Nido sì nido no

 

 

Gentilissima Dottoressa,

 

ho molta fiducia in lei e stimo altamente i pareri che esprime attraverso le sue risposte, tanto alle lettere che ho avuto occasione di scriverle quanto a quelle di altri genitori, per me sempre spunto di riflessione e occasione di chiarimenti.

 

Vorrei perciò conoscere la sua opinione riguardo ad una scelta che io e mio marito abbiamo compiuto su espressa indicazione del nostro pediatra, che ci ha raccomandato, se possibile, di non iscrivere il nostro bambino (di 10 mesi e mezzo) al nido ma solamente, a 3 anni, alla scuola d’infanzia: a suo dire infatti "il nido non ha alcuna indicazione per i bambini, solo per i genitori che proprio non possono farne a meno", poiché rappresenterebbe una sorta di boomerang che si ritorcerebbe sui bambini stessi, che non fanno altro che ammalarsi in continuazione finendo col trascorrere a casa, ammalati, un periodo di tempo a volte pari a quello che trascorrono al nido. Secondo il nostro pediatra i bimbi così piccoli non sono adeguatamente "attrezzati", a livello di difese immunitarie, per far fronte e a tante possibili malattie, mentre lo diventano di più crescendo: insomma, a suo dire anche all’asilo i bambini contraggono delle malattie, ma le superano più facilmente.

 

Io mio marito ci siamo così organizzati affidando il nostro Davide ad una tata che ha iniziato ad affiancarmi già molto prima che io rientrassi al lavoro, cosa avvenuta da poco, e devo dire che non ci siamo pentiti di questa scelta, poiché il bambino e la tata hanno instaurato un ottimo rapporto e Davide sta crescendo sano ed allegro.

 

Il mio dubbio riguarda però non tanto l’aspetto squisitamente sanitario della nostra scelta, quanto il risvolto psicologico e relazionale: sto infatti cominciando a chiedermi se Davide non sarà privato di importanti occasioni di socializzazione (è figlio unico e data l’età abbastanza avanzata dei suoi genitori non è probabile che possa avere un fratellino o una sorellina, e anche i nostri amici hanno figli ormai più grandi di lui, né ci sono cuginetti o cuginette).

 

Io cerco di portarlo il più possibile fuori, ai giardinetti, e anche in alcune strutture che, nella mia città, organizzano una volta la settimana dei momenti di incontro tra bambini di fasce omogenee di età, ma mi chiedo se sia sufficiente: ogni volta che Davide vede un bambino, manifesta con gesti e gridolini la propria eccitazione, e anche se la maggior parte delle volte raccoglie una certa indifferenza, specie quando rivolge le proprie attenzioni a bimbi più grandi di lui, non demorde, e mi fa una grande tenerezza.

 

Devo dire però che la stessa eccitazione compare alla vista di un animale, dunque mi chiedo se sia da imputarsi ad un precoce desiderio di socializzazione (ha senso parlare di "socializzazione" anche per bambini così piccoli?) oppure al piacere nel vedere dei "cuccioli", umani o animali che siano, in movimento.

 

Un altro dubbio che mi coglie riguarda l’autonomia e l’egocentrismo del mio bambino: come spesso accade ai figli unici, e ancor più se tanto a lungo desiderati, anche Davide è oggetto di attenzioni e premure da tutti quelli che lo circondano, e sta crescendo circondato da una perenne aurea di amore e di accettazione. Sono più che certa che non si vizi un bambino amandolo, e devo dire che il carattere gioioso, fiducioso e sorridente anche verso gli estranei, estroverso del mio bambino ne sia una riprova, così come il fatto che ogni sera si addormenti tranquillo nel suo lettino (da sempre) e dorma tutta la notte mi fa pensare che durante il giorni "accumuli" una serenità sufficiente a fargli affrontare bene la notte (ma sicuramente siamo anche stati fortunati).

