La nascita di Luna

Luna.jpgIl 21 giugno sono stata ricoverata per l’induzione (perché ero in ritardo di 14 giorni sul termine) abbastanza di cattivo umore.
Nei giorni precedenti avevo cercato di convincermi che non sarei arrivata a quel punto, e avevo fatto di tutto (olio di ricino per due volte) pur di non farmi ricoverare. Ero molto preoccupata riguardo un’eventuale induzione, e per tutti i mesi della gravidanza avevo avuto una sola paura: quella di non partorire naturalmente.
Ma la natura, evidentemente, voleva diversamente.
Nella notte del 20 sono scesa a fare pipì e mi sono accorta che stavo perdendo il tappo mucoso.
Ho avuto parecchie perdite tutta la notte e già mi sentivo meglio perché pensavo, stupidamente, che se anche non mi avessero fatto il parto indotto, sarei riuscita comunque a partorire Luna.
L’idea di non essere capace a partorirla da sola, "senza aiuti", era la mia paura più grande, il mio più intimo rammarico.
Arrivai per l’induzione e mi misero il gel alle nove e mezza di mattina.
Una ragazza della mia città, ricoverata come me con gli stessi giorni di ritardo, era già al secondo giorno di induzione (lei era stata ricoverata il giorno prima per scarsità di liquido amniotico, io invece ne avevo una piscina, dicevano) e mi disse che era una passeggiata, perché non aveva alcun dolore.
Appena mi misero il gel, invece, cominciarono i dolori.
Le contrazioni partirono subito ravvicinate. Scesi dal lettino e dopo dieci minuti iniziai ad avere male, con lassi di tempo molto ravvicinati.
Le ostetriche si dicevano ottimiste, vedendo il mio dolore, mentre passeggiavo su e giù per il reparto tenendomi la schiena, e mi facevano coraggio.
Una di loro, però, la più realista e pratica, mi disse senza mezzi termini di non aspettarmi di partorire in giornata, perché con il gel solitamente ci volevano più dosi per innescare il vero travaglio.
Infatti, pur avendo molto male non mi dilatavo affatto. Stanca di camminare mi avvicinai all’ostetrica e le chiesi se potevo sdraiarmi. Lei mi consigliò vivamente di riposare, di tenere le forze per il giorno dopo.
Ma il dolore aumentava e pur sdraiata continuavo a patire terribilmente le contrazioni, che si ravvicinavano ancora.
Alle tre del pomeriggio mi chiamarono per la visita e constatarono che non ero affatto dilatata, che il collo dell’utero era ancora ben chiuso, e che soprattutto, Luna era ancora molto alta e non c’era verso di farla scendere.
Punteggio molto basso. Mi guardarono come per dire "Chissà quando partorirà questa…".
Mi misero un’altra dose di gel e mi rimandarono in camera. Ero molto scoraggiata e affranta.
Mi rifugiai di nuovo nella mia stanza ma a questo punto il dolore diventò quasi insopportabile.
Le contrazioni arrivavano ogni due minuti, l’ostetrica controllava con l’orologio e mi diceva "brava!" ogni volta che ne sentiva arrivare una. Assisteva a dieci minuti di sofferenza poi se ne andava a prendersi un thè, lasciandomi sola in camera a sopportare il travaglio.

Nel frattempo la mia camera si liberò delle due mamme che avevano partorito qualche giorno prima e io rimasi sola.
Iniziai ad affrontare il travaglio sempre più con difficoltà, mi mettevo a letto ma non resistevo, mi accovacciavo ma non sopportavo, in piedi mi sembrava di impazzire.
Dopo diverse ore di dolore intensissimo in cui non riuscivo neppure a parlare, l’ostetrica mi portò un materassino piatto e mi invitò a stendermi e cercare di dormire tra una contrazione e l’altra.
Io lo misi per terra e mi sdraiai su un fianco. Passai così almeno due ore, respirando a fatica.
Alle nove di sera mi chiesero se volevo entrare in vasca per sentire meno le contrazioni. Accettai subito.
Le contrazioni continuavano ogni due minuti, terribili.
L’ostetrica mi visitò e vide che ero a 3 cm di dilatazione, pochissimi ma già qualcosa, dopo ore e ore di sofferenza.
Rimasi nella vasca tre ore, cercando di rilassarmi il più possibile, e – quasi pazzesco ma vero – riuscivo persino a dormire tra una contrazione e l’altra.
Mi svegliavo solo quando arrivava il dolore.
Urlavo terribilmente e mi riaddormentavo.
A mezzanotte le ostetriche mi visitarono ed ero a 5 cm di dilatazione.
Mi invitarono a andare in sala parto, per continuare il travaglio in acqua. Mi caricarono sulla sedia a rotelle, nuda, coperta solo da un lenzuolo, e mi portarono nella vasca più grande.
I dolori diventarono qualcosa di inverosimile.
Gridavo come una forsennata, per più di un’ora, "Aiuto! Aiutatemi!" all’arrivo di ogni contrazione e sentivo sempre di più il bisogno di spingere.
Mi dissero che non era ancora il caso di spingere ma io non sopportavo il dolore e spingevo lo stesso, mi sembrava di spaccarmi tutta.
Intanto, nella sala affianco, una donna indiana, arrivata mezz’ora prima, partorì la sua bambina.

