Bimbo “manesco”

Salve, sono mamma di un bimbo che compirà tre anni a fine ottobre. E’ un bambino bravissimo e non particolarmente capriccioso.. piuttosto precoce rispetto all’età, sia come linguaggio che come sviluppo fisico (è alto 102cm!!). Il nostro attuale “problema” riguarda il fatto che il mio piccolo ha ogni tanto comportamenti un po’ aggressivi sia con noi che con i bimbi con cui si relaziona. A dire il vero è una caratteristica che lo contraddistingue fin da piccolino… ogni tanto qualche scappellotto agli amichetti volava… ed ora ci siamo specializzati sui pizzicotti, dati senza motivo… non come conseguenza ad azioni commesse dagli altri. Noi genitori ogni tanto, gli molliamo qualche scappellotto, quasi sempre in risposta a questi suoi atteggiamenti, ma è un bimbo che non ha mai preso “botte” nel vero senso della parola… solo qualche pacca sul culetto….Da dove deriva questo suo atteggiamento? Come mi devo porre nei suoi confronti per aiutarlo a capire che è sbagliato? Ho provato a sgridarlo, a punirlo, a spiegargli che i suoi gesti provocano dolore agli altri… ma niente. Come posso fare? Grazie mille in anticipo

Silvia

 

 

Cara Silvia, non è semplice, per me, rispondere al tuo quesito: sono una pediatra e non una psicologa, non conosco il bambino, non conosco te e non conosco l'ambiente famigliare in cui vive il bimbo. So però che comportamenti considerati aggressivi e fastidiosi, anche solo sotto forma di innocui pizzicotti, sono spesso indice di un disagio del bambino o della sua difficoltà ad esprimere tensioni e stati d'animo che meritano attenzione e risposte tutt'altro che standardizzate o sentenziose.

Se vogliamo chiamare violente queste sue manifestazioni, bisogna sapere che due condizioni di fondo producono violenza negli esseri umani: la persona può essere stata ferita, anche solo da una sculacciata e da una certa indifferenza emotiva ai suoi pianti conseguenti alla sgridata o ad una sua richiesta rimasta inevasa, cioè ad una frustrazione, e/o può avere un accumulo di piccole sofferenze emotive, sfumature anche lievi, piccole incomprensioni, piccoli momenti di mancata empatia con l'ambiente o con la madre che a lungo andare producono stress e tensioni mal gestite dal bambino stesso. Un effetto combinato di ansie mal comprese dal genitore, di delusioni magari minimizzate o di frustrazioni infantili che, per forza di cose, il processo educativo del bambino spesso impone. Ma una sgridata ad un bambino che ha sviluppato una base affettiva sicura con i genitori e, in particolare, con la madre, sarà vissuta in modo molto diverso da un bambino che, invece, non gode della stessa sicurezza affettiva o della stessa coerenza educativa.

Al bambino considerato violento potrebbe non essere stato consentito di liberarsi completamente e di sfogare le emozioni provocate dalle sofferenze emotive vissute inevitabilmente durante la sua crescita. Per esempio, potrebbe essere stato sgridato senza troppe spiegazioni e lasciato piangere poi da solo nella sua cameretta senza la presenza di un sostegno emotivo e la possibilità di parlare dopo essersi sfogato.

Ti faccio un esempio: un bambino gioca con altri compagni sotto il controllo di un adulto: improvvisamente afferra un oggetto duro considerato pericoloso e sta per lanciarlo sull'amichetto  per colpirlo. L'adulto se ne accorge e ferma il gesto afferrando il bambino per il polso. Il bambino prima si dimena per svincolarsi poi, non riuscendovi, comincia a strillare e ad agitarsi sempre di più tirando fuori una grande rabbia. L'adulto non molla ma non alza la voce né punisce il bambino con sculacciate: semplicemente lo contiene nella sua aggressività con brevi frasi di spiegazione tipo: no, questo non si fa perché pericoloso, rimandando ad un tempo successivo la spiegazione più dettagliata. Il bambino, rendendosi conto della sua impotenza, comincia a piangere prima continuando a strillare, poi solo singhiozzando. L'adulto continua a tenerlo e a contenerlo. Non lo consola ma sta lì, lo può tenere forte vicino a se, non lo punisce mandandolo in un'altra stanza o approfittando del calo di energia del bambino che fino a quel momento si era dimenato, sostiene il suo pianto che scioglie l'aggressività senza inibirlo, ne aspetta la fine senza alterarsi. Alla fine il bambino si sarà sfogato e non si sarà sentito solo. A bambino calmo, poi, a secondo dell'età, si potrà riprendere il ragionamento, oppure rimandarlo ad altra occasione cercando di fare parlare il bambino per capire il motivo di tale atto aggressivo. Dopo averlo ascoltato riprenderà la spiegazione delle motivazioni che lo hanno indotto a bloccargli il gesto violento. Ma sempre con calma, senza alzare la voce.

