Periodo giusto di convalescenza e bimbi che non si ammalano mai

Cara dott.ssa, vorrei farle alcune domande.

Quando un bimbo si è ammalato quanto è bene aspettare prima di rimandarlo a scuola? Per ammalato intendo una forma con febbre molto alta per 2 o 3 giorni mal di gola, ecc.

Le chiedo questo perché io sarei più sbrigativa, mentre la pediatra ci va sempre molto cauta.

Inoltre volevo porle un’altra domanda: il migliore amico del mio bambino non si ammala mai… In tre anni di asilo non ha fatto neanche una settimana di assenza e adesso al primo anno di scuola elementare a ruota si sono ammalati tutti e con febbre molto alta e duratura, e l’unico che si è salvato è lui.

Sia ben chiaro, non è che voglio che si ammali pure lui, solo mi chiedo come sia possibile questo, visto che anche per quanto riguarda l’alimentazione mio figlio ce l’ha abbastanza variata mentre lui non mangia quasi niente e non fa altro che ingozzarsi di schifezze.

L’unica cosa che posso dire è che è un bimbo che soffre sempre il caldo e anche in pieno inverno va in giro con le maglie di cotone perché la lana assolutamente non la vuole e vedo che la mamma fatica anche a mettergli un giubbotto un po’ più pesante.

Grazie ancora per la disponibilità.


Credo che sia impossibile stabilire esattamente quanto debba durare un periodo di convalescenza dopo una malattia. Per quanto riguarda l’infettività della malattia, cioè la possibilità che il bambino malato infetti i suoi compagni tornando troppo precocemente in comunità, il problema, per le infezioni virali almeno, quasi non esiste, perché, solitamente, i virus responsabili delle più comuni malattie, esantematiche o meno che siano, sesta malattia a parte, in seguito alla quale i bambini restano potenzialmente portatori del virus anche per settimane dopo la guarigione, scompaiono dall’organismo già alla fine della fase acuta sintomatica della malattia, quando il bambino non si può ancora considerare guarito e difficilmente il genitore lo rimanderebbe a scuola (il problema è che attualmente i bambini vengono rimandati a scuola quando non sono ancora guariti!).

Per quanto riguarda le malattie batteriche, il problema, attualmente, si può considerare sovrapponibile perché, ormai, il diffondersi della prescrizione di antibiotici, rende inoffensivi i batteri già dopo 48, 72 ore dall’inizio della terapia antibiotica e, al limite, figurati che, se sotto terapia antibiotica idonea, anche un bambino con meningite potrebbe tornare a scuola dopo soli due giorni di terapia!

Fanno eccezione a questo alcune infezioni, come le salmonellosi, poco sensibili agli antibiotici, che rendono i bambini affetti portatori sani anche per mesi, ma sono problemi circoscritti a poche malattie. Il problema riguarda, quindi, lo stato di salute complessivo del bambino malato e la capacità del suo sistema immunitario di ricominciare a funzionare adeguatamente dopo una battaglia appena sostenuta, sia contro virus che contro batteri.

Solitamente, sono le infezioni virali, quelle apparentemente meno impegnative per il bambino, a lasciare un periodo di relativa immunodepressione più lungo rispetto a quanto succede dopo una infezione batterica e, paradossalmente, è proprio dopo un raffreddore o una banale faringite che il bambino dovrebbe rimanere riguardato, fondamentalmente lontano da altre nuove fonti di contagio, cioè da ambienti chiusi e affollati, per un tempo più lungo, per evitare che si riammali frequentemente.

L’attuale impostazione di vita di una famiglia moderna non permette di allontanare un bambino da scuola per un tempo lungo quanto la malattia acuta più una convalescenza più o meno lunga quanto la malattia stessa, se non di più, visto che si calcola che, a volte, servano almeno una diecina di giorni se non due o tre settimane, perché il bambino possa considerarsi completamente ristabilito.

In definitiva, quindi, si calcola che sarebbe opportuno riportare il bambino a scuola dopo un periodo di convalescenza più o meno pari alla durata della malattia che ha avuto, cioè mediamente una settimana dalla fine dei sintomi della malattia acuta, ma questo comporterebbe, ogni volta, l’allontanamento del bambino da scuola per almeno 10 se non 15 gg e la cosa è decisamente poco attuabile se non controproducente per il bambino stesso che interromperebbe la sua routine scolastica per molti giorni. Solitamente, quindi, si opta per meno giorni, meno della metà di giorni di convalescenza di quanti servirebbero.

Il problema, però, a mio avviso, come ho detto, non è tanto tenere a casa il bambino per molti giorni, quanto non riportarlo quando è ancora malato: è in questo modo, infatti, che la scuola si riempie di virus e batteri e diventa responsabile della ricorrenza delle malattie tra i bambini che la frequentano.

