Lo sviluppo del linguaggio

sviluppo del linguaggioSapere utilizzare il linguaggio è una delle maggiori abilità che distinguono l’uomo da tutti gli altri esseri viventi. Anche gli animali comunicano tra loro, ma lo fanno con un repertorio di gesti, di versi e di richiami, che, pur se interessante da studiare, in realtà, è molto limitato e utile solo a scambiare comunicazioni semplici e molto specifiche come, per esempio, richiami di allerta o pericolo, di invito ad unirsi al branco o minaccia di aggressione se un animale si avvicina troppo e così via.

L’essere umano, invece, da un numero relativamente limitato di suoni di per se stessi privi di significato, può creare fino ad alcune migliaia di elementi sonori significativi come sillabe e parole che, combinate secondo regole grammaticali, possono creare una quantità pressoché illimitata di messaggi.

Per di più, nell’essere umano, il linguaggio, oltre che strumento di comunicazione tra persone, è anche un raffinato strumento inventivo: ciò che diciamo e ascoltiamo non è, infatti, una semplice ripetizione di quanto precedentemente ascoltato o detto, il nostro linguaggio è spesso creativo, possiamo inventare sempre nuove storie, dire bugie, elaborare nuove idee, ecc. E i nostri messaggi verranno intesi e recepiti solo a patto di rispettare le regole e le convenzioni della nostra lingua.

Alla base dello sviluppo linguistico bisogna, quindi, che si sviluppino 4 tipi di conoscenza: la conoscenza delle fonologia, della semantica, della sintassi e della prassi.

La conoscenza fonologica significa conoscenza dei fonemi che sono le unità fondamentali del suono e che vengono tra loro combinate variamente per produrre parole e frasi.

I bambini devono apprendere, non solo ad udire, ma anche a pronunciare un certo numero di fonemi per poterli riprodurre dando loro un significato e non solo a caso, per pura imitazione.

Mamma (ma-ma) e pappa (pa-pa) vengono, infatti, prima pronunciati, nel periodo della lallazione, come pura imitazione dei suoni già sentiti e famigliari, solo più tardi acquisteranno il loro vero significato semantico e simbolico.

Attraverso la conoscenza semantica, il bambino apprende, appunto, che i fonemi singoli non hanno un significato preciso e che esso viene ottenuto solo dal loro combinarsi in parole. Così ma-ma diventa mamma e pa-pa diventa pappa o papà a secondo della pronuncia e del contesto e topo, per esempio, diventa l’animale che ben conosciamo in modo arbitrario, solo perché, per convenzione, nella nostra lingua si chiama così.

La semantica riguarda quindi il significato delle parole e delle frasi. Prima di comprendere il linguaggio degli adulti e di essere a loro volta compresi, i bambini debbono rendersi conto che le parole sono portatrici di significato in quanto si riferiscono ad oggetti o ad azioni.

È poi necessaria la conoscenza della sintassi, di quell’insieme di regole, cioè, che indicano in quale modo bisogna combinare le parole per formare una frase dal significato voluto. Il bambino deve capire che la frase: “la mamma culla il bimbo” cambia significato se si invertono le parole e si dice: “il bimbo culla la mamma”. Non basta, quindi, imparare il significato delle parole con la conoscenza semantica: bisogna anche saperle abbinare in modo corretto con la conoscenza della sintassi.

In ultimo vi è la conoscenza della prassi o conoscenza pragmatica. Non basta ancora conoscere la fonologia, la semantica e la sintassi per organizzare il linguaggio: bisogna che il discorso che si intende pronunciare sia adeguato e specifico per il suo contesto. Per esempio: un fratello maggiore che desidera raccontare la trama di un film o di un libro che ha appena letto lo farà con modalità e parole diverse se vorrà raccontarlo alla mamma piuttosto che al fratellino più piccolo.

Quindi, al fine di poter comunicare in maniera efficace, i bambini devono tener conto della situazione in cui si trovano, delle persone con le quali stanno parlando e via discorrendo.

