La nascita di Alessandro

alessandro.jpgVe la racconto dal mio punto di vista, perché se ve lo racconta la mia mamma rischia di farla tragica invece di parlare delle cose belle (e io sono bellissimo!).

Dunque… sono nato nel giugno del 2003. Era un’estate caldissima.
La mamma aveva addosso un vestito corto a pallini e io ero lì dentro che sembravo finto tanto ero grosso, ma alla fine ero solo tre kg e mezzo, è colpa della mamma che è piccolina!
Sono un pigrone, l’avrò ereditato da lei… Fatto sta che non ne volevo sapere di uscire e la mia DPP era già passata da qualche tempo. Me l’ero presa comoda perché si stava bene lì dentro, ma quel giorno le cose erano cambiate: non c’era più liquido amniotico.
Aiuto! Fatemi uscire!

Nell’ecografia del monitoraggio oltretermine si degnano di vedere che sono tutto schiacciato contro l’utero della mamma e mi sto facendo anche un pochino male. Era più bello prima, quando ci galleggiavo!
Ricoverano la mamma con tre braccialettini. Uno grande e due piccoli. Quelli piccoli sono per me. Che carini! Non vedo l’ora di mettermeli!
Sono le undici del mattino, fanno l’induzione alla mia mamma e, finalmente… ragazzi, si muove qualcosa! Sulla pancia della mamma c’è una macchina che le dice come batte il mio cuoricino.
Mio nonno, che quasi piange tanto è angosciato, chiede se sto bene.
Io sto benissimo, non ti preoccupare! Vedrai che manca poco ai sorrisoni e alle cacchine che con equanimità ti dispenserò in pari misura.
Mia nonna imbocca mia mamma per pranzo, tra una contrazione e l’altra.
Mio papà si fa un giro, ha disdetto una riunione importante, anche allora era sempre impegnato. Comunque, quando torna si mette il camice verde: gli dona.

Ops… le poche acque che c’erano se ne sono andate.
Sono un po’ tinte ma dicono che non è grave. Va tutto bene! Dai che ce la facciamo!
E anche la mamma è ottimista. Ha fatto un corso preparto di cui era entusiasta, si sente preparata, ha tutte le sue idee sulla respirazione, sulle posizioni espulsive, sul cordone ombelicale, sull’avermi in braccio ancora sporco di vernice caseosa. Per adesso pensa che le sia servito.
Quando dalla sala travaglio la spostano in sala parto i dolori sono molto forti ma la dilatazione è ancora indietro.
Anche per me non è una passeggiata. Il mio ricovero morbido e tranquillo è diventato una prigione angusta e soffocante. D’altronde, diciamocelo… se così non fosse chi ce lo farebbe fare di uscire e vedere il mondo che ci aspetta là fuori?

Sono le tre del pomeriggio.
È da quell’ora che la mamma comincia a contare la durata del travaglio VERO.
Per me le cose vanno più o meno allo stesso modo per parecchio tempo. Mi controllano e sanno che me la sto cavando niente male.
È la mamma che non se la cava.
Verso le sei la dilatazione non procede ma il dolore sì. Le sembra di impazzire per una sofferenza che non ha mai provato, che non immaginava, e che torna a picchi di inaudita intensità, implacabile e sempre così forte che ogni volta le sembra di morire.
Meno male che c’è il papà che prova ad incoraggiarla, e ancora ci riesce, per il momento.
A sette ore dall’induzione è arrivata a 2 cm. Brama l’epidurale. Invece la dilatazione si ferma.
A quel punto hanno la doverosa ma pessima trovata di metterle in vena l’ossitocina.
Così scopre che al peggio non c’è mai fine.
Le contrazioni diventano violentissime, e tutto per arrivare, alle nove di sera, a soli 3 cm.
Cambiano il turno dell’ostetrica. Ce n’è una bravissima ma che può fare ben poco, perché è a quel punto che la mia mamma perde completamente il controllo.
Smette di fare la respirazione e comincia a gridare. Proprio gridare. Senza lucidità e senza scopo. Mi sa che nella vicina sala travaglio le altre signore se la fanno sotto a sentirla.
Mamma… non serve né a me né a te.
Anche perché se sei terrorizzata e tesa, qui resti chiusa come un’ostrica, altroché!
Certo che anche questi ospedali… Le danno una mazzata terribile quando le dicono che gli anestesisti sono in sciopero. Non ci credete? Invece sì.
Proprio quando avrebbe potuto farla e per affrontare il resto del parto, non può avere l’epidurale. Gli anestesisti in sciopero funzionano così: ce ne sono solo due e lavorano solo se c’è un’urgenza. Noi non siamo un’urgenza. Siamo solo un parto naturale.
E in effetti, mamma, non è il caso che ti rassegni?

