Il metodo Billings

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La prima volta che sentii parlare dei metodi naturali per la regolazione della fertilità avevo 16 anni e non ero sessualmente attiva (si lo so, lo so, adesso sarei chiamata tardona, ma prima ero nella media). Frequentavo un gruppo di discussione con altri ragazzi della mia età e anche un po’ più grandi e il nostro coordinatore invitò una coppia, Maria e Roberto, responsabili della sede della mia città di quello che si chiamava “Movimento per la Vita”, oggi CAV (Centro di Aiuto della Vita).

La mia personalità scientifica era già preponderante a quei tempi e mi ritenevo molto informata riguardo i sistemi anticoncezionali (sicuramente molto più informata della media degli adolescenti). Ovviamente il discorso che fecero Maria e Roberto fece immediatamente presa su di me e sulla mia curiosità. Mi piaceva l’idea di imparare a riconoscere da segnali esterni quello che il mio corpo stava combinando all’interno. Mi piaceva da morire. Già allora sapevo perfettamente cos’era il ciclo mestruale, da cosa era regolato, lo stretto rapporto fra controllo ormonale e psicologico, del resto già allora sapevo che cosa avrei studiato, qual era la mia passione e la sola idea di poter monitorare dall’esterno questa cosa mi elettrizzava…

Mi sono quindi lanciata nell’avventura. Volevo imparare il metodo Billings, volevo vedere se era davvero possibile riuscire ad acquisire questa consapevolezza sulla fertilità.
Maria è un’insegnante del metodo, e le chiesi quindi di insegnarmi…ehmm naturalmente ci fu la questione del perché volevo imparare, nonostante la crescita in ambiente cattolico non sono mai stata contraria ai rapporti prematrimoniali, ma certo questo non era facile da far digerire. Però davvero non ero alla ricerca di un sistema anticoncezionale (non ancora almeno), la mia era pura curiosità.

Iniziai il corso e mi appassionai sempre di più, ogni mese che passava verificavo che era davvero possibile, che poi non era così difficile, che il corpo ci parla davvero, l’importante è imparare ad ascoltarsi, e questo al giorno d’oggi non è per niente una cosa da dare per scontata.

Quando poi si è trattato di “testare sul campo” la validità del metodo, inizialmente -lo confesso- non me la sono sentita, ero giovane, troppo giovane per accettare la possibilità di essere mamma, così per qualche anno ho sfruttato le altre conoscenze in merito. Però sentivo sempre che mi mancava qualcosa, che in fondo in fondo non mi sentivo molto a mio agio, che forse “l’arte che avevo messo da parte” poteva tornarmi utile. Era passato qualche anno, non tantissimi comunque, certo la mia vita era ancora tutta un divenire però ero più matura e sarei stata pronta nel caso fosse arrivato un bambino non proprio programmato (ma voluto sì, quello sempre, da quando ho la facoltà di ricordare). D’accordo con quello che sarebbe diventato mio marito abbiamo quindi iniziato questo “cammino” di fertilità insieme, vivendo la nostra sessualità in assoluta naturalezza e secondo molte persone in assoluta incoscienza.

Ma ero sicura di me, così sicura che a distanza di 12 anni posso dire di non rimpiangere nulla, ma anzi di ricordare come uno dei momenti più belli della mia vita il mese in cui abbiamo iniziato a cercare nostro figlio. Sono stata fortunata perché è arrivato subito, sapevo qual era il giorno giusto e quel giorno ci siamo amati come mai prima, e Daniele ora è qui, segno tangibile di questo amore fra me e suo padre e fra me e la Vita.

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