La scuola malata

studente triste scuolaSecondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, gli adolescenti italiani sono stressati dal carico di lavoro degli studi e hanno un pessimo rapporto con la scuola (meno entusiasti risultano solo estoni, greci e belgi).

Si tratta di un “sintomo” preoccupante (tant’è che lo segnala, appunto, l’OMS), per gran parte riconducibile alla richiesta di un impegno extrascolastico soverchiante.

Va anche detto che, lo stress colpisce la famiglia nel suo insieme: molta parte dei conflitti, dei litigi (le urla, i pianti, le punizioni…) che avvengono tra genitori e figli riguardano lo svolgimento, meglio il tardivo o il mancato svolgimento dei compiti, quando sarebbe invece essenziale disporre di tempo libero da trascorrere insieme, serenamente.

Gli studenti italiani sono, infatti, eccezionalmente oberati di “compiti”, come risulta dalle rilevazioni Ocse Pisa: 9 ore a settimana (ma è una stima per difetto, come può confermare qualsiasi studente: l’impegno quotidiano raramente è inferiore alle 3 ore, per un totale che supera le 20 ore sttimanali), rispetto alle 3 di Finlandia e Corea, Paesi ai vertici delle classifiche internazionali per  competenze e conoscenze.

Lo stesso rapporto evidenzia come dopo circa quattro ore la settimana di compiti (cioè poco più di mezzora al giorno), il tempo in più investito sui libri ha effetti trascurabili sulla performance.

Si pensi che persino nelle scuole a tempo pieno, dopo 8 ore di lavoro, a nostri bambini di 6-11 anni, sono assegnati compiti tutti i giorni e nel week end.

A questo impegno estenuante, corrispondono risultati sconcertanti.

Il nostro Paese è in fondo alla graduatoria nelle competenze alfabetiche (competenze, riferisce lo studio, “fondamentali per la crescita individuale, la partecipazione economica e l’inclusione sociale”). In una scala che va da zero a 500; il punteggio medio degli adulti italiani è pari a 250, contro una media Ocse di 273. Numeri ancora più bassi se si considerano i Neet, i giovani che non studiano e non lavorano, a cui è attribuito un punteggio medio di 242.

Un quindicenne su quattro è pressoché analfabeta in matematica, non è in grado di risolvere problemi elementari, al massimo sa compiere operazioni semplici.

Secondo il rapporto dell’Ocse-Pisa dal titolo «Low performing students», l’Italia rimane uno dei sistemi scolastici europei più disastrosi: peggio di noi fanno Grecia e Portogallo. E non è solo la matematica lo scoglio insuperabile per i ragazzi: uno studente su cinque è pressoché analfabeta in senso tecnico, cioè non sa leggere, e uno su 6 è gravemente insufficiente in scienze.

Risulta, sempre dagli studi dell’Ocse, che siamo ultimi in Europa per capacità di compensare le diseguaglianze culturali tra ricchi e poveri. Fanno meglio di noi anche Romania, Bulgaria e Ungheria.

In altre parole, il vero motore del successo formativo degli studenti è la condizione economico-culturale delle famiglie

In altre parole, la scuola non funziona come “ascensore sociale”, è diventata un moltiplicatore di diseguaglianze: promuove gli studenti di famiglie colte e abbienti.

In altre parole, la scuola serve a chi ne ha meno bisogno; funziona come l’ospedale al contrario di cui parlava don Milani: cura i sani e “respinge” i malati.

In altre parole, la scuola viene meno al dettato Costituzionale –  Art. 34 “La scuola è aperta a tutti. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”.

Non va meglio per quanto riguarda la dispersione scolastica.

Uno studente italiano su tre abbandona la scuola superiore senza aver completato i cinque anni.  Un dato che in alcune regioni, come le isole, sale al 35–36 per cento.

Una vera e propria emorragia tra le mura e i banchi delle scuole italiane, che prosegue silenziosa e inosservata. Negli ultimi 15 anni quasi 3 milioni di ragazzi italiani iscritti alle scuole superiori statali non hanno completato il corso di studi. Si tratta del 31,9 per cento dei circa 9 milioni di studenti che hanno iniziato in questi tre lustri le superiori nella scuola statale. Facendo i calcoli è come se l’intera popolazione scolastica di Piemonte, Lombardia e Veneto non ce l’avesse fatta.

Nel 2011/12 si sono persi 7.800 allievi, afferma l’Annuario Statistico dell’Istat. La tendenza negativa è al quarto anno consecutivo. La Commissione europea ci riporta alla nostra difficile realtà: l’Italia è tra le peggiori cinque d’Europa (su 28) per abbandoni: lasciano i banchi troppo presto il 17,6% di alunni contro la media Ue del 12,7%. Insomma c’è sempre meno voglia di andare a scuola, sono sempre di meno quelli che ci credono, e sono sempre di più gli studenti che dalla scuola sono “respinti”.

Ricapitolando. La scuola italiana eccelle per:

  • la mole, abnorme, di compiti che assegna;
  • lo stress, usurante, che procura agli studenti e alle loro famiglie;
  • il livello, desolante, di ignoranza, incompetenza, analfabetismo funzionale degli adolescenti (ma anche dei diplomati)
  • l’incapacità, scandalosa, di compensare le diseguaglianze di partenza (anzi, le aggrava);
  • il tasso, riprovevole, e stigmatizzato dalla Commissione europea, di dispersione (abbandono, mortalità) che ne evidenzia il carattere censitario.

In attesa dell’ennesima riforma epocale, si potrebbe cominciare dalla cosa più semplice, di immediata fattibilità: visto che la scuola che assegna più compiti ottiene questi drammatici risultati, perché non provare a ridurli drasticamente o eliminarli, quanto meno nella scuola “dell’obbligo”, come già fanno alcuni docenti (sicuramente i 150 iscritti al gruppo facebook: “Docenti e Dirigenti a Compiti Zero”)?

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