Educazione prenatale: 9 mesi da raccontare

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Il momento così delicato dell’attesa, anche nelle più rosee condizioni, porta la donna e la coppia in una dimensione molto particolare.
La stessa produzione ormonale viene a modificarsi (anche nel futuro papà) e si ha la certezza che qualcosa di ‘estremo’ stia per accadere. Si sente di aver valicato una "soglia di non-ritorno", si smette la condizione di figli e si indossa quella di genitori. Non sto qui a parlare della realizzazione connaturata o meno alla genitorialità, non essendo questa una condicio sine qua non: il punto è la condizione di paternità o maternità vista come un passaggio iniziatico nella vita di un essere umano.

Questo passaggio si scopre piano piano ed ha un suo prezzo.
La coppia in attesa viene avvolta da un turbinio di consigli e preveggenze da parte di amici, parenti, conoscenti e confusa dall’abbondanza di prodotti per bambini, creme per smagliature, libri dei nomi…
Il punto di vista si sposta dal ‘noi due’ al ‘noi tre’ oppure, talvolta, al solo ‘nuovo arrivo’ che pur essendo importante e voluto, è ancora ignoto.La coppia rischia di perdersi di vista, passando da uno stato di "uomo-donna" a quello preponderante di "papà-mamma". Così, in questa girandola di sensazioni ed emozioni, spesso accompagnata dal lavoro da portare avanti, dai molteplici impegni familiari, dalla preparazione della cameretta, ecc., ci si confonde e si rischia di trascurare la vera essenza del protagonista di questo viaggio. Il bambino viene oggettualizzato, quantificato, ed il risultato è l’immagine distorta di un neonato molto virtuale e poco reale.
Si identifica il nascituro in un neonato grassoccio, perfetto, sanissimo che ride e poppa: un essere angelico davvero poco rispondente al bimbo che nel frattempo cresce e si forma nel grembo materno e che ha l’assoluta necessità di essere riconosciuto per quello che è.
Ci sono poi alcuni casi in cui il bambino in arrivo è ‘capitato’, subìto, non inizialmente voluto; alle normali ambivalenze della gravidanza si sommano le angosce e i timori di chi è solo o si sente in colpa per aver pensato ad un’interruzione di gravidanza o altre ipotesi.

L’educatore prenatale si rivolge alla famiglia in attesa, intendendo con il termine famiglia il concetto più ampio possibile, dalla ragazza madre agli alloparenti (gli altri parenti oltre i genitori della donna in attesa: nonni, zii, cugini…), e cerca, attraverso il riconoscimento delle emozioni e degli stati d’animo della stessa, di promuovere la relazione con l’individuo in arrivo.
Lo spazio del corso di educazione prenatale è deputato al riconoscimento di quel bambino che sta nascendo, di quella coppia che sta divenendo genitoriale. La gravidanza diviene pensata come qui e ora, l’operatore cerca di promuovere l’interiorizzazione della gestante (già favorita dal naturale aumento di progesterone) ed esaltare lo stato bambino della coppia indicando così la via al bimbo prenatale che necessita di un ascolto empatico e di risposte emozionali.
Il padre quando ci sia e si voglia coinvolgere, rientra in questo processo di avvicinamento ricoprendo un ruolo di contenimento, accoglienza e protezione della sua compagna e del figlio che è in lei. Si sono riscontrate variazioni ormonali nel ‘padre in attesa’ che lo portano ad un processo di “maternizzazione”, spingendolo a divenire un secondo utero contenente quello gravido della sua donna.

Alla coppia vengono fornite conoscenze specifiche rispetto alle competenze e alle abilità del loro cucciolo nella pancia e si lascia ampio spazio ad una dimensione ludica che porti naturalmente la coppia in contatto con le proprie emozioni profonde e verso il bambino.
Attingendo ai molteplici studi che negli ultimi anni sono fioriti intorno alle capacità del bimbo prenatale e ai risultati ottenuti, a favore della relazione triadica, con il contatto psico-emozionale dei genitori con il bimbo endouterino, si propongono alle coppie giochi con il nascituro che egli gradisce e dimostra di riconoscere e richiedere.
Questo bambino diventa mano a mano più reale e l’incontro alla nascita è davvero un completamento di quanto già iniziato e condotto nei nove mesi di gestazione.
Un innamoramento che si completa passando anche attraverso la vista, e un modo diverso di utilizzare il tatto, gli odori, i suoni.

Perché un bimbo che nasce ha nove mesi di cose da raccontare.

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