 

Però è anche indubbio che Davide sta crescendo sentendosi un po’ al centro del mondo, perché, in fondo, gli adulti che stanno con lui si occupano solo di lui, cosa che non accadrebbe in una struttura come un nido in cui ogni educatrice deve badare a più bambini. Noi cerchiamo di favorire la sua autonomia predisponendogli, in casa, degli spazi dove giocare anche da solo, e quando sbrigo le faccende domestiche cerco di "andare e venire" da lui, in modo che si abitui all’idea che ognuno, in casa, ha le sue cose da fare, ma mi chiedo se sia abbastanza.

 

Da qualche tempo poi il nostro bambino sta cominciando a manifestare degli atteggiamenti oppositivi che io chiamo "capricci" (ma non so se possano definirsi davvero tali): se, ad es., lo si interrompe in un’attività a lui gradita (come sguazzare facendo il bagnetto perché è ora di asciugarsi) oppure gliene si propone una necessaria (come sedersi sul seggiolone perché è ora di mangiare), protesta con vere e proprie "sceneggiate napoletane", brevi ma intense.

Naturalmente io cerco di passare con gradualità da un’attività all’altra, ma sono anche dell’avviso che non lo si possa sempre assecondare: ecco, mi chiedo se l’inserimento in un ambiente di comunità non gli renderebbe più semplice l’acquisizione di questo principio, mitigando con le regole del gruppo il naturale egocentrismo di ogni bambino.

 

Mi scuso ancora una volta, cara dottoressa, per la lunghezza di questa mia mail, e attendo fiduciosa la sua risposta, che sono certa saprà dare a me e a tanti altri genitori che vivono simili dilemmi utilissimi spunti di riflessione.

 

Le mando un caro saluto e le rinnovo la mia stima.

 

Valentina Giannini

 

 

 

 

Concordo con il parere del tuo pediatra per quanto riguarda l’inserimento oggi del tuo bimbo all’asilo: fino al compimento del secondo anno di vita, infatti, a mio parere l’asilo nido, pur struttura ottimale per spazio, strumenti ludici ed educativi, presenza di personale competente e via discorrendo, è strumento indispensabile più ai genitori che che al bimbo stesso anche se, indubbiamente, costituisce un importante fonte di stimoli per il bambino che, però, socializzerebbe più compiutamente, si esprimerebbe, dialogherebbe e metterebbe a frutto quanto vissuto all’asilo molto di più dal secondo anno di vita in poi che non nei primi due anni.

 

Per quanto riguarda le malattie, poi, è senza dubbio vero che il primo anno di inserimento in comunità espone sempre il bimbo ad un maggio rischio di malattie ripetute, che il bimbo abbia uno, due, tre o più anni ed è altrettanto vero che quando il primo anno è ad uno o due anni di vita tale rischio è maggiore rispetto ad un primo inserimento iniziato al terzo o quarto anno quando, anche senza troppo frequentare una comunità, un bambino ha, bene o male, sviluppato autonomamente parte delle difese immunitarie che alla fine del primo o del secondo anno certo non possono esserci, però io non ne farei una questione così discriminatoria e non avrei troppa paura delle possibili malattie che, in fondo, contribuiscono a sviluppare una sostanziosa e valida immunità futura, cioè, potendo scegliere liberamente l’età di introduzione del bimbo al nido perché nella possibilità di assumere una tata di fiducia o di appoggiarsi a qualche nonno, io non aspetterei i tre anni, cioè la scuola materna, ma se il bimbo è sveglio e molto desideroso di socializzare, tenterei il suo inserimento al nido al compimento del secondo anno di vita, succeda quel che succederà, magari optando per il part time e tenendo comunque la tata per il pomeriggio.