Al di là delle numerose teorie che hanno tentato di spiegare l’origine del linguaggio nell’uomo (teoria innatista che presuppone nell’uomo capacità comunicative innate di natura neurobiologica, teoria comportamentista che attribuisce maggior importanza all’ambiente e all’apprendimento, teoria di Piaget che ritiene il neonato non in possesso di una struttura linguistica innata e considera il linguaggio il prodotto di uno sviluppo cognitivo del bambino prima assalito da stimoli indifferenziati e caotici e poi sempre più da lui organizzati in schemi sia sensoriali che motori in seguito interiorizzati e trasformati in simboli attraverso il linguaggio), i bambini normali sembrano predisposti all’utilizzo del linguaggio perché sin dalla nascita mostrano spiccato interesse per il volto e la voce umana piuttosto che per altri suoni. Si calmano molto di più e prima ascoltando la voce di un adulto piuttosto che una musica strumentale, riconoscono, per averla ascoltata a lungo in utero, la voce materna in mezzo ad altre voci femminili con simile intonazione.

In ogni caso, comunque, lo sviluppo normale del linguaggio richiede, in primis, l’integrità di tutto l’apparato fonologico, compreso l’apparato uditivo nel suo insieme, poi lo sviluppo morfologico e della funzionalità fine del laringe, delle labbra, della lingua, della mandibola e del palato, l’integrità del sistema nervoso centrale per quanto riguarda le acquisizioni cognitive e l’apporto dell’ambiente inteso come occasioni di identificazione con altri bambini o adulti. Nello sviluppo del linguaggio, la capacità di socializzare, le abilità percettivo-motorie e cognitive, interagiscono strettamente tra loro, ciascuna influenzando l’altra in modo sottile e poco differenziabile tanto che risulta sempre difficile stabilire cosa influenzi maggiormente cosa.

Il bambino, ovviamente, non inizia a comunicare con l’ambiente solo quando impara le prime parole: prima del terzo anno utilizza un sistema di comunicazione non verbale molto espressivo costituito dal pianto, che con i mesi diventa sempre più modulato ed espressivo di stati d’animo e bisogni differenti, con grida di richiamo, con la mimica del viso, con i gesti, gli sguardi, i sorrisi, gli atteggiamenti del corpo che costituiscono, nel loro insieme, quella comunicazione non verbale che si manterrà poi per tutta la vita anche dopo l’acquisizione completa del linguaggio verbale, in situazioni limite come per farsi capire all’estero quando non si conosce la lingua o, in momenti di massima, emozione con il rossore o le lacrime.

Durante i primi 15-18 mesi, fase considerata di pre-linguaggio, il bambino è occupato a sviluppare e maturare le sue capacità motorie sia generali, di tutto il corpo, che, in particolare, quelle degli organi responsabili della fonazione. Questi ultimi, oltre a modificarsi in forma e grandezza e mutare quindi i rapporti tra loro in senso più congeniale alla corretta fonazione (lingua inizialmente troppo grossa rispetto al cavo orale, laringe troppo alto, ecc.), sviluppano una motilità molto più raffinata mese dopo mese. È occupato, inoltre, a immagazzinare e ricordare suoni per poterli riprodurre e soprattutto è occupato a dare loro un significato. Lo sviluppo della percezione dei suoni e della capacità di riprodurli fornisce, infatti, la base essenziale per lo sviluppo del comportamento simbolico e per l’acquisizione degli aspetti grammaticali del linguaggio.

La percezione uditiva corretta ed un buon controllo dei muscoli della bocca e del laringe debbono essere sviluppati ad un certo livello prima che il linguaggio possa emergere; è così anche per la percezione visiva e per le abilità manuali che rappresentano la base per la successiva comparsa del linguaggio gestuale.

In questi primi mesi di vita, infine, sono fondamentali le interazioni sociali con l’ambiente, con i famigliari, con i fratelli maggiori, tutti portatori di un bagaglio ricchissimo di stimoli interessanti. È proprio l’ambiente che circonda il bambino, con la sua capacità di ascolto e di accoglienza, con la sua abilità di mettersi in sintonia con le modalità comunicative del bambino rispondendo adeguatamente ai suoi richiami e facendo da cassa di risonanza delle sue modalità espressive, diventa il più importante stimolo maturativo delle capacità prima comunicative poi linguistiche del bambino stesso.

