da qualche settimana a questa parte ha invaso qualunque posto dove si discuta di attualità. Talmente fitta che continuiamo ancora col solito schema di pro e contro il nucleare intorno alla stessa domanda: quali sono i motivi per riaprire il programma nucleare?
Mentre il resto del mondo si interroga su quelli per uscirne.
Però di politica energetica, di quel mix di pianificazione e di azioni concrete che vanno dalla produzione in maniera integrata al risparmio energetico alla lotta ai cambiamenti climatici … di quella ci dimentichiamo di parlare. Forse perché non ne abbiamo mai avuta una. Però almeno si dovrebbe parlare del fatto che non c’è, e che forse si dovrebbe partire dall’avere quella, prima di un programma nucleare.

Siamo il paese senza atomo, che negli ultimi 25 anni non ha né costruito né gestito in fase operativa una centrale nucleare, col dibattito più infuocato tra esperti (?) di turno.
Poi, per farci le cose a casa nostra e diventare indipendenti energeticamente (come se fossimo ricchi di uranio!), ci affidiamo ad un partner straniero. E se saranno i francesi di Areva con Enel o gli americani di Westinghouse con Ansaldo, chi lo sa.

Siamo il paese dove va di moda dire che avere le centrali nucleari entro 200 km dal confine sia come averle a casa, e allora tanto vale farsele a casa.
E invece, banalmente, no.
Perché noi non siamo uguali ai tedeschi o agli svizzeri.
E perché se me le faccio anche a casa, allora il rischio che mi assumo è semplicemente più grande: devo sommarlo a quello che c’è già. E da quando eravamo alle elementari sappiamo che il risultato di una somma è maggiore dei singoli addendi.

Fioccano i dati sui costi a kilowattora, ma non si parla del suicidio finanziario del progetto francese in Finlandia, con lo stesso tipo di reattori che venderebbero a noi.
E poi, con un paese come il nostro che non attrae capitali dall’estero, quali sarebbero gli istituti finanziatori che si accollerebbero il rischio di un simile investimento?
Sarei tanto malfidata se pensassi che potrebbe essere le nostre bollette e i nostri risparmi ad essere investiti?
È troppo facile dire che il nucleare è l’energia che a kilowattora ci costerà di meno, se nel calcolo del costo non includiamo mai i costi di smaltimento delle scorie, quelli per lo smantellamento dell’impianto e tantomeno i danni alla salute a lungo termine – le famose "esternalità".

Sorvolo sulle scorie, che sono un argomento pure troppo discusso. Nessuno al mondo ha capito dove metterle, ma nel nostro paese abbiamo la fortuna di avere qualcuno che ci dormirebbe vicino. O almeno così dice.
Chissà che a qualcun altro non venga invece in mente una soluzione più a portata di mano, tipo imboscarle in qualche cava campana o sotterrarle a Bussi sul Tirino a fare compagnia ai rifiuti farmaceutici. Così, tra i prodotti DOC della dieta mediterranea tutelata dall’Unesco, potremmo trovare tra 20 anni anche l’olio e.v.o. all’uranio insieme alla mozzarella di bufala alla diossina.

Passiamo poi alla pioggia di frasi vuote sugli "standard" nucleari che applicheremo alle nostre centrali del futuro. È divertente sentire questa parola, nei più svariati talk show televisivi, uscire dalle bocche di chi di standard in generale non sa nulla.
Perché, se ne volessimo parlare per bene, dovremmo dare un’occhiata almeno a quelli dell’IAEA, che partono dai criteri che un paese deve seguire nel momento in cui decide di dotarsi di un programma nucleare.
Per esempio: un solido sistema di organismi regolatori e di trasparenza nei processi decisionali.
Vi sembra possibile coniugare questi due concetti e tradurli in pratica in un paese dove si riesce a ingarbugliare e far fallire un ben più semplice processo come quello nell’edilizia – dalla progettazione antisismica alla realizzazione, passando per collaudo e controllo?
Un paese per il quale i 4000 cables dell’ambasciata americana di Roma parlano vagamente di corruzione ma esplicitamente di mazzette quali elemento fondamentale nel processo decisionale sul nostro destino energetico?
Ci fidiamo ad entrare in un programma nucleare se nel Giappone efficiente, solidale e onesto, la Tepco e lo stesso governo sono stati accusati nel 2011 di scarsa trasparenza? Noi che vediamo opporre il segreto di Stato nei casi più disparati?

Parliamo poi delle analisi di rischio, che derivano dalla probabilità di accadimento degli incidenti. Le probabilità le calcoliamo sulla base dell’osservazione storica dei fatti, ma non è detto che il passato sia un buon elemento di previsione in un campo in cui è difficile collegare le conseguenze a lungo termine di un determinato incidente.
A ogni probabilità corrisponde uno scenario e a ogni scenario corrispondono le misure che devo mettere in conto per stare tranquillo, che devono essere economicamente sostenibili.
Ed è qui che il nucleare si differenzia da qualunque altro settore industriale. Perché, per gli impatti potenziali che ha sulla salute e sulla sicurezza pubblica, si dovrebbe pensare non al costo per garantire la sicurezza, ma piuttosto al prezzo che paghiamo per NON assicurarla.
E questo è un prezzo troppo alto, visto che il rischio (residuo) pari a zero non esiste, e che anche l’improbabile è accaduto: il terremoto più forte in zone abitate da quando esistono gli strumenti di misura contemporaneamente all’onda di tsunami più alta mai immaginata (9 metri contro i 6 che erano considerati come il golden standard fino a qualche settimana fa).

Ci dimentichiamo troppo spesso che siamo stati un paese competitivo, genio planetario dell’artigianato, anche senza centrali nucleari. Siamo (da sempre) un paese "povero di risorse e ricco di energia" (come recitavano i sussidiari delle elementari citati da Paolini nel suo capolavoro sul Vajont), stretti tra Europa ed Asia, eppure siamo diventati eccellenti in parecchi settori grazie al lavoro.
Ora però sembra che le industrie abbiano bisogno di più energia per essere competitive, energia che vedranno tra 20 anni se aspettano che sia una centrale nucleare a fornirgliela.

Per tutto questo io non voglio il nucleare a casa mia.

Ma neanche fuori di qui. Sarebbe il massimo poter cominciare almeno a sentir parlare di indipendenza energetica dell’Europa, di reti INTEGRATE e di smart grid.

Il Giappone insegnerà qualcosa? Il sacrificio dei lavoratori della Tepco che si stanno esponendo alle radiazioni per evitare la fusione del nucleo servirà a qualcosa, nel breve e nel lungo periodo?

Il programma nucleare è risuscitato come un’araba fenice dalle ceneri del referendum dell’87. Diciamo che, per come erano scritti i quesiti abrogativi e per come è cambiato lo statuto di Enel da allora, non ci voleva un miracolo.

Facciamolo noi il miracolo: il 12 giugno prossimo, che sia il seggio elettorale il posto dove ci recheremo prima di andare al mare.

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