E' vero che uno scappellotto a volte può essere risolutivo e che quanto detto fin'ora è in apparente contraddizione con la necessità di dire senza scrupoli quei famosi "no" che fanno crescere, ma non si può dare una risposta violenta per contrastare un atto violento, la violenza non può che generare violenza, piccola o grande che sia. Il bambino non è violento per natura, la violenza è solo l'espressione distorta della rabbia e della paura di una persona che vive in un ambiente in cui è considerato come non prudente rivelare sentimenti forti o troppo intimi vuoi perché ha fatto esperienza di non ascolto vuoi perché ha fatto esperienza di non comprensione o di comprensione distorta dei suoi problemi e delle sue richieste.

Per fermare la violenza, quindi, niente sculacciate o percosse: la fermezza si può e si deve esprimere in altro modo. Percuotere un bambino, anche solo sul sederino o sul pannolino, se non è per gioco o per una sfida giocosa e allegra, è indice di non autorevolezza, è da considerarsi un piccolo fallimento per il genitore che deve, piuttosto, mostrarsi triste e molto deluso dal comportamento del bimbo, così da suscitare in lui rimorsi e paura di perdere l'affetto del genitore. Vorrà quindi riconquistare a tutti i costi questo affetto e capirà che per farlo non ha altra scelta che comportarsi come il genitore vuole. Ridimensionerà quindi il suo comportamento e diventerà affettuoso e socievole. La mamma si rallegrerà di questo e lui si sentirà fiero del suo comportamento e sicuro di se e dell'affetto del genitore. In caso contrario, il bambino, invece di sentirsi in colpa per l'azione che non doveva compiere, si sentirà a sua volta, non solo vittima di violenza, ma vittima delle sue stesse tensioni e sofferenze emotive che in lui si accumuleranno per poi continuare a riversarsi su altri adulti o bambini, quando non su se stesso con atti di autolesionismo, innescando una spirale viziosa che non porterà da nessuna parte e soprattutto non sarà educativa.

In questo anche la scuola ha le sue responsabilità, così come le ha l'ambiente famigliare se in casa si alza la voce o si discute davanti al bambino, incuranti del disagio che può provocare il litigio o la tensione famigliare, se si lascia il bambino troppo solo sia davanti al televisore senza controllo né del tempo né della qualità dei programmi, se non si è molto disponibili per il gioco condiviso, magari per stanchezza o per noia, e lo si lascia giocare troppo da solo, se non si ha l'abitudine di ascoltarlo anche da piccolo e la pazienza di conversare con lui, se non gli si leggono mai favole ma lo si mette davanti a un dvd o ad una cassetta di cartoni, se quando piange si dimostra fastidio e nessuna voglia di accoglierlo e ascoltarlo, se in casa non vi sono regole abbastanza precise, sia riguardo ai comportamenti che agli orari dei pasti, se vige spesso quella confusione di atteggiamenti e quella incostanza nelle risposte date al bambino che indica una insufficiente presa di coscienza del valore e dell'orientamento da dare ad ogni azione e ad ogni momento di esperienza.

Potresti non riconoscerti in quanto detto fin'ora ma io non ti conosco e ho dovuto parlare in modo generico: in linea di massima, infatti, gli atteggiamenti violenti dei bambini, riconoscono queste motivazioni generali.

Un caro saluto, Daniela

 

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