Man mano che passano i mesi, il bambino, prima sostiene il capo, poi afferra gli oggetti a portata di mano, poi acquisisce la posizione seduta, affina le sue capacità visive e l’orizzonte attorno a lui si apre alle sue conquiste e alla consapevolezza che esiste un mondo fuori da se, una realtà che non è più un tutt’uno con quella del bambino ma bensì separata.

Questa graduale presa di coscienza di un sé altro dal resto del mondo favorisce il desiderio di comunicare con questa nuova realtà. In questo contesto di forte capacità ricettiva, quando già a un mese di vita il lattante sa discriminare suoni diversi come da e ta, un adulto che parla nella lingua udita in utero da un adulto che parla in una lingua straniera in quanto ne riconosce le caratteristiche ritmiche espressive e prosodiche, verso il sesto mese di vita inizia il periodo della lallazione, cioè della produzione ripetuta di quelle stesse sillabe che già da tempo aveva imparato a discriminare.

Arrivano prima sillabe isolate come ma, pa, ta, poi riunite in mamama, papa, ata, ecc. Questi suoni non hanno ancora un significato dal punto di vista linguistico, però esprimono il desiderio di comunicare, mediante variazioni espressive del loro ritmo e della loro melodia, stati d’animo diversi come gioia, rabbia o dolore.

La lallazione è inoltre motivo di gioco vocale con l’adulto che, sollecitando a sua volta  il bambino con l’imitazione dei suoi stessi suoni, lo induce a produrne altri. Il bambino, in questo stadio, non ha ancora intenzionalità: quando pronuncia ma-ma non vuole intendere mamma, però vuole richiamare l’attenzione con questa sua nuova modalità: la produzione verbale anziché il solo pianto o le sole grida. La produzione ripetuta della stessa sillaba avviene in concomitanza con una importante, nuova abilità motoria: quella di battere ripetutamente un piano o un oggetto con un altro oggetto che tiene in mano. E la sua produzione sillabica è favorita dall’imitazione del rumore ritmico prodotto dall’oggetto sbattuto.

In questo periodo il bambino ama molto attirare l’attenzione dell’adulto ed è consapevole sia dei segnali di approvazione delle sue azioni che anche dei no di divieto. È il periodo in cui ama le filastrocche, meglio se contenenti anche il suo nome, quelle che indicano alcune parti del corpo e quelle che accompagnano la narrazione con movimenti del corpo come:”vola vola farfallina”, “trotta trotta cavalluccio”.

Questi giochi con forme narrative semplici rinforzate dal movimento, proposti in un periodo molto imitativo e con la capacità di discernere tra varie emozioni suscitate dalle storielle sono molto utili per insegnare al bambino l’alternanza, cioè, adesso parlo io, quando ho finito parli tu: il bambino, dopo varie ripetizioni, impara la filastrocca e, se viene interrotta all’improvviso, scalpita perché si arrivi alla fine che per lui è divertente, anticipandola con gridolini e calcetti. Prima l’ascolto, quindi, poi l’esperienza del silenzio nel quale subentra con le sue modalità espressive, poi la soddisfazione della ripresa della storia fino alla sua conclusione.

Verso la fine del primo anno, le produzioni vocali del bambino sono via via sempre più intenzionali e ricche di significati espressivi anche se l’adulto, spesso, fa fatica a decifrare il linguaggio (madri escluse che, in questo senso, sviluppano una intuizione particolare). È il passaggio dalla fase pre-linguistica alla fase linguistica vera e propria. Si parla, in questo caso, di proto-linguaggio.

Per poter affermare che il bambino sta pronunciando veramente una parola intenzionale quando dice, per esempio, “tu-tu” per indicare una macchina o “ciù-ciù” per indicare un uccellino che cinguetta, bisogna che pronunci questa stessa parola ogni volta che vuole indicare quell’oggetto o quell’animale. Si tratta della fase onomatopeica che coincide con l’importante capacità di dare un significato simbolico alle cose: tu-tu o brum-brum saranno sempre un’ automobile, anche se di forma, colore o grandezza diverse.

