Tachipirina: quando darla? (abuso di farmaci)

Buongiorno, 

La ringrazio per la risposta riguardo la quantità di latte da assumere a 3 anni.

Colgo l’occasione per porLe un’altra domanda.

Come mai la maggior parte dei pediatri quando i bambini hanno un po’ di febbre  o altre piccole cose, consigliano subito di dare la tachipirina? Conosco bimbi che per una cosa o l’altra assumono la tachipirina ogni settimana.

Ma il sistema immunitario non ne risente? Io, da mamma che ama le cose più naturali possibili, preferisco lasciare che la febbre, essendo una difesa, faccia il suo corso. Ovviamente se il bambino non soffre troppo e reagisce bene.  

Vorrei tanto che la televisione e i media spiegassero alle mamme cosa é effettivamente la febbre, la mia impressione é che la maggior parte delle mamme pensi che sia un mostro da eliminare al più presto.

Cordiali Saluti

Silva


 

Cara Silva, hai affondato il coltello nella piaga con la tua domanda! La febbre e, in generale, tutti i malesseri e le malattie dei bambini, mettono in ansia i genitori, soprattutto madri e nonne. Questo è normale. Ma, quando prevale l’ansia, è difficile convincere una mamma con il ragionamento che, in fondo, è più naturale e logico lasciare che i piccoli malesseri facciano il loro corso, anche facendoli durare un po’ di più. E’ altrettanto difficile fare capire che lasciando agire con calma le normali difese dell’organismo la malattia verrà affrontata in modo più compiuto, gli anticorpi avranno agio di formarsi e svilupparsi in quantità superiore, verrà permesso alla memoria immunitaria di imprimersi maggiormente nelle cellule e di durare più a lungo, non verranno affaticati fegato e reni del piccolo con frequenti somministrazioni di sostanze chimiche che poi dovranno metabolizzare e eliminare.
E’ difficile far capire che la febbre è il primo meccanismo efficace di difesa dagli agenti patogeni e che gli antipiretici, anche quando abbassano la febbre, in realtà non curano nulla e la malattia continua a fare il suo corso indisturbata. Anche alcune mamme che si battono strenuamente per l’alimentazione biologica nella scuola, che propongono ai loro figli una alimentazione corretta e bilanciata, che danno molta importanza allo sport e iscrivono i loro figli a corsi sportivi su corsi, che danno fiumi di propoli o di rimedi omeopatici ai pargoli per non farli ammalare, alla prima febbre soccombono all’ansia e cambiano improvvisamente atteggiamento: vogliono il rimedio miracoloso, il figlio non può continuare a soffrire, non sarebbero buone madri se non trovassero il modo di togliere ai loro bambini ogni pur minimo malessere e poi, non ultimo, devono tornare al più presto al lavoro, e questo è veramente un problema.
Nel mondo attuale prevalgono fretta e non accettazione di tutto quanto non è "normale". Dopo tanti sforzi di prevenzione con mille vaccini e mille controlli specialistici sin dal concepimento, le malattie sono considerate, se non scandalose, sicuramente molto disturbanti il normale tran tran famigliare già così fitto di impegni e di stress.
Mi rendo conto di essere drastica, ma la mia età mi permette di avere la visione prospettica di due generazioni e di conoscere quanto è cambiato negli anni e quanto, invece, è ancora duro a morire.
C’è poi un altro aspetto fondamentale del problema: per poter dire che il bambino febbrile, in fondo, non ha nulla di grave e può – se non deve – cavarsela da solo, bisogna avere fatto una diagnosi precisa del problema e aver escluso tutto quello che attualmente non sta dando sintomi preoccupanti ma potrebbe essere spia di qualcos’altro.
Spesso il bambino leggermente febbrile viene, diciamo così, curato per telefono. E’ un grave errore. Come fa un medico, in coscienza, a fare diagnosi senza aver visitato il bambino? E anche dopo averlo visitato, se il bambino non presenta in quel momento sintomi particolari, quale certezza si ha che non modifichi la sintomatologia dopo alcuni giorni? A volte sarebbero quindi necessarie due o tre visite del bambino a distanza di due o tre giorni l’una dall’altra. E’ quanto bisognerebbe teoricamente fare quando si decide di non prescrivere farmaci "in prima battuta": non si aiuta il bambino con medicine ma non lo si abbandona a se stesso e lo si tiene in osservazione fino a guarigione. Ebbene, non sempre è facile comportarsi così nella medicina ambulatoriale. Il pediatra di base, soprattutto in certi periodi dell’anno, è oberato di lavoro: come farebbe a raddoppiare o triplicare le visite se già facendone una sola ad uno stesso bambino e riununciando a farne altre con consigli solo telefonici, riesce a malapena a svolgere il suo lavoro negli orari prestabiliti? Considera poi quanto tempo ci vuole per strappare un foglietto dal proprio ricettario e scrivere o scarabocchiare il nome di un farmaco e paragonalo col tempo necessario a spegare tutto quanto ti sto scrivendo ora. Moltiplica tutta questa differenza di tempi per il numero di bambini che, soprattutto in certi periodi dell’anno, affollano ambulatori e prontosoccorsi, e la risposta te la darai da sola.