Mi visitarono ancora e mi dissero con molta freddezza che potevo cominciare a spingere, perché la testa iniziava a vedersi.
Sembrava incredibile!
Un’ostetrica mi disse: "Poche spinte e hai la tua bambina… forza!".
Alla faccia delle poche spinte.
Io ormai ero talmente stremata che non sapevo neanche più cosa volesse dire spingere.
Gridavo soltanto dal dolore.
L’ostetrica, infastidita, mi fece uscire dalla vasca.
Accettai perché in quel momento ero assolutamente incapace di difendere una posizione, ero sfiancata.
Uscii, e mi fece accovacciare.
Mi ordinò di spingere all’arrivo della contrazione.
Io spingevo finché potevo ma sembrava tutto inutile. Ero stremata e tutto intorno a me c’era molto nervosismo.
Mi fecero vedere con uno specchio che c’era qualcosa di scuro e bagnato che spuntava. Insistevano che io spingessi perché il battito cominciava a decelerare.
Chiamarono un ginecologo perché le mie spinte non erano efficaci e il battito rallentava sempre di più.
Mi esortarono urlando nervosi, l’ostetrica era in tensione, mi disse che se non avessi spinto forte avrei fatto del male alla mia bambina.

Ma io non ce la facevo più.
Mi ruppero loro le acque manualmente.
Mi alzai allora in piedi e aggrappandomi al mio compagno con le braccia sul collo spinsi più forte di quanto potessi pensare, mentre mi sembrava di spaccarmi letteralmente.
In un microsecondo, Luna uscì fuori tutta d’un colpo. Come un piccolo vitello.
Scivolò giù dal mio corpo, e quasi cadde per terra, mentre io ero in piedi.
Le ostetriche la presero al volo e mi fecero sdraiare.

Sentivo che piangeva ma non capivo più nulla.
Mi chiesero se avevo voglia di vederla e io dissi di sì, senza troppa convinzione, senza essere bene in grado di capire cosa mi stesse succedendo.
Me la misero sul seno e ci avvolsero con lenzuola calde.
Lei piangeva disperata. Mi fece subito la cacca sulla pancia.
Mi sciolsi e cominciai a rilassarmi. La guardai, era paonazza ma appena cominciai a parlarle, smise immediatamente di piangere e mi guardò con gli occhi apertissimi.
Due occhi blu scuri. Lunghi. Da alieno.
Mi sembrò incredibile di averla partorita, tenuta in pancia.
La sua pelle era morbidissima, non me lo dimenticherò mai.
Dopo pochi minuti, mi tirarono fuori la placenta, massaggiando la pancia molto in profondità per far contrarre l’utero.
Provarono ad attaccarmela al seno e lei era pigra, mi leccava i capezzoli invece di succhiarmeli, continuava ad annusarmi.
La invitai a prendere in bocca il seno, ma quando iniziò a succhiare sentii un male acuto, intenso.
Le ostetriche risero, e mi dissero che era tutto normale, di non preoccuparmi.
Passammo un’ora sotto le lenzuola abbracciate, mentre lei succhiava. Poi mi chiesero di lasciarla per portarla al nido.
Tornai in camera da letto, e nella mia stanza chi c’era?
La donna indiana che aveva partorito poco prima di me, che stava facendo cena con tutta la famiglia, manco avesse digiunato per mesi.
Si spazzolò pollo, patate, pasta e frutta, parlando ad alta voce con il marito e i quattro figli, e telefonando a destra e manca per avvertire della nascita della loro figlia. Impressionante.
Erano le quattro e mezza. Per tutta la notte continuarono a chiacchierare a voce alta, come se io non esistessi.

Luna arrivò nella mia stanza, e me la misero nel letto, per darle il seno.
Passai tutta la notte a guardarla, a vederla respirare, a guardarla mentre succhiava e intanto mi chiedevo: "Che miracolo ho fatto…?".

E qui è iniziata la nostra vita insieme.
Una gioia immensa, difficilmente spiegabile a parole, ricca di sfumature, piena di amore.
Luna pesava kg 3,080 ed era lunga 48 cm. È nata alle 2,15 del 22 giugno.

PartoLuna                                                                                                                                                                        

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