 

I bambini di oggi sono molto stimolati sia da una educazione più moderna impartita dai genitori, sia da una infinità di occasioni di apprendere e di stimoli che provengono da un modo diverso di comunicare che hanno gli adulti sia tra loro che con i loro figli, dalla televisione quasi sempre accesa in casa, dai giochi spesso tecnologici che ricevono e via discorrendo e maturano precocemente: pertanto, al compimento del secondo anno di vita, spesso assumono atteggiamenti e capacità comunicative sorprendenti, anche quando il linguaggio non è ancora perfettamente maturato e la loro intelligenza è vivace così come la loro spiccata curiosità per gli altri e per il nuovo.

 

Pertanto, specie se cresciuti circondati da mille attenzioni come possono essere i figli unici, quindi sicuri di essere adeguatamente amati dai genitori, cioè sicuri di sé, affrontano di solito con molta gioia l’inserimento in comunità quando riescono ad esprimersi anche solo parzialmente con il linguaggio. Naturalmente è possibile che sia necessario un periodo di alcune settimane di prova per l’inserimento, periodo che alla scuola materna potrebbe essere ridotto, ma superato il momento, credo che siano più i vantaggi che gli svantaggi, anche se si dovesse ammalare un po’ più spesso.

 

Naturalmente l’asilo non è un obbligo e tanti bambini ne fanno a meno senza per questo presentare squilibri, ci mancherebbe altro! Ma la mia esperienza mi dice che tra i due e i tre anni ogni momento è buono per immettere un bimbo in una comunità.

 

Per quanto riguarda i suoi atteggiamenti egocentrici: sono più che naturali a questa età così com’è naturale che un bimbo sia circondato di affetto e premure purché tutto ciò non vada oltre il buon senso e non soffochi con eccessivi atteggiamenti protettivi o con la mancanza totale di rimproveri, quando dovuti, la normale intraprendenza del bimbo che si spinge a volte fino a provocarli i rimproveri e i fatidici no, proprio per capire dove si nascondono, per fare ordine nella sua mente e conoscere quali sono le cose "no" e le cose "sì".

 

Tutto questo sarà molto più evidente verso il secondo anno, mentre i capricci attuali sono fondamentalmente espressione di una crisi di crescita iniziata verso l’ottavo mese, nel momento della presa di coscienza di essere un "soggetto" "altro" rispetto alla madre e non più in simbiosi totale con essa.

 

La ricerca dei suoi nuovi confini che separano e definiscono la sua identità rispetto alla realtà esterna "altra" da sé, la presa di coscienza di questo nuovo stato esistenziale fatto di interiorità e di esteriorità, si inserisce e si sovrappone all’esperienza del distacco dalle braccia materne e dalla totale dipendenza dalla madre attuato dall’inizio della deambulazione autonoma, gatton amento compreso.

 

Per di più, questa nuova entità costituita dalla sua interiorità di cui sta prendendo coscienza è vissuta in un certo senso come un vuoto, un nuovo spazio che, oltre a dover essere esplorato, deve essere riempito; riempito di sentimenti, di nuove sicurezze, di fantasmi buoni contrapposti a quelli cattivi rappresentati dalle nuove paure, di capacità di amare intesa come capacità di andare verso l’oggetto d’amore che, non essendo più dentro di sé, deve ora essere ogni volta raggiunto e conquistato.

 

Nulla è più automatico e semplice come un tempo quando tutto era dovuto, anzi, tutto "era" e basta, senza limiti, senza barriere, senza fratture tra dentro e fuori. Riempito anche di libertà perché se, altrimenti, le braccia materne continuassero a circondarlo perennemente come succedeva prima, risulterebbero soffocanti e impedirebbero la naturale evoluzione della personalità. Allora il bimbo vive un conflitto tra nostalgia di questo abbraccio rassicurante e spinta in avanti alla conquista del mondo, tra una tentazione di tornare indietro e una spinta irrefrenabile alla conquista del nuovo.