Il bambino avrà introiettato l’idea di automobile nella sua mente e sarà la sua prima classificazione di oggetti e cose per categorie. Verso i dodici mesi il bambino impara ad indicare prima ancora che a parlare. Questa sua acquisizione è importantissima perché permette alla madre di capire quello che il bambino vuole e consegnargli l’oggetto accompagnandolo col nome.

Ma con quali strategie i bambini attribuiscono un significato alle parole? Quali sono le modalità del loro primo sviluppo semantico? I bambini fanno più attenzione agli oggetti indicati con il loro nome piuttosto che a quelli semplicemente indicati: le denominazioni rendono, in qualche modo, gli oggetti più interessanti e degni di attenzione. Si tratta del periodo della cosìdetta “identificazione rapida” dell’oggetto, durante il quale può compiere degli errori di ipo o iper estensione: per esempio, il bambino può utilizzare la parola “cane” per indicare tutti gli animali (iperestensione), oppure la parola “dolce” per indicare solo la cioccolata (ipoestensione).

Per classificare un oggetto in una categoria di oggetti, il bambino deve poterne fare esperienza con tutti i suoi sensi: deve poterlo vedere, toccare, annusare, manipolare, assaggiare, far cadere, ecc. Deve poterne fare esperienza totale, deve poterlo percepire come oggetto occupante uno spazio (inizio della visione tridimensionale e non solo piatta), deve poterne mettere a confronto le dimensioni con quelle del proprio corpo, la velocità – se si tratta di oggetto semovente – rispetto a quella che lui è in grado di raggiungere; deve essere in grado di dare alle cose un senso “a tutto tondo”.

Tra i dodici e i quindici-diciotto mesi il bambino usa quindi le prime parole dotandole di significato: indica e nomina varie parti del suo corpo, indica alcune persone con il loro nome, dice ciao. Ma sa anche chiedere acqua e pappa e comprende un gran numero di parole anche se non le sa pronunciare: le indica su richiesta così come esegue ordini semplici tipo: “da”, “porta”, “lascia”. A livello di pensiero possiede già la frase organizzata, ma per esprimerla usa solo una parola significativa accompagnata magari dal gesto che mima l’azione. Per esempio, se vuole una mela non dice “dammi mela”, dice solo il nome del frutto e lo indica con la mano, oppure dice “da” e indica il frutto. In entrambi i casi avrà formulata nella sua mente l’intera frase senza essere in grado di articolarla.

Successivamente, il bambino impara a minare la frase che ha in mente con gesti sempre più complessi rispetto al semplice indicare allungando, per esempio, un braccio e contemporaneamente, sempre utilizzando una sola parola per volta, utilizza una parola o un verbo che indica un’azione. Per esempio dice:” prendi”, “vieni”, “da”. In questa fase capisce benissimo le parole di divieto come “no”, “fermo”, “basta”, ecc.

Le prime combinazioni spontanee di due parole compaiono verso il secondo anno e sono del tipo nome + nome: “papà brum” o “papà via” per indicare che il papà ha preso la macchina e è andato via, oppure usa nome + aggettivo, “mamma buona”, “palla gialla”. In questo stadio pronuncia, in media, 50 parole ma ne capisce più di 200.

Man mano che il vocabolario e la sintassi si arricchiscono, diminuisce la gestualità. A volte le parole della loro frase sono pronunciate solo nella loro parte iniziale, a volte ancora storpiate, ma la comprensione dei discorsi aumenta notevolmente.

Verso i 30-36 mesi, il linguaggio parlato si fa sempre più spedito e l’ambiente che circonda il bambino si fa sempre più importante per le acquisizioni implicite di un numero sempre maggiore di parole, di una corretta sintassi, di una corretta semantica e pragmatica. Alcune lettere di una parola possono ancora essere pronunciate male a dispetto di un linguaggio già molto proprio e complesso. La corretta pronuncia arriverà quando il bambino avrà assimilato un numero sufficientemente alto di parole.