La tua domanda stimola quindi una riflessione molto più generale sulla cultura sanitaria del nostro paese, sulla psicologia del genitore, sulla psicologia anche del medico curante e sulle condizioni nelle quali svolge la sua professione, sui ritmi imposti dalla società attuale, sul concetto di malattia e di benessere dell’individuo e, non ultimo, su come dovrebbe essere concepita la professione medica.
Individualizzare e personalizzare l’intervento professionale, creare comunicazione, collaborazione, fiducia e dialogo con il paziente e la famiglia sono compiti complessi e sono veramente poche le condizioni che permettono tutto ciò. Io ricordo ancora quando, una ventina di anni fa se non di più, vaccinavo i miei pazienti contro morbillo, parotite e rosolia e poi contro l’emofilo, quando ancora questi vaccini non erano in commercio in Italia (io li trovavo comunque perché, abitando a Roma, potevo usufruire della farmacia internazionale del Vaticano).
Alcuni avevano reazioni febbrili, le stesse reazioni che attualmente non preoccupano più di tanto le mamme visto che i vaccini sono ormai di massa e tutti vi si sottopongono.
Ebbene, non sto a dire quali erano le reazioni spaventate e pentite delle mamme che si erano lasciate convincere a vaccinare i loro figli: alcune non me li portarono più a visita. Dovetti sopportare molti insulti e calunnie. Ora il tempo mi ha dato ragione ma non so se avrei la forza di ripetere l’esperienza da capo. Quindi ci vuole cultura e informazione, ma ci vuole anche molto tempo affinché il tutto possa essere assimilato e vissuto come proprio, quindi con convincimento. A tutti questi ragionamenti, aggiungi il fatto che di pediatri è pieno il mondo e quando una mamma ha a che fare con un pediatra che non la pensa come lei, fa molto presto a cambiarlo e a trovarne uno che la "soddisfi" di più. E non è sempre detto che "soddisfare" di più significhi far ragionare e spiegare. Sembra strano, ma a volte, soddisfa di più chi ha sempre una risposta semplice breve e pronta ad ogni problema piuttosto che un medico che invece preferisce parlare di più e scrivere di meno. Il guaio della nostra medicina occidentale allopatica, insuperabile praticamente per quasi tutto e insostituibile, è quello di non avere rimedi della stessa grandezza per ogni malattia. Mi spiego meglio: di farmaci ce ne sono tanti ma tutti, come dire, importanti. Non si riesce ad andare sotto il bazooka: quando vola una mosca, non esiste un retino per acchiapparla, esiste una pistola.
Guai a non averla per problemi seri, ma usarla per i meno gravi è un peccato. E questo senza nulla togliere ai casi in cui è veramente necessario usare rimedi importanti anche per problemi che, per altri bambini, non sarebbero preoccupanti.
C’è quindi un piccolo mea culpa da fare da parte di tutti e un piccolo aggiustamento di tiro, sempre da parte di tutti coloro che hanno a cuore la salute dei bimbi, che parte da uno sforzo per imparare ad osservare, diagnosticare e riflettere in modo sempre più approfondito sulle proprie azioni. Una maggior diffusione di iniziative che migliorino la cultura sanitaria del nostro paese è sempre auspicabile, benché io credo che si stia veramente facendo molto in proposito, ma ciò non toglie che ci vuole tempo, devono passare le generazioni.
Vi è poi un certo pericolo nel rendere divulgativi certi argomenti di pertinenza medica: quello di generalizzare troppo e di indurre una persona che si crede informata nella pericolosa tentazione di "fare da se". Il medico è sempre indispensabile ma svolgerà tanto meglio la sua professione quanto più verrà in questo aiutato da un paziente, in questo caso un genitore, consapevole e informato. Il pediatra deve guidare il neo-genitore insegnandogli l’osservazione e la scala di valori dei vari sintomi. Il genitore deve, a sua volta, collaborare con il medico con una corretta spiegazione dei sintomi che il medico stesso gli avrà insegnato a rilevare. Anche questo è lavoro di équipe.
Grazie per avere posto questo quesito.
Daniela

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