Quindi, rispettare un congruo periodo di convalescenza, dovrebbe essere una consuetudine adottata da tutti i genitori perché possa funzionare e tutti sanno bene che si tratta di mera utopia!

Per quanto riguarda il bambino che non si ammala mai: può dipendere da un suo efficientissimo sistema immunitario, sicuramente costituzionale quindi ereditato da almeno un genitore, oppure semplicemente dal fatto che il suo organismo non procura sintomi molto evidenti ad ogni affacciarsi di infezione nuova.

Non è detto, infatti che, visitandolo periodicamente, anche se apparentemente in buona salute, non sia possibile constatare, magari, una gola insolitamente infiammata o una otite catarrale senza che esse diano sintomi esteriori di rilievo. Come tutti i bambini, anche in lui si svolgono sicuramente battaglie tra agenti infettivi occasionali e anticorpi, ma si tratta di battaglie silenziose e non appariscenti, poco sintomatiche e l’intensità o meno di un sintomo non è sempre legata alla gravità della malattia: spesso, infatti, dipende da una particolare reattività dell’organismo.

Vi sono, infatti, bambini che sviluppano gravi broncospasmi o asma anche in seguito a banali virus, oppure febbri altissime in seguito a infezioni che altri bambini esprimono, magari, solo con qualche starnuto e basta. La gravità e l’intensità dei sintomi, infatti, entro certi limiti, non dipende dalla gravità della malattia ma dalla costituzione del bambino e questo soprattutto nelle infezioni virali, che sono la stragrande maggioranza in età prescolare.

Bisogna poi anche dire che molto spesso ai bambini non vengono insegnate, o non si ha la costanza di insistere affinché le attuino, le più semplici, ma non meno efficaci, norme di igiene preventiva come lavarsi le mani spesso, usare fazzolettini usa e getta, soffiarsi il naso spesso, non condividere bicchieri o posate alla mensa, non mettere in bocca le stesse matite e gli stessi giocattoli, ecc.

Gli ambienti scolastici dovrebbero essere riscaldati in modo adeguato e non troppo come avviene spesso, le finestre delle aule o dei locali gioco dovrebbero essere aperte regolarmente ogni due ore e il ricambio di aria dovrebbe essere adeguato, cioè la finestra dovrebbe rimanere aperta almeno mezz’ora per un locale di 5 metri per 5 o anche di più se la stanza è più grande, l’aria non dovrebbe mai essere troppo secca, come avviene quando i riscaldamenti sono a termoconvettori di aria calda anziché a olio e bisognerebbe avere adeguati sistemi di umidificazione dell’aria, i bambini dovrebbero stare all’aria aperta senza timori, sia durante la mattinata, sia all’uscita della scuola, per ripulirsi i polmoni dall’aria viziata della classe, sempre più inquinata dell’aria atmosferica, anche se si vive in una grande città, in casa non dovrebbero respirare aria satura di fumo, dovrebbero, perché no, imparare, appena possibile, a sciacquarsi le prime vie respiratorie con gargarismi al ritorno a casa, oltre che lavarsi subito le mani e togliersi le scarpe con le quali hanno camminato all’esterno e tutte queste abitudini dovrebbero essere assimilate come semplici routine quotidiane piuttosto che considerate atteggiamenti fobici contro le infezioni.

Del freddo non bisogna avere paura: esso non costituisce pericolo per l’organismo a meno che quest’ultimo non sia sottoposto a bruschi sbalzi di temperatura senza protezione come quando passa da un locale sovrariscaldato ad un forte freddo esterno senza protezione. Più da temere è l’umidità, che favorisce le infiammazioni alle vie respiratorie e il moltiplicarsi dei microrganismi.

L’alimentazione ha anche il suo ruolo: in inverno, infatti, non devono mancare proteine e vitamine, le prime perché aiutano il ricambio e la formazione di anticorpi, visto che gli anticorpi sono sostanze proteiche, le seconde perché svolgono un ruolo importante nei processi che mantengono integra la struttura delle membrane cellulari e nel contrastare i processi ossidativi, più vivaci in caso di infezione.

Il massimo sarebbe che tutte queste sostanze fossero reperite da una idonea alimentazione costituita da cibi biologici, quanto più possibile freschi e non conservati, contenenti ancora una buona concentrazione di sostanze dall’attività prebiotica e probiotica e di vitamine.

E infine, l’ideale sarebbe anche che il genitore vivesse la malattia del figlio, più che come un problema in più o una seccatura, come una utile opportunità per sviluppare anticorpi che impediranno alla malattia stessa di ripresentarsi in futuro, cioè con una buona dose di filosofia.

Un caro saluto,

Daniela

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