Per quanto riguarda la corretta pronuncia, si sa che le consonanti labiali come p, b, m, sono le prime a essere pronunciate correttamente e che una determinata consonante può essere pronunciata bene o male, se non addirittura omessa, a secondo della posizione che ha all’interno della parola. Per esempio, se un bambino deve dire latte può, dapprima, pronunciare solo atte omettendo la elle perché si trova all’inizio della parola e forse, per lui, non è fondamentale per la comprensione del significato della parola stessa, mentre se deve dire palla la pronuncia correttamente perché la elle si trova al centro della parola.

 

Nell’osservare i progressi del linguaggio di un bambino è inoltre importante valutare la proprietà di linguaggio più che il numero di parole conosciute che riesce ad articolare e in che modo usa le parole stesse. Per esempio, all’inizio della verbalizzazione, le parole sono usate nel contesto dell’azione che il bambino intende rappresentare: il bambino dice pappa mentre sta mangiando. In seguito, la parola stessa è usata come anticipazione o come ricordo. Palla può significare: “andiamo a giocare a palla” o “abbiamo appena finito di giocare a palla”. In uno stadio successivo, poi, senza nesso temporale, il bambino può dire “papà” e indicare un oggetto che appartiene al papà, come le scarpe o la giacca.

Questi sono i progressi da osservare, più che il numero crescente di parole che il bambino impara a pronunciare. Questi progressi cognitivi corrispondono ai progressi che avvengono nella acquisizione dei concetti di spazio e di tempo (sopra-sotto, dentro-fuori, prima-dopo). Il linguaggio diventa così, contemporaneamente, apprendimento e strumento di pensiero.

Per insegnare nel modo più efficace il linguaggio al bambino è bene, infatti, insegnare contemporaneamente sia a fare che a dire; non tanto insegnare le cose quanto insegnare “attraverso” le cose. Ed è fondamentalmente attraverso il gioco che tutte queste esperienze si concretizzano.

C’è, infatti, uno stretto parallelismo tra sviluppo del gioco, uso delle parole e apprendimento delle regole ad esse correlate. Attraverso l’esplorazione orale prima (mette tutto in bocca), e la manipolazione poi (prende, butta in terra, rigira tra le mani, smonta), il bambino, non solo impara a conoscere gli oggetti, ma apprende anche la loro funzione e il loro nome. È quindi importantissimo il gioco interattivo con l’adulto per rinforzare, incoraggiare, finalizzare e dare significato ad ogni gesto del bambino e ad ogni sua attività ludica.

Così come quando il bambino sfoglia una rivista per il solo piacere motorio e per il fruscio buffo che fanno le pagine è importante sfruttare la sua attenzione per indicargli i colori, i disegni, le forme delle illustrazioni e dare loro un nome. È importante fare diventare occasioni di gioco tutte le attività quotidiane e tutti gli oggetti di uso comune, così un cellulare diventa un’automobile, una foglia una barchetta e così via…

Per un bambino, la ripetizione a scopo ludico dei gesti quotidiani di un adulto è infinitamente più creativa del gioco preordinato e precostituito suggerito da un giocattolo complesso e articolato, magari anche estremamente costoso. E comunque, anche giochi attraenti, colorati e sonori, nessun significato avranno se non diventeranno occasione di gioco assieme a un adulto che guida, accompagna e suggerisce come utilizzarlo, dimostrando di divertirsi assieme al bambino.

L’educazione e le esperienze ricevute in famiglia sono il primo pilastro per un corretto sviluppo psicomotorio, oltre che affettivo, del bambino. Subito dopo vengono le esperienze con i coetanei che rappresentano per il bambino il primo incontro libero non protetto con la realtà e sono un’occasione estremamente stimolante per lo sviluppo linguistico, cognitivo e della comunicazione.

Con il continuo e progressivo arricchimento del vocabolario, il bambino inizia, a tre anni, a combinare le prime parole per formare frasi che all’inizio saranno telegrafiche perché formate solo da verbi e sostantivi, con pochi aggettivi e senza congiunzioni o preposizioni, quanto basta per farsi capire. Ma quando il bambino è in grado di pronunciare, abitualmente e non solo saltuariamente, frasi composte da due-tre parole, (vieni con me, andiamo al parco), compaiono le congiunzioni. A questo stadio il bambino può ancora commettere errori o pronunciare male alcune parole o addirittura rendere incomprensibili alcune frasi per errori di pronuncia.