Dopo un bel piantone e qualche maledizione agli anestesisti, si rassegna.
Ma non migliora la fatica con cui regge le contrazioni.
Altra ossitocina. Altre urla disumane. L’ostetrica simpatica non riesce a riportarla alla ragione.
Il mio papà, poverino, men che meno. Ha le lacrime agli occhi, perché lei urla: aiutami, ti prego… e lui non può fare niente, tranne minacciare a mano armata gli anestesisti, ma non gli sembra il caso.
Ed è sconvolto perché lei gli dice cose bruttissime: che non vuole altri figli da lui. Che non vuole nemmeno me.
Ecco, questo è proprio triste. Ma come? Mi hai voluto così bene per nove mesi e adesso mi tratti così? Meno male che non sono permaloso!

Sarà perché questo mi deprime, sarà per puro caso, ma le cose cominciano ad andare maluccio pure a me. In qualche maniera siamo arrivati a 8 cm. Si tenta la dilatazione manuale. Sono le due di notte.
Si vede già la mia testina. L’ostetrica chiama davanti alle staffe il mio papà, che è provato ma commosso.
Sono il suo bambino e sono lì lì per nascere. Peccato che "lì lì" non vuol dire già nato…
Infatti la mamma per amor mio torna in sé, si riprende dal dolore e spinge come le dicono.
Spingo anch’io…
Ma c’è qualcosa che non va. Non riesco a uscire. Contro la mia testina c’è qualcosa di duro. È il coccige della mamma.
Spingiamo, avanziamo, e alla fine della contrazione torniamo indietro. Dicono che forse sono incanalato male. Accidenti! Non è che mi sono distratto per colpa del casino che faceva la mamma e mi sono messo storto?! Insistono, perché è assurdo rinunciare a un passo dalla fine.
La mamma ha ritrovato il coraggio. Si sente ancora morire ad ogni contrazione ma finalmente, a dodici ore dall’inizio di quella tortura, ha realizzato che è per uno scopo.

Aiuto… non mi sento bene… Il mio battito va giù, lo vedono dal cuoricino sul monitor. Il coccige mi fa male, non riescono a spostarmi, le contrazioni mi soffocano.
L’ostetrica chiama i medici alla svelta e ora… ora non ci crederete ma l’anestesista si trova, perché NOI siamo diventati un’urgenza.
Preparano la mamma per il cesareo. Via in sala operatoria, più in fretta, più in fretta che rischio di farmi male…
La mamma ringrazia il cielo quando le fanno l’anestesia spinale, che si porta via quell’orrendo dolore. Ma se la gode pochino, perché ha paura per me.
Arriva il chirurgo, taglia, fruga, dice: chi prende il bambino? (Sono io, sono io!). Cercano di afferrarmi.
Un altro medico dice: com’è grosso, voglio poi sapere quanto pesa… Non è vero, non sono un ciccione! È che sono lungo, 54 cm. Diventerò alto come il papà, non basso come la mamma!

Mi tirano fuori, sono le tre del mattino passate e fa freddo, le luci sono forti.
Piango indignato. Non che dentro oramai stessi meglio, ma siate più gentili, per favore…
Mi portano via di corsa per controllare che vada tutto bene, col guaio che è successo alla fine del parto naturale.
Avrei preferito che la mia mamma mi vedesse, e lo avrebbe preferito anche lei. Ma tant’è…
Almeno, dopo che il neonatologo mi ha controllato, mi danno al mio papà.
Smetto di piangere appena sono in braccio a lui.
Lo so che è il mio papà, con tutte le volte che mi ha parlato quando ero nella pancia.
Poi lo saluto e faccio un po’ di nanna nella culla termica.

L’indomani per fortuna torna il papà, mi prende, mi porta in una camera. Sul letto c’è la mamma. Lui le dice: "Amore, ecco il nostro bambino".
La mamma, che aveva passato la notte da sola ed era un po’ giù, mi tiene nell’incavo del braccio. Sono tranquillo perché sono lì con lei.
La guardo. Ho occhi grandi, grigio-blu, ancora lungi dal diventare dell’azzurro pallido che fa conquiste quando oggi mi porta al supermercato.
Mi dice: "Ciao, Piccolo-Piccolo".
È così che mi chiamava quando era incinta. Sapeva che ero un maschio ma non mi ha mai dato un nome. In verità non ce l’ho nemmeno adesso. Ho un numero sulla culla e gli altri neonati mi guardano un po’ storto.
Allora: hai voluto vedere che faccia avevo. Adesso il nome me lo dai sì o no?
Piange, mi accarezza, mi bacia piano.
È amore a prima vista. Un amore che trafigge il cuore e non conosce confini.
Non sono nato bene, lo ammetto. Non somigliava ai bei racconti di parto che si sentono in giro.
Ma quando sono stato lì mi ha amato lo stesso.
Subito.

A proposito… alla fine mi chiamo Alessandro, e da quel giorno sono la gioia della sua vita.

Un saluto ai miei amichetti, già nati o ancora nelle vostre pancine.

Baci, Alex

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