Settimo mese -Solange

43129-feto.jpgSiamo arrivati al settimo mese, amore mio salterino.
Oggi scriverò pensandoti al femminile perché si va rafforzando in me la convinzione che tu sia femmina.
Se così fosse, quando sarai grande e magari starai diventando mamma, parleremo di queste sensazioni. Se invece sarai maschio, rideremo a non finire e potrai prendermi in giro vita natural durante.
Cosa che farai comunque se, come speriamo, erediterai il nostro senso dell’umorismo e la nostra capacità di ridere anche di fronte alle situazioni più incasinate come quella che stiamo vivendo ora.

Ci sono tanti cambiamenti in atto nella nostra vita, che coinvolgeranno anche te, anche se ancora per un altro po’ potrai goderti il tuo spazio tranquillo e caldo dentro la mia pancia che cresce e non preoccuparti di nulla.
La notizia è arrivata come un fulmine a ciel sereno due giorni dopo il ritorno dalle vacanze.
Il venerdì sera il tuo papà è arrivato a casa con la faccia mesta e una lettera in mano. Mi si è seccata la bocca perché sapevo quel che stava per accadere. Non era ancora una certezza ma c’erano molte probabilità che rimanesse senza lavoro.
Abbiamo trascorso due dei giorni più brutti della nostra vita insieme. E per la prima volta ho temuto che avessimo perso la voglia di ridere e il coraggio di lottare, che ci fossimo spenti.

Avevamo tanto fantasticato sul nostro ritorno in Italia a fine giugno, sulla tua nascita qui con delle ostetriche che sono angeli, sul fatto che papà avrebbe lavorato da casa, che ti avrei cresciuto io, che saremmo andati ad abitare nella casa dei nonni, con l’asilo vicino e il parco giochi davanti al portone, che saremmo andati al mare ogni volta che ne avevamo voglia e avremmo avuto la vita che sognavamo da sempre.
E ora la possibilità di dover rinunciare a tutto, che pochi giorni dopo è diventata certezza.

Un po’ sforzandoci, un po’ guidati dalla voglia di normalità abbiamo iniziato a reagire, a scherzarci su anche se con un po’ di amarezza. Abbiamo iniziato a pensare che cosa fare.
A mandare curricula, in Irlanda ma soprattutto in Italia. Abbiamo deciso di provarci, almeno. Di provare a vedere se dopo tre anni saremmo finalmente riusciti a tornare nel nostro paese. Era quello che volevamo in fondo.
E saremmo stati noi anche senza il nostro sogno, anche dovendo cambiare i nostri programmi, anche in un altro posto.

Le offerte sono arrivate, dal nord dell’Italia.
Una in particolare molto interessante e il tutto ha iniziato a prendere forma. Tu non lo sai ancora ma il tuo papà è un geniaccio, convinto che l’unico programmatore più bravo di lui potresti FORSE, un domani, essere tu, se lo vorrai.
Comunque del fatto che è un geniaccio mi sa che se ne sono accorti anche i signori dell’azienda che hanno incominciato a fargli il filo, poi gli hanno fatto un’offerta per noi ottima. E poi gli hanno chiesto di prendere l’aereo, volevano conoscerlo e così è stato. È partito un martedì mattina alle 4:30 e la sera è ritornato da noi, con lo sguardo felice e il contratto in mano.

Abbiamo dato la disdetta dal contratto di affitto ai padroni di casa; il primo marzo partiamo. Per sempre.
Ed io, che già dopo un anno qui avevo voglia di scappare, che non vedevo l’ora che arrivasse il giorno di andare via, che contavo le settimane, mi sono scoperta con un nodo in gola che mai avrei creduto di poter provare.

Stanno spuntando i primi daffodils, puntini gialli su una distesa verde e ho pensato che fra un mese invaderanno le aiole, piegheranno i loro capini al vento e io quest’anno non ci sarò a farmi riempire il cuore dal loro colore.
Mi sono salite le lacrime agli occhi perché ho visto tutte le immagini della primavera a Dublino, quando le giornate si allungano ogni giorno un po’ fino ad arrivare al chiarore delle undici di sera che tanto amo, il parco Phoenix invaso di gente che mangia gelati e gioca a pallone e fa la coda per entrare allo zoo, il lungomare di Bray e le passeggiate prima di fermarci a fare cena al Porter House (chissà se in Italia lo troverò il Kopparberg Mixed fruit?), l’odore che si respirava nel giardino della casa in Cabra Park quando ancora fumavamo e andavamo fuori e scambiavamo quattro chiacchiere con i coinquilini in un inglese allora ancora un po’ stentato.

Ho ricordato di quando papà ed io dopo qualche mese di sacrifici abbiamo affittato la nostra prima casa da soli, che era orrenda e tutta ricoperta di moquette ma a noi pareva di stare in una reggia.
Ho rivisto la gioia della gente che a San Patrizio si riversa per strada e nei pub, l’allegria contagiosa, il trionfo di verde e di trifogli, mi sono rivista il primo giorno di lavoro quando timidamente facevo il mio ingresso in una multinazionale in cui sarei cresciuta tanto, personalmente e professionalmente.
Ho guardato le strade, i negozi, quegli stessi posti in cui non mi sono mai sentita a casa e che ora vorrei potermi portare via.
Ho pensato alla nostra casetta, che ora pian piano si andrà svuotando delle nostre cose che riempiranno gli scatoloni e non rimarrà altro che un’anonima casa vuota pronta per nuovi inquilini, e un ricordo in fotografia.
Ho pensato – ma in fondo lo so da tempo – che non sarò mai Irlandese e non sarò mai più Italiana.

Lo so, so che quando arriveremo in Italia e troveremo il nostro nido, che nel frattempo abbiamo già cercato e anche trovato, sarò entusiasta di sistemarlo, pulirlo, averlo perfettamente in ordine come solo all’inizio si riesce ad avere e lo amerò come ho amato questa casa.
So che sarò eccitata perché mancherà pochissimo al tuo arrivo e quando ci sarai, nostra piccola Tsunami, rivoluzionerai talmente le nostre vite che non avremo tempo di guardare indietro e non avremo occhi che per te.
Ma un pezzettino di cuore lo lascio qui, lo lascio nei luoghi che ci hanno visti innamorati, con la luce negli occhi, con i sogni in tasca, nei luoghi in cui ha iniziato ad insinuarsi sempre più in noi il desiderio di avere un figlio, in questa casa dove ti abbiamo concepito con tutto il nostro amore e in un luminoso pomeriggio di settembre, quando quasi non ci speravamo più, abbiamo scoperto che presto saremmo diventati tre.

Amore mio, nonostante la malinconia, nonostante senta un ovosodo che non va né su né giù, nonostante sia doloroso chiudere questo capitolo della nostra vita e incominciarne un altro sappi che c’é anche tanto entusiasmo e tanta voglia di buttarci in questa nuova avventura e la malinconia e l’entusiasmo si fondono in un sentimento nuovo che sono grata di poter provare.

Ti auguro, tesoro mio, che un domani possa provarlo anche tu, che ti senta sempre così viva come mi sento io ora.
Ti amo, infinitamente.
La tua mamma

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