Sumeri e somari: una questione di autostima (storie ordinarie di dislessia)

La tua autostima è una tacca sotto quella di Kafka. (Woody Allen)

Ti invito senza retorica a fare qualcosa, una cosa a caso:

-“Va’ a fare i compiti. Devi ancora fare Matematica e Storia. Ci sono da fare i Sumeri!” .

-“Ma uffa! Non ora, non ne ho voglia!”.

-“Allora quando?” (domanda stupida, si vede che non ero granché concentrata)

-“Non ne ho voglia, né ora, né dopo e non me ne frega niente e non ci capisco niente!”

Wow! Che dimostrazione di risolutezza! …

Risolutezza solo apparente. Tanta roba questi ne, con e senza accento. E inizio a divagare mentalmente sull’analisi grammaticale del primo ne, che sta per ‘non ho voglia di fare ciò’, ossia i compiti. La particella ne può avere valore  di  pronome  o  di  avverbio.  Come  pronome  può  essere  oggetto  o  pronome dimostrativo o partitivo, eccetera, eccetera…Ma lungi dal volervi tediare con la grammatica (per questo c’è già la scuola), mi interessa concentrarmi su questo tuo senso profondo, dove può significare che trovi inutile, inopportuno e noioso fare i compiti o, magari, difficile e faticoso. La tua inadeguatezza, il tuo sentirti ‘somaro’ di fronte a ciò che non hai capito e la conseguente maturazione di insufficienza ancora prima di provarci ( il “tanto non ci capisco niente”) è, invece, sufficiente perché tu lo rifiuti. Mica poco! Vogliamo parlarne? Magari mi convinci che non ne vale la pena, oppure io convinco te, e magari ci ripensi. Dove ne e ci stanno per ‘di ciò’ e ‘a ciò’.

Quindi, ‘ne’, ‘ci’, ‘ciò’ e compagnia cantante di particelle ‘pronominavverbiali’ (permettetemi il nuovo conio) seppur così vaghe e bistrattate, sono fulcro attorno a cui ruotano gioie e dolori, armonie e dissapori. Ma poi tu mi ci metti anche l’accento e mi dai l’aut aut, la negazione di tutto ciò, punto e basta. Ma pensaci bene ché in quella particella ci sei tu e il tuo mondo sommerso: quello che sei, quello che non sei e che credi solo di essere, ma anche quello che non sai ancora di essere. Un somaro? Non credo. Sta a te vedere se di ciò ne vuoi parlare o meno. Io te lo consiglio vivamente, non giova mai troppo negare se stessi. Anche se il tuo “caso” ha radici diverse dalla maggioranza, può lo stesso assurgere a esempio generale, perché di somari o presunti tali ne è piena la scuola di oggi e di sempre.

autostimaEppure, tu con la tua dislessia, anzi no, con il tuo essere splendidamente dislessica, rappresenti un mondo sommerso fatto di delusioni e piccoli soprusi e nel contempo ci mostri mondi futuri (e futuristici) dove il pensiero divergente forse salverà il mondo.

Chi lo sa. Di sicuro, la tua attenzione al dettaglio, al particolare, in un’ottica completamente fuori dagli schemi, spiega il perché di tanti agenti dislessici a Scotland Yard! Resta il fatto, che nella semplice quotidianità della tua età, questo possa essere solo castrante e avvilente ed è ancora lontano il momento in cui potrai inviare la tua candidatura all’agenzia investigativa…Intanto una mano te la posso dare a far fronte alle orde di negazionisti e folle di medicalizzatori, o a chiudere la bocca alla mamma saccente sul cancello di scuola che si dispiace della malattia rara, che sfiga, un disturbo non indifferente… Ma poi, disturbo per chi? Perché con il giusto approccio, i giusti mezzi e le tue strategie, tu dai filo da torcere a chiunque. La dislessia è una neuro diversità e tu sei splendidamente neuro diversa e già questa distanza dal piattume dilagante, mi rende felice. Ti dirò di più, sei fortunata! Non rischi l’omologazione. E un po’ mi dispiace per gli altri. Tuttavia, in questo, sei particolarmente vulnerabile al codice sottinteso della comunicazione. A volte immune alle figure retoriche e ai messaggi tra le righe, mi richiami a quella chiarezza tanto necessaria della comunicazione efficace. Il tuo pensiero apparentemente dissonante, forse ‘avanti’ rispetto ai tempi, merita la dovuta attenzione, affinché costituisca il tuo valore aggiunto e non un insostenibile peso. Ciò merita attenzione più profonda e modalità del tutto nuove. Una rivoluzione della comunicazione e nuovi tentativi empatici, perché entrare in empatia con te può essere difficile, ma anche molto illuminante, visti i tuoi punti di vista assai originali. Sempre un passo avanti, no, anzi, un passo di lato, su un percorso imprevedibile, non uniformato. Nuovo. E il nuovo, si sa, fa sempre paura. Il nuovo mette in difficoltà, apre il cammino al cambiamento e il cambiamento crea molto disagio. La resilienza non è per tutti, ma lo dovrebbe essere per legge. Credo che questa vision diversa, abbia proprio a che fare con il tuo QI multi sfaccettato; Gardner ne sarebbe fiero.

Oggi, tuttavia, ti senti ‘somaro’; somaro rispetto alle cose semplici.