Che fare allora? Semplicemente mantenere un atteggiamento positivo nei confronti del bambino e del suo modo di parlare, accettando quanto da lui detto senza sgridarlo ma semplicemente riformulando la frase in modo corretto per fornirgli il modello linguistico senza errori e per verificare se sia stato ben capito quanto pronunciato da bambino.

Ma questo va fatto con discrezione: se il bambino sta raccontando qualcosa ed è preso dalla narrazione non lo si deve interrompere per correggere eventuali errori. Piuttosto lo si lascerà finire per poi fargli domande più dirette in modo che possa precisare alcuni concetti e abbia modo di ripetere le frasi che aveva sbagliato. Se, invece, si sta leggendo qualcosa assieme a lui, si può esigere maggior precisione e fargli ripetere subito una parola che aveva sbagliato.

Il periodo pre-verbale, i primi tre anni, è l’epoca della vita più sensibile ed essenziale per porre le basi di un buon apprendimento del linguaggio: è un periodo che il bambino trascorre principalmente tra le mura domestiche se non frequenta l’asilo-nido molto precocemente, è quindi responsabilità primaria della famiglia e dei genitori fare in modo e osservare che tutte le tappe vengano acquisite, con le dovute differenze e modalità da bambino a bambino, nel modo più corretto possibile: sono valutazioni che un pediatra non sempre riesce a formulare con esattezza perché molto spesso la sua figura intimidisce e non predispone il bambino ad quell’ atteggiamento ludico e comunicativo necessario per questo tipo di valutazione.

Per chi volesse avere un prospetto più schematico dello sviluppo delle capacità comunicative del bambino:

  • Fino a tre mesi: reagisce a rumori intensi, si calma quando sente la voce della mamma, sorride alla vista della mamma o dei famigliari. Esprime solo col pianto sia la fame che altro malessere, borbotta, emette suoni gutturali e sospiri, produce qualche suono vocalico.
  • Da 3 a 6 mesi: sussulta o piange ai rumori intensi, interrompe la sua attività in presenza di suoni o parole, localizza una fonte sonora girando la testa verso il lato di provenienza del suono, si calma sentendo la voce della madre. Emette sospiri, gridolini, borbottii, piange in modo differente quando ha fame o freddo o altro malessere, produce suoni vocalici. Ride e si agita quando sente musica, reagisce alla preparazione della pappa, inizia a comprendere intonazioni di rimprovero o complimento.
  • Da 6 a 9 mesi: cerca da dove provengono i suoni familiari, ascolta la conversazione fra adulti, ama i giochi sonori, sembra riconoscere i suoni come mamma, papà, riconosce e risponde al suo nome, sembra comprendere intonazioni amichevoli o di rimprovero della voce, incomincia a comprendere i no. Ripete 4 o 5 volte una sillaba (lallazione), si diverte nel produrre suoni, fa ciao con la manina se si insegna, usa vocali singole, inizia a produrre qualche suono come p, b, m.
  • Da 9 a 12 mesi: gira sia la testa che le spalle verso la sorgente sonora, riconosce il suo nome, riconosce campanello, telefono, ecc., comprende ordini semplici come dammi, prendi, ecc., sembra riconoscere alcuni nomi di oggetti di uso comune e alcuni nomi di famigliari, mostra interesse per gli oggetti quando vengono nominati. Aumenta la lallazione variando intonazione e intensità di voce, imita suoni e versi animali, risponde con vocalizzo se chiamato per nome, fa si e no con la testa, produce le prime parole, mamma e papà, ride, batte le mani, manda il bacio, fa “ciao”, riesce a produrre p, b, m, t, d.
  • Dai 12 ai 18 mesi: capisce il no, qualche parola e qualche ordine semplice, capisce semplici richieste alle quali può rispondere con un cenno del capo, da un giocattolo su richiesta, balla aritmicamente a suon di musica, ama filastrocche e canzoncine. Inizia la vera comunicazione, imita parole famigliari, inizia a denominare gli oggetti, emette quattro o più sillabe senza significato ma con l’intonazione melodica di una vera frase, fa i versi degli animali e di alcune cose, parla a modo suo anche da solo davanti ad uno specchio o ai suoi giochi, pronuncia m, n, p, b, t, d, c, g.
  • Dai 18 ai 24 mesi: sceglie e prende gli oggetti su richiesta, indica alcune parti del corpo, comprende semplici richieste tipo: dov’è la palla? Conosce l’idea di categoria perché sa che una mela è un alimento e il cane un animale, comprende molte più parole di quelle che produce. Usa una parola con più significati, per es. acqua per dire che ha sete e anche che vuole giocare con l’acqua, dice almeno 50 parole anche se le articola male, le parole sono quasi tutte molto brevi di 2 sillabe, pronuncia m, n, b, t, p, d, c, g, f, v.
  • Dai 24 ai 30 mesi: su richiesta sceglie un oggetto tra 5, comincia a comprendere la differenza tra tu e io, indica su comando varie parti del corpo, comprende molte frasi anche lunghe, ascolta con piacere storie illustrate. Pronuncia una frase di due o tre parole, sa usare il negativo: non vado, non voglio, ripete frasi e parole sentite dall’adulto anche senza capire il significato, chiede cos’è questo, cos’è quello, usa almeno 100 parole anche con più di due sillabe, usa aggettivi, pronomi, preposizioni, avverbi, compaiono le s.
  • Dai 30 ai 36 mesi: capisce quasi tutto quello che gli viene detto, comprende parole come dentro, sotto, sopra, ecc., identifica le parole e gli oggetti di uso comune tipo: con che cosa mangi? Con la forchetta, attribuisce significato ai numeri. Usa una frase di 3-4 parole, senza articoli o preposizioni tipi: bambina andata a casa, denomina i colori, usa io al posto di me, articola con cura le parole che conosce bene, si aggiungono i fonemi ci, gi, z.
  • A 3-4 anni: comprende una semplice storia, esegue due istruzioni insieme tipo prendi e dammi, comprende il concetto di tempo tipo, dopo, ora, localizza la sorgente sonora di un suono anche senza vederlo, incomincia a capire frasi anche con preposizioni tipo: metti il libro sul tavolo, conosce il nome dei colori, raggruppa gli oggetti per categoria (animali, alimenti, ecc.). Si esprime con frasi complete di 3-4 parole, usa verbi al presente e al passato, aggettivi, pronomi, conosce il suo nome e cognome, sa ripetere filastrocche e canzoncine, sa raccontare una storia, parla da solo, chiede spesso cos’è? Anche se lo sa, ha un vocabolario di circa 1000 parole, aggiunge ai fonemi r, gl, gn.
  • A 4-5 anni: esegue ordini anche se gli oggetti non sono presenti, capisce: al mattino, alla sera, comprende i verbi al passato, presente e futuro, conosce la differenza tra singolare e plurale, capisce: di lato, in mezzo, in basso, capisce: prendi quella cosa che serve per…, conosce la maggior parte dei colori. Pronuncia frasi di 5-6 parole bene, usa frasi complesse, racconta una esperienza recente, chiede perché e chi, chiede cosa significa?, si diverte a dare un nome alle cose che vede, usa il perché non solo per chiedere ma anche per spiegare: ho fatto questo perché…, conosce 1500 parole, conta fino a 5, pronuncia ormai tutti i fonemi.
  • A 5-6 anni: comprende quasi tutto quello che sente, esegue fino a tre comandi contemporaneamente, comprende tutti i concetti tipo, sopra, di fronte, sotto, di dietro, conosce i contrari: duro, morbido, alto, basso, raggruppa le cose secondo le differenze e le similarità, apprezza l’umorismo, ascolta volentieri favole, comincia a capire destra e sinistra, segue i film in tv. Formula ormai frasi complesse di più parole, usa verbi al passato presente e futuro, possiede una grammatica simile a quella di un adulto, parla chiaro spedito e comprensibile, pone molte domande, definisce gli oggetti a secondo dell’uso che se ne fa, può sostenere una conversazione se non servono parole difficili, sa dare definizioni e spiegazioni, pronuncia ormai quasi tutti i fonemi.

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