La presunzione di essere madre

 la_presunzione_di_essere_madre.jpg                                                               Ho sempre pensato che il mio destino fosse quello di essere madre.
Pensavo fosse una cosa semplice, naturale, fisiologica.

Ai tempi delle scuole medie avrei voluto proseguire con l’istituto magistrale; avevo una passione per i bambini e timida com’ero mi affascinava specchiarmi nel loro fantastico mondo.
Poi, per fortuna dei succitati pargoli, mi indirizzarono (forzatamente a dire il vero) verso altri studi. 
Ma io continuavo a  sognare pannolini, pappette e biberon.
Non l’avrei fatto di professione ma di una cosa ero certa: sarei diventata madre!

Poi è arrivato il matrimonio, l’anticamera della realizzazione del mio grande e unico sogno: la maternità. E dopo poco mesi, eccomi in dolce attesa.

Ho passato i mesi della gravidanza su un altro pianeta, sistemando la cameretta in un’atmosfera quasi da film: fiocchi azzurri, pupazzi, una vecchia sedia a dondolo trovata in soffitta, una mensola con tre libri di favole e una piccola luce a forma di luna, tenue e gialla.
Mi immaginavo a raccontare fiabe nella penombra, a canticchiare canzoncine la sera al buio e ogni volta che entravo nella stanza mi sentivo profondamente mamma.

Illusioni. Fantasie.

Pensavo che diventare madre fosse un po’ come tornare ai tempi del Cicciobello: avere un bambolotto tutto per me, che fa la pipì quando gli schiacci il pancino, che beve tutto il biberon e appena gli metti il ciuccio smette di piangere.

Ma così non è stato. Mi sono ritrovata impreparata, con una realtà da gestire totalmente sconosciuta, esattamente come il bambino che avevo dato alla luce.

Damiano era un bimbo con tanti problemi e tante esigenze.
E’ entrato nella sua bella cameretta a 11 mesi passati.
Non ha mai dormito una notte intera e spesso, per la disperazione, non erano simpatiche canzoncine il sottofondo a quelle inteminabili notti, ma urla di disperazione (le mie) e pianti di rabbia e stanchezza (sempre miei).

Non era quello il bambino che aspettavo e sognavo da quando avevo 12 anni.
Mi avevano fregato, mi ero fregata da sola.

C’è voluto del tempo per imparare ad amarlo come amavo il mio Cicciobello cinesino.
Tenerlo in braccio era spesso causa di dolore e non di piacere, di rabbia e non di gioia. 

Ci ho messo 11 mesi ma alla fine l’amore è esploso e finalmente anch’io mi sono sentita madre.
Ma che fatica!

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