 

Questo conflitto, sovrapposto alla fatica di tenere a bada dei fantasmi interiori angosciosi, di un vuoto in qualche modo minaccioso di una sua integrità psichica ancora non consolidata rende il bambino emotivamente più instabile di prima e apparentemente più desideroso di conferme affettive, quindi egocentrico. È un egocentrismo fisiologico che non va represso ma nemmeno mantenuto così com’è assecondandolo eccessivamente. Si tratta di una fase obbligata che va innanzitutto accettata e capita per poi aiutare il bambino a superarla con l’educazione autorevole, con il dialogo, con la coerenza e con l’esempio, ma in modo particolare un po’ più in là, verso il secondo anno, quando la necessità dei famosi "no" che aiutano a crescere si farà maggiormente sentire.

 

Nel frattempo aiuta il bimbo a ben gestire questo suo periodo senza dare troppo spazio alle sue inevitabili piccole o grandi crisi e senza troppo farti sconvolgere dai suoi pianti, anche se sono comportamenti nuovi che prima non aveva. Se piange quando rimane da solo lasciagli un po di tempo affinché metta in atto le sue risorse personali di autoconsolazione che diventeranno le sue sicurezze future prima di accorrere; quando piange perché ti allontani o esci per un po di casa senza di lui, non lasciarti prendere dall’emozione o dai sensi di colpa ma al tuo ritorno mostrati a legra e felice di ritrovarlo.

 

Abitualo alle tue assenze, prima brevi, poi sempre un po più prolungate e ricordati che l’abitudine si instaurerà tanto prima quanto tu sarai regolare negli orari e nella durata delle assenza stesse così che il bimbo abbia modo di memorizzarle e di prevederle. Quando avrà imparato a prevederle avrà anche imparato a prevedere il tuo ritorno e quando esso si verificherà sarà lui il primo ad esserne felice e non più stupito.

 

Ugualmente per il bagnetto: se lo tirerai fuori dall’acqua sempre dopo lo stesso numero di minuti anche se protesterà e farà i capricci e continuerai a non dare peso al pianto ma gli sorriderai parlandogli dolcemente distraendolo con un gioco preferito, prima o poi nella sua mente il bagno diventerà una esperienza con una sua connotazione particolare, con un inizio e una fine ben determinati e il bimbo imparerà piano piano a separarsi anche da qualcosa di piacevole così come ha imparato a separarsi dal suo oggetto principale di amore che sei, appunto, tu.

 

Le frustrazioni, quindi, aiutano l’apprendimento e l’autonomia del bambino e compito del genitore è appunto quello di traghettare il bimbo da una esperienza all’altra affinché sappia guardare sempre avanti e non si fissi troppo in modo a volte nevrotico o eccessivamente ansioso su situazioni esistenziali da lui percepite come sicure a discapito di nuove esperienze che inizialmente lo preoccupano perché sconosciute, ma dalle quali è bene che si senta inevitabilmente attratto.

 

La vita è un po come un pellegrinaggio in questo mondo: bisogna camminare molto, avere carattere per non cedere alla fatica, imparare ad affiancarsi ad altri che percorrono la stessa strada per scambiare parole, informazioni, aiuto, esperienze e soprattutto bisogna darsi una meta e stabilire un percorso.

 

Tutto questo sarà tanto più agevole quanto più il pellegrino sarà equipaggiato in modo leggero, rinunciando a zavorre, comodità, abitudini a favore soltanto di quanto può essergli realmente utile per progredire verso la meta e queste rinunce saranno tanto più agevoli da compiere quanto più in passato si sarà fatta esperienza di rinunce e si avrà fatto un buon carico di ricchezze interiori che aiuteranno a sbarazzarsi delle zavorre.

 

Verso il secondo anno di vita, quando il bimbo comincia a sentirsi stabile sulle sue gambe, il viaggio può iniziare ed è un viaggio che tutta la famiglia compie assieme a lui se vuole veramente educarlo alla vita e se vuole vivere pienamente la genitorialità. Un caro saluto, Daniela

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