In fondo gli  altri riescono a leggere veloci senza farsi venire il mal di testa e tu no. Gli altri arrivano al venerdì più o meno incolumi e tu con il vomito e il mal di testa. Gli altri sono fighi e tu ti senti sfigata. Ma sono percezioni distorte. Lo capirai. E da qui nasce l’attrito con il mondo, del mondo con il tuo mondo, forse così ricco, per poter essere imbrigliato dentro a una valutazione semplicistica legata a un parametro di misurazione che non ti appartiene. Sei “la vite nella scatola di chiodi, ma non sei un chiodo difettoso; sei semplicemente una vite!” (come ci ricorda Giacomo Cutrera in Demone Bianco)* Se uso un martello, non combino nulla, se uso il cacciavite, funzioni a meraviglia! Non sei tu sbagliata, ma chi ti vorrebbe chiodo. A me resta il compito quotidiano di ricordatelo, assieme a una pompatina di autostima, per aiutarti a bilanciare il peso delle tue virtù e delle tue debolezze. Voglio che tu arrivi a essere consapevole dei tuoi talenti e delle tue passioni per realizzare i tuoi progetti. Ma sfido chiunque, a undici anni, ad esserne pienamente consapevole! Nel futuro, però, dovrai pensarci tu, affilare le tue armi e andare fiera di questa opportunità di poter cambiare molte cose, tra cui offrire nuovi punti di vista. E’ la tua mission. Per il momento, stampa le istruzioni d’uso del manuale di te stessa e appenditele al collo!

Ma adesso ti racconto un’altra storia: hai mai sentito l’espressione “l’abito non fa il monaco?”.

A volte lo fa, eccome. Nota come mi vesto quando vado a un incontro importante, evito i jeans neri con i tagli sulle ginocchia anche se mi piacciono tanto e mi vesto dell’immagine che voglio essere in quel momento. Tuttavia, in questo non sono ipocrita, scelgo semplicemente altro dal mio guardaroba personale…Quindi non è solo la percezione che gli altri avranno nei miei confronti, rassicurante, professionale, sobria, creativa (dipende), ma anche la percezione che io voglio avere di me stessa, in quella precisa occasione, pur sempre senza snaturare la mia vera persona, che è tutto questo e il suo contrario, tutto questo e molto di più. Questo fenomeno è straordinario, perché contribuisce alla percezione di noi stessi. Ebbene questo vale un po’ per tutto, non solo per gli strass o gli stracci che vestiamo ma anche per i ruoli o la persona che “interpretiamo”. Ripeto, non con falsità, ma semplicemente una delle tante. In fondo l’etimologia della parola “persona” deriva dal latino “maschera”… Insomma uno, nessuno e centomila. Questo fenomeno può esserti utile, quando, per contro, viene utilizzato per manipolarti, ovvero trattandoti già come se tu fossi la persona che, per qualsivoglia motivo, desidero che tu sia. Quello che succede è che poi si inizia ad agire esattamente in quel modo. Ricordo di aver letto di un esperimento di Robert Rosenthal, che scelse casualmente alcuni alunni di una classe che andavano così, così ed erano etichettati come fannulloni e svogliati. Ebbene, convinse gli insegnanti che, attraverso la somministrazione di  alcuni test, essi risultavano invece più intelligenti  del resto della classe. Cosa successe? Successe che la loro suggestione aveva funzionato: il rendimento dei ragazzini era migliorato e i loro insegnanti avevano iniziato a considerarli intelligenti ed essi stessi iniziarono a crederci e a dare il massimo! Bene, qualcuno ti ha detto che “non riesci a fare tutto”, o “non riesci a fare bene qualcosa”, o peggio che sei un “somaro” e tu hai finito per crederci, iniziando a comportarti di conseguenza, avverando la profezia di quel qualcuno che ha pensato di averci visto giusto! Ma adesso lo sai, somaro non sei, sei splendidamente dislessica con un quoziente intellettivo nella media, oserei dire qualcosa di più, se andiamo a sommare tutte, ma proprio tutte, le tue intelligenze multiple. Adesso scegli anche tu qualcosa dal tuo ricco guardaroba di stagione, qualcosa di bello e colorato e indossalo, poi prova a visualizzarti bella, brillante, felice. Certamente non farai fatica, ché di immaginazione sei ben fornita.

Osservati con attenzione anche nei tuoi gesti e nelle tua parole. Ascoltati. Sei perfetta.

E lo riesci a percepire sempre più chiaramente. Ora apri gli occhi e dal tuo mondo immaginario unisciti alla realtà che ti circonda, tenendo con te quelle stesse sensazioni positive che hai appena vissuto. Ripeti l’esercizio di visualizzazione ad ogni cambio di jeans!

* per chi fosse interessato di letteratura in materia DSA ce n’è molta. Per quanto mi riguarda, oltre alla letteratura noiosamente scientifica o alla manualistica, vi posso consigliare la lettura più intima, vista dal punto di vista di chi la dislessia la vive tutti i giorni; testimonianze di ragazzi, genitori, insegnanti e professionisti di successo, tra questi: Demone Bianco di Giacomo Cutrera, vice presidente AID (Associazione Italiana Dislessia), Un’insolita compagna di Filippo Barbera, la raccolta Pensami al contrario di Autori Vari a cura di Daniela Conti e Anna Paris, solo per citarne alcuni. Non in ultimo il premio Pulitzer 2008 per la poesia, Philip Schultz, con “La mia dislessia. . Ricordi di un premio Pulitzer che non sapeva né leggere né scrivere”. Sublime.

** Robert Rosenthal & Lenore Jacobson, Pygmalion in the classroom, Expanded edition, New York, Irvington, 1992.

 

(da “Quando la comunicazione va a ramengo”, S. Contardi, ilmiolibro.it, 2016)

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