Di “petaloso”, di notizie “sbagliose” e di occasioni perdute

petalosoIn questi giorni ha fatto grande rumore la fantomatica notizia della creazione di una nuova parola da parte di un bambino delle elementari, la quale avrebbe avuto l’avallo dell’Accademia della Crusca, la massima autorità in campo linguistico in Italia. La faccenda ha avuto tanto risalto che se ne è parlato nei telegiornali.

In molti sono rimasti perplessi, in quanto basta conoscere un po’ i bambini per sapere che di queste parole, anche più carine e almeno altrettanto potenzialmente utili, ne sfornano parecchie in alcune fasi della loro crescita, quando cioè applicano meccanismi appresi con l’esperienza (come può essere, appunto, l’aggiunta di “oso” a un sostantivo) senza ancora distinguere fra parole esistenti o meno; non era chiaro, quindi, perché stavolta si fosse andati a pescare apparentemente a caso in quest’oceano.

In realtà le cose sono andate in un altro modo: l’iniziativa di scrivere all’Accademia della Crusca è stata di una maestra, che ha proposto la parola “petaloso” utilizzata da un alunno durante il lavoro sugli aggettivi qualificativi, con il significato di “pieno di petali”.

Questa è la prima cosa bella ed educativa di tutta la faccenda, che non è emersa dalla notizia come è stata raccontata: la maestra, invece di segnare di rosso l’aggettivo come sbagliato, ha preso sul serio la parola e l’ha dichiarata sensata, come in effetti è: il significato è chiarissimo. Ha detto ai bambini che, però, non esiste nella lingua italiana perché non è presente sui vocabolari e ha fatto di più: ha preso l’iniziativa, insieme ai suoi bambini, di proporla all’Accademia della Crusca (spiegando, quindi, anche di cosa si occupa questo organismo).

Dopo qualche tempo, l’Accademia della Crusca ha risposto. Non ha avallato una nuova parola, come è stato lasciato intendere: sarebbe stato assurdo. Non l’ha inserita nei dizionari, come tutti vanno dicendo: non funziona così. Ha fatto, invece, la seconda cosa bella ed edificante che emerge dalla vicenda se raccontata correttamente: ha risposto ai bambini, li ha presi in considerazione, ha spiegato che l’aggettivo è costruito correttamente, al pari di altri come peloso o coraggioso, e che però questo non basta per entrare nel vocabolario. Ha spiegato che le nuove parole entrano nel vocabolario solo se vengono utilizzate da tante persone.

A questo punto, la maestra ha raccontato l’accaduto su Facebook chiedendo, presumibilmente, collaborazione e, per i meccanismi spesso incomprensibili dei social, è partita una mobilitazione atta a diffondere la parola in modo forzato, “per fare contento il bambino”; questo ha trasformato, a mio parere, un buon esempio di didattica e un’occasione di crescita in una vicenda più diseducativa che altro.

Come se la dimensione privata, ovvero aver valorizzato il bambino, invece che dirgli che aveva sbagliato, e la bella lezione già data alla classe insieme ai responsabili dell’Accademia della Crusca non fosse sufficiente, come se ci volesse per forza un riconoscimento di massa, diventare “famosi”, per essere felici. Famosi a qualsiasi costo -questo probabilmente pensano tutto coloro che si sono adoperati per la causa-, famosi anche in modo immeritato, perché la realtà è che non c’è nessun contributo fondamentale alla lingua italiana, ma solo una parola come tante altre di un bambino come tanti altri.

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